TUTTO DI TUTTI
—————
—————
—————
—————
—————
Commenti
ADDESTRAMENTO
—————
—————
—————
—————
—————
—————
DECRETO 13 aprile 2011 Disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
IL DIRETTORE GENERALE
della tutela delle condizioni di lavoro
del Ministero del lavoro e delle politiche
e
IL CAPO DIPARTIMENTO
della prevenzione e della comunicazione
del Ministero della salute
di concerto con
IL CAPO DIPARTIMENTO
della Protezione civile
e
IL CAPO DIPARTIMENTO
dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile
del Ministero dell'interno
Visto l'art. 2 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante «Attuazione dell'art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro»;
Visto il decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, recante «Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro»;
Visto l'art. 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, di seguito decreto legislativo n. 81/2008, che prevede l'emanazione di apposito decreto per l'applicazione delle norme ivi contenute nei riguardi delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, delle organizzazioni di volontariato della protezione civile, ivi compresi i volontari della Croce Rossa Italiana e del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico e dei volontari dei vigili del fuoco, tenendo delle particolari modalita' di svolgimento delle rispettive attivita';
Vista la legge 8 novembre 1991, n. 381, recante «Disciplina delle cooperative sociali»;
Vista la legge 24 febbraio 1992 n. 225, recante «Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile» ed, in particolare, l'art. 18;
Visto il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge n. 15 marzo 1997, n. 59, ed il particolare, gli articoli 107 e 108;
Vista la legge 21 novembre 2000, n. 353, recante «legge-quadro in materia di incendi boschivi»;
Visto il decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 settembre 2001, n. 40
Visto il decreto del Presidente della Repubblica dell'8 febbraio 2001, n. 194, recante «Nuova disciplina della partecipazione delle organizzazioni di volontariato alle attivita' di protezione civile»;
Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante «Codice in materia di protezione dei dati personali» e successive modificazioni;
Visto il decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, recante «riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'art. 11 della legge 29 luglio 2003, n. 229»;
Ritenuto di dover provvedere all'applicazione delle disposizioni del decreto legislativo n. 81/2008, alle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, alle organizzazioni di volontariato della protezione civile, compresi i gruppi comunali, nonche' ai volontari della Croce Rossa Italiana, del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico e ai volontari dei Vigili del fuoco;
Tenuto conto delle particolari modalita' di svolgimento delle rispettive attivita';
Ritenuto, altresi', di dover assicurare la tutela della salute e della sicurezza ai lavoratori, ai soci lavoratori e ai volontari delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, ai volontari aderenti alle organizzazioni di volontariato della protezione civile, compresi i gruppi comunali, nonche' ai volontari della Croce Rossa Italiana, del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico e ai volontari dei vigili del fuoco, uniformemente su tutto il territorio nazionale;
Ravvisata la necessita' di coniugare la tutela della salute e della sicurezza dei volontari della protezione civile con il perseguimento degli obiettivi per i quali e' stato istituito il Servizio nazionale della protezione civile, ossia la tutela dell'integrita' della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamita' naturali, da catastrofi o da altri eventi calamitosi;
Considerato che le organizzazioni di volontariato della protezione civile, ai sensi dell'art. 1 l della sopra richiamata legge 24 febbraio 1992, n. 225, sono strutture operative nazionali del Servizio nazionale della protezione civile;
Sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro nella seduta del 17 novembre 2010;
Decretano:
Art. 1
Definizioni
1. Ai fini e per gli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto, si intende per:
a) «organizzazione di volontariato della protezione civile»: ogni organismo liberamente costituito, senza fini di lucro, ivi inclusi i gruppi comunali e intercomunali di protezione civile, che svolge o promuove, avvalendosi prevalentemente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti, attivita' di previsione, prevenzione e soccorso in vista o in occasione di eventi di cui all'art. 2 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, ivi comprese le attivita' di cui alla legge 21 novembre 2000, n. 353, e all'art. 5-bis, comma 5 del decreto-legge 7 settembre 2001, n, 343, convertito con modificazioni dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, nonche' attivita' di formazione e addestramento, nelle stesse materie;
b) «formazione»: processo educativo attraverso il quale trasferire conoscenze e procedure utili all'acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza delle attivita' operative, all'identificazione e alla eliminazione, o, ove impossibile, alla riduzione e alla gestione dei rischi;
c) «informazione»: complesso di attivita' dirette a fornire conoscenze utili all'identificazione, alla eliminazione, o, ove impossibile, alla riduzione e alla gestione dei rischi nello svolgimento delle attivita' operative;
d) «addestramento»: complesso di attivita' dirette a far apprendere l'uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, dispositivi, anche di protezione individuale, nonche' le misure e le procedure di intervento;
e) «controllo sanitario»: insieme degli accertamenti medici basilari individuati anche da disposizioni delle regioni e province autonome, emanate specificatamente per il volontariato oggetto del presente decreto, finalizzati alla ricognizione delle condizioni di salute, quale misura generale di prevenzione nell'ambito delle attivita' di controllo sanitario nello specifico settore, fatto salvo quanto specificato al successivo art. 5 in materia di sorveglianza sanitaria. Art. 2
Campo di applicazione
1. Le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo n. 81/2008 sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze che caratterizzano le attivita' e gli interventi svolti dai volontari della protezione civile, dai volontari della Croce Rossa Italiana e del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico e dai volontari dei vigili del fuoco quali:
a) necessita' di intervento immediato anche in assenza di preliminare pianificazione;
b) organizzazione di uomini, mezzi e logistica, improntata a carattere di immediatezza operativa;
c) imprevedibilita' e indeterminatezza del contesto degli scenari emergenziali nei quali il volontario viene chiamato ad operare tempestivamente e conseguente impossibilita' pratica di valutare tutti i rischi connessi secondo quanto disposto dagli articoli 28 e 29 del decreto legislativo n. 81/2008;
d) necessita' di derogare, prevalentemente per gli aspetti formali, alle procedure ed agli adempimenti riguardanti le scelte da operare in materia di prevenzione e protezione, pur osservando ed adottando sostanziali e concreti criteri operativi in grado di garantire la tutela dei volontari e delle persone comunque coinvolte.
2. L'applicazione delle disposizioni del presente decreto non puo' comportare, l'omissione o il ritardo delle attivita' e dei compiti di protezione civile, connessi agli eventi di cui alla legge 24 febbraio 1992, n. 225 e alla legge 21 novembre 2000, n. 353 e all'art. 5-bis, comma 5 del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito con modificazioni dalla legge 9 novembre 2001, n. 401.
3. Le norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro di cui al decreto legislativo n. 81/2008 sono applicate nei riguardi delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, tenendo conto delle peculiari esigenze relative alle prestazioni che si svolgono in luoghi diversi dalle sedi di lavoro e alle attivita' che sono realizzate da persone con disabilita'. Art. 3
Disposizioni relative alle organizzazioni
di volontariato della protezione civile
1. Le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro di cui al decreto legislativo n. 81/2008 sono applicate alle organizzazioni di volontariato della protezione civile, di seguito denominate organizzazioni, come definite all'art. 1, nel rispetto delle loro caratteristiche strutturali, organizzative e funzionali preordinate alle attivita' e ai compiti di protezione civile di cui alla legge 24 febbraio 1992, n. 225 e alla legge 21 novembre 2000, n. 353 e all'art. 5-bis, comma 5 del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito con modificazioni dalla legge 9 novembre 2001, n. 401.
2. Ai fini dell'applicazione del presente decreto, il volontario della protezione civile aderente alle organizzazioni e' equiparato al lavoratore esclusivamente per le attivita' specificate all'art. 4, commi 1 e 2, fermo restando il dovere di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone, presenti nelle sedi delle organizzazioni nonche' sui luoghi di intervento, di formazione e di esercitazione, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, informazione alle istruzioni operative, alle procedure, alle attrezzature e ai dispositivi di protezione individuale in dotazione.
3. Ai fini dell'applicazione del presente decreto, il legale rappresentante delle organizzazioni e' tenuto all'osservanza degli obblighi di cui al successivo art. 4, salvi i casi in cui sussistano rapporti di lavoro, qualunque sia la relativa tipologia contrattuale. Art. 4
Obblighi delle organizzazioni di volontariato della protezione civile
1. Le organizzazioni curano che il volontario aderente nell'ambito degli scenari di rischio di protezione civile individuati dalle autorita' competenti, e sulla base dei compiti da lui svolti, riceva formazione, informazione e addestramento, nonche' sia sottoposto al controllo sanitario, anche in collaborazione con i competenti servizi regionali, nel rispetto dei principi di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, fatto salvo quanto specificato al successivo art. 5 in materia di sorveglianza sanitaria. Il controllo sanitario potra' essere assicurato dalle componenti mediche interne delle organizzazioni, ove presenti, ovvero mediante accordi tra organizzazioni, ovvero dalle strutture del Servizio sanitario nazionale pubbliche o private accreditate.
2. Le organizzazioni curano che il volontario aderente, nell'ambito degli scenari di rischio di protezione civile individuati dalle autorita' competenti e sulla base dei compiti da lui svolti, sia dotato di attrezzature e dispositivi di protezione individuale idonei per lo specifico impiego e che sia adeguatamente formato e addestrato al loro uso conformemente alle indicazioni specificate dal fabbricante.
3. Le sedi delle organizzazioni, salvi i casi in cui nelle medesime si svolga un'attivita' lavorativa, nonche' i luoghi di esercitazione, di formazione e di intervento dei volontari di protezione civile, non sono considerati luoghi di lavoro. Art. 5
Sorveglianza sanitaria
1. Le organizzazioni di volontariato oggetto del presente decreto, la Croce Rossa Italiana e il Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico individuano i propri volontari che, nell'ambito dell'attivita' di volontariato, svolgono azioni che li espongono ai fattori di rischio di cui al decreto legislativo n. 81/2008 in misura superiore alle soglie previste e negli altri casi contemplati nel medesimo decreto, affinche' siano sottoposti alla necessaria sorveglianza sanitaria.
2. Nelle province autonome di Trento e di Bolzano e nella Regione autonoma Valle d'Aosta l'individuazione dei volontari appartenenti alle organizzazioni di cui al comma 1, nonche' degli organismi equivalenti alla Croce Rossa Italiana ed al Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico e dei Corpi dei vigili del fuoco volontari dei comuni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della componente volontaria del Corpo valdostano dei vigili del fuoco, avviene a cura delle autorita' competenti della protezione civile, che stabiliscono altresi' le modalita' di valutazione del rischio dei volontari ai fini di attuare la eventuale sorveglianza sanitaria.
3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano definiscono d'intesa le modalita' dello svolgimento delle attivita' di sorveglianza sanitaria di cui all'art. 41 del decreto legislativo n. 81/2008 compatibili con le effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato, anche ricorrendo a convenzioni con le organizzazioni di cui all'art. 2, comma 1, che dispongano tra i propri aderenti ed iscritti, di medici muniti dei requisiti previsti dall'art. 38 del decreto legislativo n. 81/2008, nonche' le forme organizzative per assicurare, con oneri a proprio carico, l'individuazione dei medici competenti nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 15, comma 2, del decreto legislativo n. 81/2008. Art. 6
Disposizioni relative alla Croce Rossa Italiana, al Corpo nazionale
del soccorso alpino e speleologico e ai Corpi dei vigili del fioco
delle province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione
autonoma Valle d'Aosta.
1. Le disposizioni del presente decreto, ad eccezione dell'art. 7, si applicano anche al Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico, alle componenti volontaristiche della Croce Rossa Italiana nonche' agli organismi equivalenti esistenti nella regione Valle d'Aosta e nelle province autonome di Trento e di Bolzano ed ai Corpi dei vigili del fuoco volontari dei comuni delle medesime province autonome e alla componente volontaria del Corpo valdostano dei vigili del fuoco.
2. L'organizzazione per i volontari della Croce Rossa Italiana, ivi comprese le disposizioni in materia di caratteristiche, visibilita' e sicurezza dell'uniforme identificativa, comprende una articolazione di compiti e responsabilita', a livello centrale e territoriale, conforme al principio di effettivita' di cui all'art. 299 del decreto legislativo n. 81/2008.
3. Resta fermo che al personale volontario del corpo nazionale dei vigili del fuoco di cui all'art. 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, continuano ad applicarsi le disposizioni previste per il personale permanente del medesimo corpo. Art. 7
Disposizioni relative alle cooperative sociali
l . Le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo n. 81/2008 si applicano nei confronti del lavoratore o del socio lavoratore delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, che svolga la propria attivita' al di fuori delle sedi di lavoro tenendo conto dei rischi normalmente presenti, sulla base dell'esperienza, nelle attivita' di cui all'art. 1, lettere a) e b), della legge 8 novembre 1991, n. 381. Ove il lavoratore o il socio lavoratore svolga la propria prestazione nell'ambito dell'organizzazione di un altro datore di lavoro, questi e' tenuto a fornire al lavoratore o al socio lavoratore adeguate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti in cui egli e' chiamato ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attivita'.
2. Ove le attivita' di cui al comma precedente siano svolte da soggetti che abbiano una riduzione della capacita' lavorativa superiore al 79% o minorazioni ascritte dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, o a lavoratori con handicap intellettivo e psichico, le attivita' di formazione, informazione e addestramento sono programmate e realizzate compatibilmente con il loro stato soggettivo.
3. Le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, assicurano che i volontari ricevano formazione, informazione e addestramento in relazione alle attivita' loro richieste. Art. 8
Disposizioni transitorie e finali
1. Sono considerate, ai fini dell'adempimento degli obblighi di cui all'art. 4, comma 1, le attivita' di cui abbia beneficiato il volontariato, compatibilmente con gli scenari di rischio ove gia' individuati dalle autorita' competenti, anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
2. Le disposizioni del presente decreto hanno effetto decorsi 180 giorni dalla data di pubblicazione del medesimo.
3. Il presente decreto sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Roma, 13 aprile 2011
Il direttore generale della tutela
delle condizioni di lavoro
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Mastropietro
Il Capo del dipartimento
della prevenzione e della comunicazione
del Ministero della salute
Oleari
Il Capo del dipartimento della protezione civile
Gabrielli
Il Capo del dipartimento dei vigili del fuoco,
del soccorso pubblico e della difesa civile
del Ministero dell'interno
Tronca
Registrato alla Corte dei conti il 30 giugno 2011 Ufficio di controllo preventivo sui Ministeri dei servizi alla persona e dei beni culturali, registro n. 9, foglio n.307
Contatti
GruppotrialVia Mazzini 5
22070 BREGNANO co
3339084840
https://www.youtube.com/motoclubileoni
gruppotrialprotezionecivile@gmail.com
Sondaggio
Quali informazioni vorresti trovare sul sito ?
articoli di legge (774)
articoli stampa sulle calamità naturali (46)
invia una richiesta con il modulo commenti (50)
video calamità naturali e non (52)
Voti totali: 970
CORSO BASE TIPO
Lezione n. 1-Protezione Civile in ambito locale e nazionale / deontologia del volontario / storia
ORGANIZZAZIONE= Associazione di persone collegate tra loro in una struttura organica per cooperare a un fine comune
VOLONTARIATO = “Prestazione volontaria e gratuita della propria opera e dei mezzi di cui si dispone a favore di categorie di persone che hanno gravi necessità e assoluto e urgente bisogno di aiuto e di assistenza, esplicata per far fronte a emergenze occasionali (come attività individuale o di gruppi e associazioni). Il volontariato è un servizio sociale.
VOLONTARIO = Chi assume un impegno o si presta a operare, a collaborare, a fare qualcosa di propria volontà, indipendentemente da obblighi e da costrizioni esterne
DATI = Nel secolo scorso le calamità naturali hanno ucciso nel mondo oltre 5 milioni di persone , colpendone altre 250 milioni. I danni maggiori sono stati provocati dai terremoti, dalle frane, dalle alluvioni e dalle eruzioni vulcaniche. L’ Italia, sia per la frequenza di episodi calamitosi sia per l’estensione di tali eventi in termini di danni e di perdita di vite umane, recita una parte importante.
STORIA
L’Italia è un paese che è stato ed è tuttora interessato da calamità di ogni natura. Secondo i dati disponibili, negli ultimi 80 anni si sono avuti 5.400 alluvioni e 11.000 frane e sono stati sostenuti oneri, negli ultimi 20 anni, di 150.000 miliardi di Euro per i danni dovuti a sismi e disastri idrogeologici. In passato ci si è trovati spesso impreparati ed impotenti nel fronteggiare gli eventi calamitosi. Gli interventi gestiti da istituzioni, organizzazioni solidaristiche e associazioni di operanti nell’attività sociale , generalmente mal coordinati e non sempre tempestivi, si limitavano al soccorso e gestione dell’emergenza.Le principali aggregazioni nate su queste spinte emotive che si possono ricordare sono gli ordini religiosi medioevali (templari,ecc.) le Misericordie fiorentine nate a Firenze tra il 200 e il 300 e i vigili del fuoco presenti già da diversi secoli nelle vallate alpine.L’impatto drammatico di calamità quali i terremoti del Belice, del Friuli, dell’Irpinia - le alluvioni del Po, dell’Arno - verificatesi negli ultimi 30 anni, ha imposto alle Istituzioni la necessità di delineare un quadro generale di razionalizzazione e coordinamento metodologico per una gestione ordinata e logica della materia. Con l’incalzare degli eventi calamitosi, è stato chiaro a tutti il valore strategico di un’unica struttura a livello nazionale che trattasse solo la Protezione Civile.Non un’Amministrazione con corpi specializzati di intervento ma un sistema capace di unire tutte le forze pubbliche e private già presenti sul territorio nazionale.Non si trattava di inventare nuove istituzioni, ma di utilizzare al meglio ciò che la comunità nazionale aveva già a disposizione. In seguito il concetto di Protezione Civile si è evoluto in altre direzioni includendo non solo le attività di soccorso e la gestione dell’emergenzama anche attività di previsione e prevenzione, incluso l'organizzazione dei grandi eventi. Aspetti essenziali che permettono, agli esperti, di realizzare non solo dei modelli di intervento operativi, ma di determinare i tipi di risorse da utilizzare nell’emergenza.
EVENTI CALAMITOSI DAL 1900 AL 2000
- 1904 Terremoto di Calabria - 557 vittime
- 1905 Terremoto di Calabria - 500 vittime
- 1908 Terremoto di Messina - 87.000 vittime
- 1915 Terremoto di Avezzano - 33.000 vittime
- 1917 Terremoto di Val Tiberina - 20.000 vittime
- 1919 Terremoto al Mugello - 100 vittime
- 1920 Terremoto in Garfagnana - 171 vittime
- 1930 Terremoto in Irpinia - 1425 vittime
- 1944 Eruzione del Vesuvio - 45 vittime
- 1951 Allivione del Polesine - 84 vittime
- 1963 Disastro del Vajont - 2000 vittime
- 1966 Alluvione di Firenze - 113 vittime
- 1976 Terremoto in Friuli - 976 vittime
- 1980 Terremoto in Irpinia - 3000 vittime
- 1983 Incendio Cinema Statuto di Torino - 84 vittime
- 1986 Disastro ICMESA di Seveso
-1987 Frana in Valtellina
- 1989 Disastri aerei di Azzorre e Cuba
- 1994 Alluvione in Piemonte e Liguria - 75 vittime
- 1997 Terremoto in Umbria - 11 vittime
- 1998 Frana a Sarno - 160 vittime
- 2000 Alluvioni in tutto il Nord Italia - 25 vittime
- 2001 Incidente aereo di Linate - 118 vittime
- 2002 Incidente aereo al Pirelli - 3 vittime
- 2002 Terremoto in Molise - 30 vittime
PRINCIPI DEL VOLONTARIATO
I principi del volontariato sono Preparazione (perchè senza non si è in grado si operare in nessun contesto), Continuità (perchè operando discontinuatamente non si rimane aggiornati e si rischia di compromettere il buon operato della Protezione civile), e motivazione (perchè senza motivazione, è inutile che si faccia volontariato!)
ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO (OOV)
Le oov si distinguono in due gruppi: Associazioni di volontariato, e Gruppi Comunali. la differenza sostanziale, oltre al diretto controllo da parte del comune, sta che all'interno delle Associazioni il Legale rappresentante è il Presidente, eletto democraticamente dall'assemblea dei soci, mentre nei gruppi comunali è il Sindaco.
I settori di operatività delle OOV sono: Assistenziale, Antincendio, Cinofilo (da valanga, ricerca in superfice, fire dog, ricerca su macerie, ricerca resti umani, soccorso in acqua), Telecomunicazioni e radiocomunicazioni, Logistico, Sanitario, Soccorso alpino, Psicologico e Subacqueo.
Le OOV collaborano "a cascata" (ovvero in base al tipo di emergenza si sale di livello) con le istituzioni: Comune, Provincia, Regione e Dipartimento della Protezione Civile
I campi di azione delle OOV sono: Previsione, Prevenzione, Emergenza, e Superamento con lo scopo di ricostruire il tessuto sociale che a causa di un evento è venuto a mancare.
IL SISTEMA DI PROTEZIONE CIVILE NAZIONALE
Costituiscono strutture operative nazionali del Servizio Nazionale della protezione civile:
Il Corpo Nazionale dei Vigile del Fuoco, quale componente
fondamentale della protezione civile
b) Le Forze Armate
c) Le forze di Polizia (P.S.-C.C.-G.d.F.)
d) Il Corpo Forestale dello Stato
e) I servizi tecnici nazionali
f) I gruppi nazionali di ricerca scientifica, l’Istituto Nazionale di geofisica
g) La Croce Rossa Italiana
h) Le strutture del servizio sanitario nazionale
i) Il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino
j) Le organizzazioni di volontariato
(Legge 225/92)
METODO AUGUSTUS
Questo metodo prevede varie fasi, prima su tutte la definizione dello scenario ovvero l'area che deve essere sottoposta a pianificazione, successivamente l'individuazione dei rischi peculiari all'area in questione e per ultimo il dispositivo ovvero "chi fa? che cosa?". Quest'ultima fase avviene attraverso l'individuazione di 14 funzioni di supporto che corrispondono a tutte le figure istituzionali competenti e specifiche per ogni settore. Tali funzioni sono direttamente coinvolte durante l'emergenza stessa, ma soprattutto nelle fasi precedenti ad essa di pianificazione e prevenzione. Le 14 funzioni, sono tali in tutto il territorio nazionale e a tutti i livelli (nazionale, regionale, provinciale), tranne nel caso dei Comuni dove avviene una pianificazione che individua 9 funzioni di supporto.
Quando necessario, le funzioni vengono attivate e chiamate a prendere posto presso i Centri Operativi. Questi ultimi possono essere di vario livello, a seconda del tipo di estensione geografica dell'emergenza. A livello comunale (emergenza locale), verrà attivato un C.O.C. acronimo di Centro Operativo Comunale ed è presieduto dal Sindaco o suo delegato (massima autorità di Protezione Civile a livello comunale). A livello provinciale verranno attivate due strutture operative ovvero: il C.C.S. ovvero Centro Coordinamento Soccorsi che ha sede presso la Prefettura della provincia e allo stesso tempo vengono attivati uno o più C.O.M., Centri Operativi Misti. Questi ultimi hanno la peculiarità di essere presenti il più vicino possibile al luogo dell'evento ed essere così un "occhio" e "braccio operativo" del C.C.S. presieduto dal Prefetto o suo delegato (autorità di Governo provinciale). A livello regionale avremo un C.O.R. la cui autorità superiore è il Presidente della Regione. In caso di emergenza nazionale verrà attivata la Di.Coma.C acronimo di Direzione di Comando e Controllo, con sede presso il Dipartimento della Protezione Civile.
I responsabili sono solitamente funzionari di medio-alto livello dell'ente / struttura deputata all'esercizio della funzione, ed è da questi delegato a rappresentarli ed a gestirne le risorse attivate in emergenza. Il punto di forza di questo metodo è nella flessibilità di applicazione, che permette ad esempio di non attivare una o più funzioni nel caso non siano necessarie per lo svolgimento delle operazioni previste. Inoltre, la copresenza di tutti i responsabili di funzione (con relativo potere di attivazione e gestione in tempo reale - e di concerto - di tutte le forze impiegate) rende molto più efficace e tempestiva l'integrazione delle operazioni "joint".
Le quattordici funzioni, individuate in breve dalla lettera F e da un numero progressivo, sono:
F 1 - Tecnica e di pianificazione
F 2 - Sanità, assistenza sociale e veterinaria
F 3 - Mass-media e informazione
F 4 - Volontariato
F 5 - Materiali e mezzi
F 6 - Trasporti, circolazione e viabilità
F 7 - Telecomunicazioni
F 8 - Servizi essenziali
F 9 - Censimento danni a persone e cose
F 10 - Strutture operative
F 11 - Enti locali
F 12 - Materiali pericolosi
F 13 - Assistenza alla popolazione
F 14 - Coordinamento centri operativi
In caso di evento bisogna immediatamente circoscrivere l'area evento seguendo un piano ben definito:
1. individuare le aree interessate
2. Suddividere la zona di crash con il metodo dei cerchi concentrici (zona rossa accessibile ai soli soccorritori, zona gialla are di afflusso limitato ai mezzi di soccorso, zona verde area di ammassamento dei mezzi di soccorso)
3. Predisporre le zone dove allestire:
- P.M.A. (Posto Medico Avanzato)
- P.C.A. (posto di comando avanzato)
- Elisuperfice (Militare e Sanitaria)
- Area di ammassamento dei mezzi di soccorso
4. Il corridoio per i mezzi di soccorso e il corridoio sanitario
5. il corridoio per le vie di fuga
6. il corridoio per l'evaquazione
7. le vie di comunicazione alternative
8. I mezzi di comunicazione
9. le risorse
10. l'informazione alla popolazione
LEZIONE N. 2 LEGISLAZIONE
La prima legge in materia di Protezione civile risale al 1970 con la legge n. 996 (norme sul soccorso e l'assistenza alle popolazioni colpite da calamità), per avere una legge che regolamenta il soccorso volontario, bisognerà aspettare fino al 1992 con la legge quadro sul volontariato di Protezione civile (n. 266), fino ad approdare nel 1992 con la legge n. 225 con l'istituzione del servizio nazionale di Protezione civile.
ART. 27 COSTITUZIONE C. 1 - La responsabilità penale è personale
Il volontario, come tutti gli altri individui è soggetto a responsabilità civile e penale dovute a comportamenti che hanno avuto conseguenze rilevanti. Però, mentre per la responsabilità civile può rispondere anche l’ente o l’organizzazione per cui opera il volontario, oltre al volontario stesso, per la responsabilità penale che sorge davanti ad un reato, risponde sempre e solo la persona
fisica che lo ha commesso.
LEGGE 266/91- Legge quadro sul volontariato di Protezione civile
Art. 4 - assicurazione degli aderenti alle ov (implementato dal DM24/02/92 Obbligo alle Organizzazioni di Volontariato ad assicurare i propri aderenti che prestano attività di volontariato, contro gli infortuni e le malattie connesse allo svolgimento dell’attività stessa, nonché per la responsabilità civile per danni cagionati a terzi dall’esercizio dell’attività medesima.)
Art 7 convenzioni
- C1. Lo stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali egli altri enti pubblici possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato iscritte da almeno sei mesi nei registri di cui all’articolo 6 e che dimostrino attitudine e capacità operative.
-C2. Le convenzioni devono contenere disposizioni dirette a garantire l’esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività oggetto della convenzione, nonché il rispetto dei dirittie della dignità degli utenti. Devono inoltre prevedere forme di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità nonché le modalità di rimborso delle spese.
-C3. La copertura assicurativa di cui all’articolo 4 è elemento essenziale della convenzione e gli oneri relativi sono a carico dell’ente con il quale viene stipulata la convenzione medesima.
LEGGE 225/92 - Istituzione del servizio nazionale di Protezione civile
Costituiscono strutture operative nazionali del
Servizio Nazionale della protezione civile:
(vedere lezione n.1)
art. 18 volontariato- Il Servizio Nazionale della protezione civile assicura la più ampia partecipazione dei cittadini, delle associazioni di volontariato e degli organismi che lo promuovono all’attività di previsione, prevenzione e soccorso, in vista
o in occasione di calamità naturali, catastrofi.
Inoltre ci sono vari riferimenti legislativi che regolamentano e tutelano il volontariato di Protezione civile:
Dpr 613/94 - Regolamento recante norme concernenti la partecipazione delle associazioni di volontariato nelle attività di Protezione Civile
Dpr 194/01 - Regolamento recante nuova disciplina della partecipazione delle organizzazioni di volontariato alle attività di Protezione Civile
Dl 112/98 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali" art. 108 p. C c.6 - utilizzo del volontariato di protezione civile a livello comunale e/o intercomunale
art. 31. Nell’ambito del sistema regionale di protezione civile, le province provvedono:
b) al coordinamento delle organizzazioni di volontariato di protezione civile esistenti sul territorio provinciale, sulla
base delle direttive regionali di cui all’articolo 4, comma 11, e limitatamente agli eventi di cui all’articolo 2, comma 1,
lettera b), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile)
raccordandosi con i comuni interessati dall’evento
calamitoso e dandone comunicazione alla regione;
Inoltre la Regione Lombardia riconosce la funzione del volontariato come espressione di solidarietà sociale, quale forma
spontanea, sia individuale che associativa, di partecipazione dei cittadini all’attività di protezione civile a tutti i livelli, assicurandone l’autonoma formazione e lo sviluppo con la Legge regionale n. 16/04.
Queste sono solamente delle nozioni fondamentali di Legislazione in materia di volontariato di Protezione civile, esistono inoltre innumerevoli leggi che variano dal CC al CDS che interessano il volontariato di PC, che tutti devono sapere!
LEZIONE N. 3 -PIANIFICAZIONE DEL RISCHIO
COS'E LA PROTEZIONE CIVILE?
E’ ormai sufficientemente accettato che l’incidente diventa catastrofe ed il soccorso diventa Protezione Civile quando la gravità o la
complessità di un evento calamitoso sono tali da richiedere un intervento complesso coordinato di più forze specialistiche. La Protezione Civile è stata quindi definita come “l’insieme coordinato delle attività volte a fronteggiare eventi straordinari che non
possono essere affrontati da singole forze ordinarie". Non è un sistema nel quale partecipano solo gli
addetti ai lavori, ma è un interesse di tutti (infatti come recitava il vecchio slogan:"Protezione civile, di tutti con tutti"), pur con l’ampio impiego delle forze istituzionalmente preposte agli interventi. Non si riuscirà mai a costruire un sistema efficace di Protezione Civile senza un coinvolgimento di massa dei cittadini, adeguatamente organizzati mediante le Associazione di Volontariato.
La definizione ONU di Protezione civile è:Un servizio di gestione dell’Emergenza, organizzato in termini di leggi appropriate e procedure definite, capace di contrastare l’impatto sulle comunità di qualsiasi disastro, emergenza naturale o causata dall’uomo, attraverso l’addestramento, la correlazione, la cooperazione e l’applicazione coordinata di tutte le risorse umane e tecnologiche
disponibili.
In Italia, la Protezione civile comprende tutte le attività di prevenzione delle catastrofi perchè non esistono altre strutture che se ne occupano con continuità.Per colmare il vuoto la Protezione civile lavora piuttosto sulla mitigazione del rischio che non semplicemente nella gestione dei soccorsi.L’Emergenza è sempre presente, sul territorio in cui viviamo ci sono tutte le premesse perché possa avvenire un disastro in qualsiasi momento.siamo, cioè in presenza costante di una “ Emergenza Latente"
EMERGENZA LATENTE
Il concetto è fondamentale per arrivare alla definizione di Protezione Civile modernamente intesa, cioè non solo come cultura del soccorso, ma come cultura della mitigazione del rischio. Occorre agire sulla vulnerabilità del territorio per ridurre il danno, intervenendo, con azioni strutturali e non, sui tre sistemi che costituiscono la complessità della nostra società: sistema naturale, sociale e politico.
Sistema naturale: Esprime la vulnerabilità geografica e fisica del territorio, derivante dalla presenza di elementi naturali di
pericolo; è certamente il punto più delicato su cui intervenire. La mitigazione è spesso impossibile, ma a volte si possono realizzare opere, lavori di contenimento o di rinaturalizzazione, o interventi di altro tipo atti a contenere e regimentare il rischio.
Sistema sociale: Esprime la vulnerabilità sociale, derivante dalla presenza umana; in questo caso la mitigazione comprende tutte quelle misure di carattere collettivo che possono essere prese nella gestione del territorio, nell’urbanizzazione.
Sistema Politico: Esprime la vulnerabilità gestionale o organizzativa intesa come capacità di attrezzarsi per l’emergenza, lungimiranza nell’organizzazione delle risorse umane, nella pianificazione, esercitazione e informazione alla popolazione.
SISTEMA REGIONALE DI PROTEZIONE CIVILE
Come già detto tra i compiti della Protezione civile (se non il fondamentale) rientra anche la prevenzione, esistono tre tipi di prevenzione:
-Prevenzione a brevsissimo termine:sviluppando azioni di preannuncio e allertamento degli eventi calamitosi attesi.
-Prevenzione a breve/medio termine: progettando e realizzando opere di difesa del suolo, di monitoraggio dei rischi e di ingegneria naturalistica, sviluppando la pianificazione di emergenza degli Enti Locali
-Prevenzione a lungo termine: agendo sui fattori urbanistici e territoriali, sviluppando politiche rigorose di protezione e conoscenza e controllo del Territorio. A livello regionale, dopo la riforma costituzionale del Titolo V, si parla di “Sistema Regionale di Protezione Civile”, in cui
forze istituzionali e forze volontarie, Regione ed Enti locali, svolgono tutti insieme, in modo sinergico, la funzione di PROTEZIONE CIVILE
Quindi per ricapitolare: La Protezione civile svolge un’attività di COORDINAMENTO, anzi di GOVERNO e di INTEGRAZIONE di forze
diverse, che hanno scarsa attitudine a lavorare insieme, e che invece servono tutte in caso di emergenza. Un insieme di forze,
istituzionali e volontarie, che in caso di emergenza cooperano tra loro per proteggere persone e beni, e per soccorrere quanti sono in
difficoltà!
LEZIONE 4 - RISCHI ANTROPICI E NATURALI
PICCOLO GLOSSARIO SUL RISCHIO
Rischio incontro = fra Pericolo e Vittima
Pericolo = misura dell’anomalia e della gravità di un evento
Debolezza = vulnerabilità o attitudine a subire un danno
Previsione = conoscere anticipatamente
Prevenzione = diminuire la probabilità dell’evento e i suoi danni
CALCOLO DEL RISCHIO
L'indice di rischio di un evento lo si calcola con una proporzione semplicissa:
R=PxV
R= RISCHIO ovvero valore atteso di perdite dovuto al verificarsi di un evento in una data area
P= PERICOLO ovvero la probabilità che un fenomeno di una determinata intensità si verifichi in una data area
V= VULNERABILITA’ ovvero la fragilità di un territorio o propensione a subire danneggiamenti
CLASSIFICAZIONE DEL RISCHIO
In ambiti di Protezione civile i rischi si suddividono in due categorie: Per origine e per scenari. Andiamo ora a esaminare i rischi per origine.
I rischi si catalogano per origne naturale (o morfologica) e antropici.
I rischi naturali sono processi naturali che, per l’irregolarità e le dimensioni delle manifestazioni, minacciano l’esistenza dell’uomo e la superficie terrestre e quindi limitano la possibilità di sfruttare le risorse ambientali ed esercitano un’azione pregiudizievole sui sistemi ecologici.
Mentre i rischi antropici sono situazioni artificiali dovute alle iniziative e alle attività dell’uomo che sottopongono gruppi di umani
a minacce di inquinamento, guasti delle comunicazioni, problemi generali di vita e di sopravvivenza.
Inoltre è poi possibile catalogare i rischi in base a 7 grandi scenari di maggior portata e raggruppare fatti diversi nel loro sviluppo ma scientificamente omogenei o affini:
- Scenario sismico
-Scenario vulcanico
-Scenario chimico
-Scenario idrogeologico
- scenario "fuoco"
- Scenario nucleare
- Scenario derivato dal trasporto si sostanze.
DIFESA DEI BENI CULTURALI
La difesa dei beni culturali è un’attività che attraversa trasversalmente quasi tutti i rischi descritti: sismi, eruzioni vulcaniche, inondazioni, terremoti possono avere conseguenze devastanti sull’immenso patrimonio localizzato su tutto il territorio nazionale.
Effetti nocivi sono dovuti anche alla qualità dell’aria e delle acque meteoriche (piogge acide).
RISCHIO SISMICO
Il rischio sismico è definibile come l’incrocio tra i dati di pericolosità (definizione delle strutture sismogenetiche e capacità di caratterizzazione dell’eccitazione sismica ad esse asssociata),di vulnerabilità (capacità degli oggetti esposti di resistere alle
sollecitazioni) e di esposizione (presenza sul territorio di manufatti a rischio).
Il 40% della popolazione italiana vive in aree a rischio sismico.In queste aree il 64% degli edifici non è costruito secondo le norme
antisismiche.
In Italia dal 1000 ad oggi si sono avuti 30.000 terremoti, dei quali circa 200 disastrosi. I terremoti hanno causato la morte di 120.000 persone nell’ultimo secolo.
Cosa sono i terremoti? Fenomeni distruttivi dovuti alla frammentazione della litosfera, con conseguente propagazione di onde d’urto fino alla superficie terrestre.Definizioni importanti: epicentro (punto all'interno della Terra ove inizia a propagarsi la frattura che origina un terremoto.La distanza tra epicentro e ipocentro è detta profondità focale), ipocentro (punto dell'epicentro in superfice) . Rischio Maremoto se l’evento avviene in o vicino al mare
COSA FARE IN CASO DI TERREMOTO
Prima della scossa: informarsi se si abita in zone a rischio, sapere quali sono i punti più sicuri in casa (muri portanti, travi in cemento armato), del luogo dove ti trovi, informarsi dove si trovano gli interruttori di luce, acqua e gas, sapere, individuare e provare l'efficenza delle porte di sicurezza, evitare di mettere mobili che cadendo ostruiscono vie di fuga, informarsi dove si trovano luoghi sicuri aperti nella zona in cui ci si trova, assicurarsi che tutte le persone che vivono con noi sappiano cosa fare.
Durante la scossa, se ti trovi in luogo chiuso: mantieni e contribuisci a mantenere la CALMA, non precipitarti fuori, ma rimani dove ti trovi, riparati sotto tavoli, architravi, o muri portanti, allontanati da finestre, porte a vetri o armadi che cadendo possono ferirti, dopo la scossa, se possibile stacca gli interruttori di luce e gas, finita la scossa lascia l'edificio SENA USARE ASCENSORI e persorrendo le scale lato muro col dorso della mano rivolto verso il muro tastandolo.
Durante la scossa se ti trovi in luogo aperto: allontanarsi da edifici, alberi, lampioni, linee elettriche o telefoniche che cadendo possono ferirti, cerca un posto dove non hai nulla sopra di te, o al massimo cerca riparo sotto panchine o qualcosa di solido, non avvicinarti agli animali perchè potendo essere spaventati reagiscono in maniera violenta.
Dopo la scossa: verivica lo stato di salute di chi hai attorno e soccorri chi ne ha bisogno, accertati che non vi siano principi di incendio, raggiungi le aree di raccolta prestabilite, usa il telefono e apparati radio SOLO in caso di estrema necessità.
RISCHIO INCENDI BOSCHIVI
Gli incendi boschivi costituiscono attualmente la causa più importante di distruzione del patrimonio boschivo nei paesi dell’area.
In Italia ogni anno mediamente si registrano 50.000 incendi con la distruzione di circa 800.000 ettari di bosco.Negli ultimi 20 anni sono stati distrutti dal
fuoco circa 2.697.000 ettari di superficie (per maggiori dettagli si rimanda al post sull'antincendio)
TEMPORALI CON FULMINI
In caso di temporali con fulmini, se si è all'aperto assumere la posizione accovacciata a piedi uniti e con le ginocchia verso il petto, se possibile raggiungere la macchina, levare l'antenna, e chiudersi dentro senza toccare parti metalliche del veicolo, se possibile riparati in luogo sicuro e al coperto, se ciò non è possibile allontanati da alberi, creste, picchi, non aprire l'ombrello e togliti gli oggetti metallici di dosso.
Se invece si è in casa verificare che porte e finestre siano ben chiuse, stacca le spine dalle prese e gli spinotti delle antenne tv e radio, se si ha un camino, evitare di stargli vicino durante la tempesta.
TROMBA D'ARIA
Se si è all'aperto ripararsi in una zona sicura e al coperto e rimani in attesa che la tromba d'aria sia pasasta.
se si è in casa non uscire e verifica che porte e finestre siano ben chiuse, ascolta radio e tv per informarsi per l'evento, usa il telefono solo in caso di reale emrgenza.
Se si è in auto guida lentamente (max 30 km/h) e raggiungere un'area protetta, evita le pozze d'acqua (gli schizzi potrebbero mandare in corto la centralina elettrica, bloccando il veicolo), usa marce basse e motore al massimo (per evitare di far entrare acqua nella marmitta)
BLACKOUT
In caso di blackout tieni a portata di mano una torcia, e una radio con delle pile, non aprire congelatori e frigoriferi, se non per estrema necessità, se si ha un telefono cellulare, tenerlo acceso perchè potrebbero arrivare sms sullo stato del black out (tenerne acceso solo uno alla volta), al verificarsi di un black out prolungato, accendi la radio per ascoltare i messaggi diramati dalle autorità, non utilizzare ascensori, usa il telefono solo in caso di reale emergenza, se si deve usare autoveicoli, prestare la massima attenzione agli incroci, alla rirpesa dell'energia elettrica, modera i consumi, non accendendo in contemporanea tutti gli elettrodomestici.
RISCHIO NUCLEARE
Nel nostro paese non esistono più impianti nucleari attivi, tuttavia esistono rischi dovuti ad ex impianti nucleari, che attualmente stoccano materiale radioattivo.Deriva dagli effetti nocivi che l’esposizione alle radiazioni ionizzanti comporta sulla vita umana, animale e vegetale. Esistono due tipologie di
rischio nucleare: una derivante dalla possibilità di incidenti in centrali nucleari, l’altra determinata dall'uso di armi nucleari
CONTAMINAZIONE NBCR (Nucleare, Biologico, Chimico, Radioattivo)
Alla diramazione di un'allarme di questo tipo sa parte delle autorità bisogna seguire determinate procedure:
Se ti trovi in un luogo chiuso: mantieni la CALMA e reagisci in maniera RAZIONALE, non precipitarti fuori, verifica che siano ben chiuse porte e finestre e sigillale con teli di plastica e nastro adesivo (in mancanza va benissimo stracci umidi e silicone) soprattutto nelle fessure tra porta e pavimento. Chiudi e sigilla camini, condotti di areazione, ventilatori e aperture verso l'esterno, evitare l'uso di telefono e apparecchi radiotrasmittenti, da usare SOLO in caso di reale necessità, accendi la tv o la radio per rimanere in ascolto delle indicazioni fornite dalle autorità, poichè tali contaminazioni possono durare nel tempo sarebbe consigliabile essere forniti di una buona scorta di acqua e generi alimentari in scatola, oltre che disinfettanti vari, mascherine, guanti e stivali in gomma, attendi la comunicazione di CESSATO ALLARME prima di uscire dall'ambiente in cui ti trovi e attieniti alle istruzioni delle autorità competenti per un'eventuale decontaminazione dell'ambiente in cui ti trovi e degli oggetti in esso contenuti.
Se ti trovi in luogo aperto: Raggiungi immediatamente il più vicino luogo chiuso e rimanici fino al termine dell'emergenza, se sei in automobile blocca i finestrini e le bocchette di areazione, lasciando il riciclo dell'aria interna.
RISCHI TECNOLOGICI
In Italia i rischi tecnologici si suddividono in due rischi: quello che riguarda le industrie a rischio, e il trasporto di sostanze pericolose.
Rischio derivato da industrie a rischio
COSA SONO : Realtà industriali che utilizzando o detenendo particolari sostanze espongono la popolazione al rischio industriale
ESEMPI DI RISCHIO:Incendio Esplosione Nube tossica.
TIPOLOGIE DI INDUSTRIE: Petrolchimico, farmaceutico, lavorazioni galvaniche, lavorazione esplosivi, stoccaggio materiale radioattivo ecc....
In Italia, a seguito del disastro dell'ICMESA di Seveso, sono state fatte delle leggi per monitorare e creare delle Procedure Operative Standard (P.O.S.) in caso di disastro, sotto il nome di "Direttiva Seveso". In Italia oltre 450 industrie eseguono questa direttiva
LA P.O.S. (PROCEDURA OPERATIVA STANDARD)
Dato che è impossibile eliminare tutti i rischi associati con la produzione, lo stoccaggio, il trasporto e l’utilizzo delle sostanze pericolose, esisterà sempre la necessità di disporre di personale soccorritore efficiente e bene addestrato.Insieme alla raccolta dei piani di emergenza per scenari predeterminati, sarà quindi sempre necessario far ricorso a procedure operative standard di tipo generale che debbono essere implementate da Teams di Gestione dell'Emergenza particolarmente capaci, preparati e -soprattutto- mantenuti in costante allenamento. Sotto certi aspetti, la Procedura Operativa Standard è una specie di piano di emergenza; nella P.O.S. non si fa altro che ipotizzare possibili casistiche (quasi sempre mutuate dalle esperienze precedenti o dallo studio di altri piani di emergenza) per le quali si standardizza il relativo comportamento dei soccorritori durante
l'incidente. Per il Team di Gestione dell'Emergenza spesso è già molto importante l'aver stabilito nella procedura anche solo gli aspetti generali della gestione dell'emergenza, prevedendo il giusto spazio per un adattamento delle soluzioni allo specifico scenario. Le caratteristiche della POS sono che: sono scritte, sono ufficiali, sono obbligatorie e vengono applicate a tutte le situazioni
SVILUPPO DEL SISTEMA DI UN INCIDENTE INDUSTRIALE
Ogni azienda ha la "griglia di sontonia operativa", ovvero una tabella dove sono presenti tutti i tipi di scenari che potrebbero verificarsi, i gruppi che potrebbero essere coinvolti nell'incidente, la sequenza temporale delle azioni da intraprendere e i compiti dei vari dipendenti.
Esistono due tipi di emergenze industriali, l'emergenza interna limitata all'interno dell'azienda, e qella esterna, che oltre al perimetro industriale, comprende (di solito per fuoriuscita di nubi tossiche) il territorio circostante all'azienda. Per il superamento dell'emergenza industriale esistono cinque fasi che coinvolgono categorie precise di addetti ai lavori:
FASI GESTIONE SUPERAMENTO DELL'EMERGENZA:
1- Sviluppo incidente - Protagonisti: le persone direttamente coinvolte nell'incidente(operai, conduttori dell'impianto, autotrasportatori)
2- Stabilizzazione - Protagonisti:le persone, non direttamente coinvolte, che vengono man mano a conoscenza dell'incidente (altri operai, impiegati, altri utenti della strada, passanti)
3- Conclusione - le squadre di primo soccorso (VVF, 118, FFOO, PC)
4 - Ripristino servizi essenziali/ bonifica - il personale specialista (squadre speciali dei vigili del fuoco, tecnici aziendali provenienti da altri stabilimenti, ASL, società per la bonifica, genio Militare/civile)
5 - Le autorità - sindaco, prefettura, responsabiil aziendali ecc....
SISTEMA A OTTO PASSI
1 - Controllo e gestione del sito
2 - Identificazione del materiale coinvolto
3 - Analisi dei pericoli e del rischio
4 - Valutazione degli indumenti protettivi e delle
attrezzature
5 - Coordinamento delle informazioni e delle risorse
6 - Controllo, confinamento e contenimento del
prodotto
7 - Decontaminazione
8 - Chiusura dell'intervento
RISCHIO DERIVATO DA TRASPORTO DI SOSTANZE
E’ rappresentato dal trasporto su gomma, treni, aerei, navi, ferrovie, di merci pericolose che viaggiano e sostano anche in centri abitati, con un potenziale pericolo di incidente rilevante non sempre identificabile in assenza di visibili accorgimenti segnaletici, raffigurati dal codice kemler.
CODICE KEMLER
Rappresenta un metodo codificato di identificazione delle sostanze pericolose viaggianti su strada o ferrovia. Le indicazioni fornite riguardano:
• dannosità alla salute del soccorritore
• equipaggiamento minimo consigliato
per la protezione dei soccorritori;
• precauzioni da prendere in attesa dei
Vigili del Fuoco.
(Accordo Europeo relativo al Trasporto Internazionaledi merci pericolose su strada, Ginevra, 30/09/1957)
In Italia, ai sensi dei DD.MM 25/2/86 e 21/3/86 la codifica delle materie pericolose èriportata su un pannello arancione (30 X 40 cm) apposto su cisterne e contenitori trasportati su strada. Su tali mezzi vengono collocati due tipi di cartelli segnaletici ovvero un pannello rettangolare di colore arancione con codici di pericolo, e dei segnali romboidali con immagini raffigurate per stabilire il tipo di intervento da effetturare
PANNELLO CODICI DI PERICOLO
E’ di colore arancio ed ha forma rettangolare. Il codice di pericolo è riportato nella parte superiore ed è formato da due o tre cifre: La prima cifra indica il pericolo principale, la seconda e terza cifra indica il pericolo accessorio. Il codice della materia (numero O.N.U.) è' riportato nella parte inferiore ed è formato da quattro cifre
SIGNIFICATO DEI CODICI DI PERICOLO PRINCIPALE:
-2 Gas
-3 Liquido infiammabile
-4 Solido infiammabile
-5 Comburente
-6 Tossico
-7 Radioattivo
-8 Corrosivo
-9 Pericolo di reazione violenta spontanea
SIGNIFICATO DEI CODICI DI PERICOLO ACCESSORI:
- 1 Esplosione
- 2 Emanazione gas
- 3 Infiammabile
- 5 Comburente
- 6 Tossico
- 8 Corrosivo
- 9 Reazione violenta (decomposizione spontanea
NUMERO ONU CODICE MATERIA:
• 1001 acetilene
• 1223 kerosene
• 1005 ammoniaca anidra
• 1230 alcool metilico
• 1011 butano
• 1267 petrolio
• 1016 ossido di carbonio
• 1268 olio lubrificanti motori
• 1017 cloro
• 1001 acetilene
• 1223 kerosene
• 1005 ammoniaca anidra
• 1230 alcool metilico
• 1011 butano
• 1267 petrolio
• 1016 ossido di carbonio
• 1268 olio lubrificanti motori
• 1017 cloro
• 1381 fosforo
• 1027 ciclopropano
• 1402 carburo di calcio
• 1028 freon 12
• 1428 sodio
• 1038 etilene
• 1547 anilina
• 1040 ossido di etilene
• 1613 acido cianidrico
NOTE:
• Quando il pericolo può essere sufficientemente indicato da una sola cifra, essa è seguita da uno zero.
• Le prime due cifre uguali indicano un rafforzamento del pericolo principale.
• La seconda e terza cifra uguali indicano un rafforzamento del pericolo accessorio.
• La X davanti al codice di pericolo indica il divieto di utilizzare l'acqua in caso di incidente, salvo il caso di autorizzazione contraria da parte degli esperti..
Siccome non riesco a postare le immagini, per i pannelli di pericolo, e i colori del collo delle bombole, rimando al sito del CNVVF:
https://www.vigilfuoco.it/aspx/page.aspx?IdPage=3693
https://www.vigilfuoco.it/aspx/page.aspx?IdPage=3453
RISCHIO ECOLOGICO
E’ strettamente collegato con l’attività umana, può essere determinato da varie cause, tra cui le principali sono rappresentate dall'inquinamento atmosferico, idrico e del suolo.
Prendiamo ad esempio il comportamento da tenere in caso di allarme da rilascio di nube tossica: Mantieni la calma e non farti prendere dal panico, interrompi ogni attività, sigilla porte e finestre che danno verso l'esterno, prendi un indumento per proteggerti dal freddo, dalla pioggia e/o dal sole e porta con te uno zaino con torcia e medicinali prescritti dal medico, se ti trovi in un edificio con altre persone e devi allontanarti, incolonnati con loro per uscire, ricordati di non spingere, urlare, correre, dirigiti verso i locali più interni dell'edificio, non aprire per nessun motivo porte, finestre condotti di aerazione che danno verso l'esterno, spegni il sistema di ventilazione.
Lezione n. 5 - RISCHIO IDROGEOLOGICO
Il rischio idrogeologico è tra i rischi naturali, il più ricorrente, capillarmente diffuso su tutto il territorio nazionale, ed il piùgrave poiché è in grado di svolgere un’azione devastante a largo raggio sul territorio. In Italia, negli ultimi 80 anni, ci sono state 5.400 alluvioni e 11.000 frane.30 mila miliardi di lire di danni negli ultimi 20 anni.
RISCHIO IDROGEOLOGICO - FRANE
Un errato e sovradimensionato uso del territorio ha trasformato il naturale processo di modellazione della superficie terrestre in una calamità naturale, innescando o accelerando processi di degrado in aree già a rischio per caratteristiche climatiche, geologiche e geomorfologiche.
Le cause più frequenti di frane possono essere un'eccessiva occupazione del suolo per usi insediativi e attività industriali, sviluppo delle vie di comunicazione, eccessivo disboscamento, pratiche agricole non sufficientemente sperimentate.
Esistono quattro tipi di frane:
- Frana di crollo: Consistono nel distacco improvviso di grosse masse di roccia disposte su pareti molto ripide o scarpate; il movimento iniziale ha come componente principale la caduta verticale verso il basso, finché il materiale non raggiunge il versante ed avere dopo l'impatto rimbalzi e/o rotolamenti. Il crollo si attua quando la resistenza al taglio del materiale lungo una superficie diventa minore del peso proprio del blocco di roccia o terreno identificato da tale superficie. Questi tipi di frane sono caratterizzati da un'estrema rapidità. Il deposito conseguente alla frana è un accumulo al piede del pendio di materiale di diversa dimensione e in funzione delle caratteristiche fisiche del versante si può verificare anche che blocchi di maggiori dimensioni si trovino a notevole distanza dal luogo del distacco. Causa predisponente è l'esistenza di sistemi di fratturazione o scistosità. Cause innescanti sono gli scuotimenti tellurici (terremoti), il "crioclastismo" (ghiaccio nelle fessure), la pioggia, lo sviluppo vegetale di apparati radicolari, lo scalzamento del piede del versante ad opera dell'uomo o naturale (erosione).
- Frana di scivolamento:queste frane si realizzano in terreni dal particolare assetto geologico in cui materiali caratterizzati da un comportamento rigido sono sovrapposti a materiali dal comportamento plastico. L'espansione laterale è generata dal flusso del materiale plastico sottostante che provoca la progressiva fratturazione del materiale rigido sovrastante.
-Colamento: si definiscono colamenti quelle frane in cui la deformazione del materiale è continua lungo tutta la massa in movimento. Nel caso di colamenti in rocce non si può avere una visione immediata della superficie di frana, e oltretutto questi movimenti sono generalmente molto lenti e caratterizzati da processi di creep (deformazione di un materiale sottoposto a sforzo costante. Tale fenomeno è presente nei materiali viscoelastici (tra cui l'acciaio, il calcestruzzo e le materie plastiche).
Il fenomeno contrario, cioè la diminuzione nel tempo delle tensioni inizialmente create, a deformazione costante, è detto rilassamento degli sforzi.). I colamenti in terreni sciolti o detriti (earth flows) sono generalmente molto più facili da vedere in quanto la massa franata assume un aspetto molto simile a quello di un fluido ad alta viscosità. Queste frane si hanno in presenza di saturazione e successiva fluidificazione di masse siltoso-argillose in terreni di alterazione ad opera dell'acqua, la massa fangosa può anche coinvolgere nel suo movimento blocchi rocciosi di altra natura. Frane simili alle colate sono le frane per colata fangosa, frequenti nei periodi di pioggie intense e forti attività meteoritiche record, è un tipo di frana molto liquida, ed ha origine all’interno del manto di copertura piroclastica o comunque detritica giacente su substrato roccioso. In genere la frana inizia con un piccolo smottamento più a monte in corrispondenza di punti deboli (balze rocciose, strade, etc) che impatta sul versante di terreni saturi d’acqua che si mobilizzano e "scorrono" a valle con notevole energia. In genere la zona di "colata", a valle della nicchia di distacco, si imposta sulla superficie topografica naturale preesistente che funge da "piano di flusso". Quando la frazione liquida è predominate su quella solida il pendio attraversato si conserva integro con copertura erbosa intatta. In questi casi, e stante l'esistenza di condizioni geometriche ottimali, quali una sensibile lunghezza e pendenza del versante, la lunghezza totale della frana può essere di molte unità (5 - 10)superiore alla sua larghezza. La zona di accumulo, alla base del versante, è tipicamente in forma di ventaglio.
-Frane di sprofondamento: sono frane che, a causa della forte erosione sotterranea, e alla creazione di grotte interne, a causa della forte pressione ricevuta dal terreno, e ad un assottigliarsi dello stesso, cedono all'improvviso creando voragini nel terreno (es: Camion della spazzatura di Napoli caduto in una voragine simile), talvolta enormi creando buchi di decine di metro di diametro e centinaia di profondità, come avvenuto recentemente a Guatemala City.
Esistono diversi metodi per monitorare il movimento di una frana, i più usati sono:
- Fessurimetro: applicare nelle pareti di case costruite su versanti franosi a cavallo di una crepa evidente un'asta di metallo estendibile, in modo da poter misurare lo spostamento della crepa.
- Estensimetro tridimensionale: si tratta di bloccare l'estensimetro (asta di metallo allungabile) tra un creopaccio e l'altro e misurarne la distanza percorsa dal versante franoso.
-Misuratore di convergenza: Prendere due punti di riferimento tra un versante e l'altro, e misurare la distanza tra i due.
- Pluviometro: Misurare la quantità di piogge, per poter calcolare le probabilità di un'accellerazione del versante franoso verso valle (usato soprattutto per le frane a colata e colata liquida).
-Strumenti GPS: Misurare lo spostamento di un versante franoso con strumentazioni GPS, è un metodo molto preciso e maggiormente utilizzato a causa della precisione dei dati forniti e in tempo reale.
-Estensimetro a filo:Si tratta di conficcare due pali nel terreno, con attaccato un filo "molle", e in base all'esensione del filo, calcolare la distanza percorsa da una frana.
In caso di frana, se ci si trova al chiuso mantenere e contribuire a far mantenere la CALMA, non precipitarsi fuori, ma rimanere dove si è, ripararsi sotto un tavolo, l'architrave della porta o i muri portanti, allontanarsi da porte, finestre e armadi che cadendo possono ferire, dopo la frana abbandonare l'edificio senza usare l'ascensore.
Se si è per strada segnalare l'evento in modo visibile utilizzando il triangolo e altri strumenti di viabilità ausiliaria, ricorda di indossare SEMPRE abbigliamento AV, avvisa immediatamente le autorità competenti (FFOO, VVF, CFS, PC), o raggiungi il centro abitato più vicino.
RISCHIO IDROGEOLOGICO - RISCHIO DERIVATO DA CORSI D'ACQUA
PIENE
Anche le esondazioni possono imputarsi alla continua trasformazione del territorio che sottopone le difese idrauliche (argini,
briglie, chiaviche, scolmatori etc..) a sollecitazioni diverse da quelle di progetto con conseguente accelerato decadimento della loro funzionalità.
Le maggiori cause di piene possono essere l'ampliarsi delle superfici impermeabilizzate, eleminazione delle reti minori di scolo, eccessivo disboscamento e pratiche agricole non sufficientemente sperimentate.
I fenomeni che si verificano lungo i corsi d'acqua sono:
- Piene: Periodi in cui la portata d'acqua è superiore alla media senza che il fiume esondi
-Erosione: Processo causato dalla corrente di un fiume, che se non monitorato senza interventi di prevenzione, può portare ad un'indebolimento dell'argine con relativo crollo in caso di piena forte (rotte).
-Trasporto detritico: Trasporto di materiali varui che causano deposizioni sul letto del fiume, rallentandolo in caso di piena e aumentare il rischio di esondazione.
[B-]Esondazione:[/B] fuoriuscita del fiume dal proprio letto.
- Alluvione: Esondazione su larga scala
Per evitare ciò devono essere effettuati interventi di prevenzione lungo i corsi d'acqua:
Contenimento delle piene: evitare piene controllando il regime del fiume attraverso dighe e chiuse.
-Trattenuta del trasporto solido: Trattenere il materiale trasoprtato dalla corrente con le creazione di briglie che contengono tutto il materiale trasportato (e svuotate costantemente) creando un corso d'acqua a sbalzi.
- Raggiungimenti di un equilibrio fra i processi erosivi e quelli deposizionali lungo un profilo di compensazione
ALLUVIONI
In caso di alluvioni se l'edificio è su più piani e ti trovi al piano terra o al seminterrato mantieni e contribuisci a mantenere la CALMA, interrompi immediatamente ogni attività, prendi immediatamente un indumento per proteggerti dal freddo o pioggia. Prendi uno zaino con torcia e medicinali prescritti dal medico, in tutta TRANQUILILTA' dirigiti ai piani superiori dell'edificio, incolonnati con le altre persone e ricordati dinon SPINGERE, CORRERE, URLARE.
Se ti trovi al primo piano o superiore di un edificio interrompi immediatamente ogni attività, disponi eventuali effetti personali in modo che NON creino ingombro alle persone che aiuterai dando loro ospitalità, preparati ad accogliere le persone che giungeranno dai piani inferiori, mantieni e contribuisci a far mantenere la calma.
Se l'edificio è composto solo dal piano terra mantieni la calma, interrompi ogni attività, prendi immediatamente un indumento per proteggerti dal freddo o pioggia. Prendi uno zaino con torcia e medicinali prescritti dal medico,incolonnati con le altre persone, ricordati di non SPINGERE, URLARE, CORRERE, dirigiti verso il luogo di raccolta previsto dal Sindaco nel Piano di Evaquazione per Alluvione.
FASI DELL'EMERGENZA
Normalità: In questa fase il fiume risiede nel suo letto. Durante questa fase non bisogna effettuare particolari controlli su di esso, al massimo controllare i punti in cui avviene una maggiore erosione.
Allerta:Il livello del fiume inizia ad aumentare come la sua portata, questo può essere dovuto a piogge, o discioglimento dei ghiacci in primavera. Durante questa fase bisogna controllare il livello del fiume possibilmente ogni 4 ore e iniziare a compilare un grafico e avvertire la popolazione golenale della possibilità di evaquazione.
1° fase di piena: In questa fase il livello del fiume aumenta fino a toccare l'argine maestro, all'altezza della prima bancata. Durante questa fase bisogna evaquare tutta la popolazione golenale e bloccare tutte le vie d'accesso e incominciare un rilevamento più fitto, iniziando un blando controllo dell'argine Maestro.
2° fase di piena: In questa fase il fiume può arrivare alla sommità dell'argine Maestro, comunque in media è all'altezza della seconda bancata la seconda fase. Durante questa fase bisogna evaquare tutta la popolazione della bassa campagna. Mantenere un controllo costante sul livello del fiume, sugli argini e sui punti di accesso, creando dei cancelli di blocco ai non autorizzati.
DESCRIZIONE DEL TERRITORIO FLUVIALE
GLOSSARIO
Alveo: Zona dove scorre il fiume (letto)
Argine golenale: Primo argine che si trova subito dopo il letto del fiume
Scarpa interna: Lato fiume dell'argine
Cresta: sommità dell'argine
Scarpa esterna:lato campagna dell'argine
Golena o zona golenale: Spazio (o valle) tra l'argine golenale e l'argine maestro
Argine maestro: argine più interno agli argini golenali, di maggiore altezza.
Bancate: "Gradoni" costruiti sull'argine maestro (2 bancate più la cresta).
COMPOSIZIONE DELL'ARGINE
L'anima dell'argine è composta da argilla, il suo ruolo è quello di dare stabilità all'argine, infatti è grazie a lei che l'argine riesce a sostenere la spinta dell'acqua in caso di piena.Lla restante parte è composta da sabbia (30-40%), limo (15%) e in prevalenza terra, il rivestimento dell'argine è caratterizzato da un fitto strato d'erba.
Il mix di sabbia, limo e terra è quello di rendere l'argine simile ad una spugna per permettere all'acqua di traspirare, diminuenedone la spinta relativa e quindi renderlo più stabile. Questo mix non deve essere troppo compatto, altrimenti si potrebbero formare cuniclo sotterranei che, come vederemo in seguito, portano alla formazione di fontanazzi. In questo mix non ci deve essere troppa sabbia, per permettere all'erba di attecchire meglio.
Il manto erboso deve essere il più rigoglioso possibile perchè deve evitare due possibili cause di cedimento dell'argine, l'erosione da parte dell'acqua (lato golena) e lo sfaldamento del terreno che in caso di infiltrazioni provocherebbe micro frane (lato campagna).
INFILTRAZIONI E FONTANAZZI
Durante le fasi di piena si possono verificare infiltrazioni nell'argine, causate adlle tane degli animali che popolano le zone rivierasche come topi, volpi, tassi, talpe, nutrie. Quando le tane sono inondate l'acqua fuoriesce dal lato campagna, soprattutto sulle bancate. Le infiltrazioni si riconoscono soprattutto per la pulizia dell'acqua, e vanno controllate periodicamente per valutare il loro stato di limpidezza. Se la portata d'acqua è elevata, bisogna arginare la falla con dei sacchetti.
Più pericolosi e preoccupanti sono i fontanazzi. L'innalzamento del fiume crea una pressione contraria al flusso della falda acquifera formando delle sorgine di acqua sorgiva, oppure infiltrarsi nelle tane di animali, oppure trovare una zona di terreno meno impermeabile e formare i fontanazzi. I fontanazzi di formano sia a ridosso dell'argine, che in campi aperti (anche a pochi km di distanza). Per verificare la pericolosità di un fontanazzo bisogna controllare l'acqua che sgorga da quest'ultimo. La cosa che preoccupa di più non è la portata del fontanazzo, ma il colore dell'acqua che ne fuoriesce; se l'acqua è limpida significa che non sta trasportando con se terra, non sta aumentando il diametro del passaggio, e quindi no sta intaccando la stabilità dell'argine. Se l'acqua è sporca significa che sta portando con se terreno che ha eroso durante il suo passaggio nel tunnel sotterraneo. la continua erosione di materiale potrebbe portare al cedimento strtturale dell'argine per corrosione.
CHIUSURA DEI FONTANAZZI
Servendosi del teorema dei vasi comunicanti è possibile bloccare un fontanazzo. Si utilizzano sacchi di iuta riempiti di sabbia per i 3/4, i sacchetti NON vanno gettati sulla buca creata dal fontanazzo, ma messi in cerchio intorno alla bocca del fontanazzo creando un pozzo alto tre o quattro file di sacchetti, l'acqua inizierà ad aumentare di livello, all'interno del pozzo, ad impregnare i sacchetti che lo formano, e ad uscire da loro, ma tutto ciò non dovrà preoccuparci. Il pozzo dovrà aumentare d'altezza se l'acqua aumenterà il suo livello all'interno, questo per bloccare la sua spinta. L'acqua, portando con se sabbia e terra, con la pressione dell'acqua all'interno del pozzo, ricadrà nel foro d'uscita e questo fenomeno potrà aiutare il blocco del fontanazzo. Non s'esclude però che il blocco del fontanazzo, trovato il foro bloccato, continui a scavare e si riformi spostandosi di alcuni metri , costringendoci a ripartire con la chiusura. I fontanazzi vanno controllati periodicamente, durante il controllo, bisogna rilevare il livello dell'acqua, la sua limpidezza, controllare le zone limitrofe per evitare che ci sfugga la formazione di nuovi pericoli. I fontanazzi vanno controllati da operatori esperti, possibilmente con brevetto di operatore idrogeologico, per non creare inutili dispendi d'energia ai volontari nella chiusa dei fontanazzi. Se esce solo acqua il fontanazzo va solo controllato. il dispendio di energie per bloccare un fontanazzo è il rischio più elevato che possa succedere in emergenza. non bisogna formare coronelle grosse come piscine, ma focalizzare il punto di intervento e agire nel modo migliroe
Altro metodo di chiusura dei fontanazzi è la sistemazione di un telo impermeabile sull'argine golenale in modo da tappare tutti i buchi presenti. La superficie non dovrà presentare arbusti di grossa identità, altrimenti il telone non aderirà perfettamente.
NOTE SULLA SICUREZZA NELLE OPERAZIONI DI CHIUSURA
- Per la preparazione dei sacchetti di sabbia, possibilmente munirsi di un caricasacchetti a imbuto (o motorizzato), il suo utilizzo impedisce gli eventuali infortuni nel preparare i sacchetti e velocizza tutte le operazioni.
-Prendere il sacchetto per l'imboccatura legata, piegare le gambe e sollevare il sacco mentre si ritorna in posizione eretta utilizzando la spinta delle gambe, e non della schiena.
- Il passaggio dei sacchetti, durante il posizionamento delle coronelle va eseguito mettendo due file parallelamente sfalsate (^^^^) di volontari. Il sacco va passato da una fila all'altra in diagonale.
CONTROLLO DELL'ARGINE
Il controllo dell'argine va eseguito sia in tempo di prevenzione che d'intervento.
In tempo di pace (quindi non d'emergenza), i controlli vanno eseguiti sia sul lato golena che sul lato fiume, che su lato campagna.
Sui lati golena-campagna bisogna controllare:
-Il rispetto dei 4 metri per le colture a ridosso dell'argine.
-La presenza si tane d'animali di grossa taglia.
-La presenza di vegetazione rigogliosa
Per il controllo dell'argine sul lato campagna si dispone la squadra nel seguente modo:
- 2 volontari sulla cresta.
- 1 " sulla prima bancata
-1 " sulla seconda "
- 1 " sul campo.
Si procede tutti insieme e si sipeziona tutto l'argine, chi è alla sommità si controllerà il lato fiume, gli altri sulle bancate controlleranno le tane ecc...
Durante il controllo in emergenzxa, i due volontari alla sommità dell'argine non servono, ne basta uno che controlli il livello idrometrico e la percorribilità dell'argine. Chi è alle bancate dovrà cercare e individuare eventuali infiltrazioni e fontanazzi.
Lezione 6 - ASPETTI DI SOCIOLOGIA E PSICOLOGIA DELLA CATASTROFE
(è una lezione un po' lunga, ma a mio parere una delle più utili di tutto il corso, perchè spiega meglio i comportamento da tenere verso la popolazione utili ad arginare crisi di panico collettive)
Il nostro Paese, spesso colpito da Emergenze più o meno gravi e vaste, in grado di “scuotere” l’opinione pubblica in generale e il singolo individuo in particolare, sembra trasformarsi -al ripetersi di ogni evento- in un grottesco palcoscenico ove si recita sempre la stessa commedia. Le domande sul perché dell’evento, le critiche alle modalità di intervento dei soccorsi, la ricerca affannosa delle responsabilità per “chiamarsi fuori”… Ognuno pronto a dare una propria versione dei fatti e … se ci fosse stato lui a dirigere i soccorsi!!! … le cose sarebbero andate diversamente! Ovvero, ogni singolo uomo “impatta” con l’Emergenza in modo personale ed è costretto a mettere in campo le “sue” capacità fisiche, cognitive, psichiche ed emotive per fronteggiarla. Ciascun “signor Rossi”, abituato al ‘tranquillo e conosciuto’ del proprio quotidiano e alla propria consueta “normalità” (routine), trovandosi improvvisamente di fronte ad una situazione di emergenza (vale a dire: di fronte allo “sconosciuto”) RE-AGISCE (cioè mette in atto una azione di risposta), per affrontarla, allo scopo di tornare quanto prima alla sua rassicurante quotidianità. Le sue azioni di risposta saranno però diverse a seconda della personalità, del vissuto, delle esperienze pregresse, delle conoscenze acquisite e del sistema sociale di cui fa parte, pur se riconducibili ad alcuni tratti di risposta comuni, conosciuti e riscontrabili in ciascuno, perché tipici della specie. A ciò va aggiunto che l’emergenza trasforma, “qui e ora”, i normali individui in attori diversi sullo scenario dell’evento: vittime, soccorritori e … spettatori. Le loro diverse risposte emotive e cognitive potranno favorire o rendere ancor più difficoltosa l’opera di soccorso, il superamento della fase di emergenza e il ritorno alla normalità, così bruscamente interrotta dallo scatenarsi dell’evento.
EMERGENZA
La conoscenza dei possibili rischi e delle modalità con cui affrontarli divengono, in emergenza, elementi di estrema importanza per il singolo individuo e per la comunità di cui fa parte, sia esso vittima o soccorritore. Predisporre e tracciare delle semplici e applicabili “linee guida” -previste nei Piani di Emergenza nazionale, regionale, provinciale e comunale- dovrebbe divenire compito essenziale per ogni Amministrazione che voglia preparare in modo serio i soccorritori ed informare in modo corretto la popolazione, sì da consentire a tutti di adottare corretti comportamenti aiuto e di “autoprotezione” in caso di emergenza. Scopo prioritario è rendere ogni singolo cittadino consapevole dei rischi cui potrebbe essere soggetto il territorio in cui vive, perché possa affrontarli con più efficaci “strumenti” personali e possa assumere un ruolo attivo nel caso si verifichi uno degli eventi ipotizzati. Solo una conoscenza corretta e precisa -seppur semplice, ma alla portata di tutti- dei rischi del territorio e dei loro effetti, dei comportamenti di autoprotezione da adottare, della effettiva struttura di Protezione Civile esistente realmente operante, delle procedure e delle modalità di intervento, può fornire un bagaglio personale di “risposta” al pericolo, avvicinando nel contempo il cittadino alle Istituzioni e a tutti coloro che di Soccorso si occupano. Solo così il cittadino potrà divenire realmente consapevole che non c’è -e nessuno la possiede!- una “bacchetta magica” in grado di ripristinare in “tempo zero” la normalità così bruscamente interrotta da un evento. “La gente deve imparare a convivere con il rischio” Diceva in un’intervista al TG3 il responsabile della Protezione Civile della Regione Lombardia -il 19 ottobre del 2000- in occasione degli eventi alluvionali che interessavano in quei giorni il Piemonte e la Lombardia. Giorni in cui, come accade al verificarsi di ogni qualsivoglia emergenza nell’italica penisola, montava la protesta dei cittadini per: “i soccorsi che non funzionano, o se funzionano sono arrivati in
ritardo o sono insufficienti … le autorità che non precisano …il territorio è dissestato … nessuno fa prevenzione … si poteva prevedere … e adesso chi paga …” Tali spicciole quanto inutili proteste non servono a nulla! ma la maggior parte dei cittadini non ha forse, gli adeguati e necessari strumenti per “re-agire” diversamente ad un evento! Ciò è possibile senza una conoscenza reale dei problemi? Credo di no! E ancor più credo che tale conoscenza non si possa costruire al verificarsi di un evento!
Allora, in quel momento, l’individuo “sperimenta direttamente” e “vive” come può l’evento stesso, con le conseguenze che siamo ormai abituati a vedere! La conoscenza e la preparazione , si pongono quindi in un tempo che necessariamente precede
l’emergenza. Si pongono nel momento della prevenzione. Un tempo in cui -purtroppo- in Italia sembra ancora difficile parlare di emergenza e di rischio, nonostante tutti sostengano che si deve fare prevenzione! perché la gente preferisce “quasi
scaramanticamente” non volerne parlare e, chi è preposto a realizzarla, predispone solo di tanto in tanto “campagne di prevenzione” (magari altisonanti e di grande visibilità) che poca traccia, però, lasciano. E’ altresì giusto ricordare che a partire dalla metà degli anni ’80 qualcosa di pregevole e significativo è stato fatto, ma ancora troppo poco e soprattutto “troppo poco incisivo e coinvolgente” per la stragrande maggioranza dei cittadini.
PREVENZIONE
La prevenzione è un’attività silenziosa. Se nessuno si accorge che manca significa che sta funzionando. Per attivare una cultura di prevenzione bisogna saper leggere e saper far crescere agli altri nuovi metodi di lettura di se stessi e del mondo ... Gridare, parlare, mostrare e contare non sono prevenzione, ma rituali magici tramite i quali una cultura fortifica la propria indifferenza verso i deboli, seppellendoli sotto il monumento della celebrazione... E’ difficile che una cultura amante del chiasso e dei grandi titoli possa desiderare un’effettiva attività di prevenzione ...
NORMALITA' - EMERGENZA
“Quando il tuo dolore non ha ancora preso corpo, perché non ne ha avuto il tempo
Quando si diventa “improvvisamente” vittima di un evento o si interviene in qualità di soccorritore o vi si assiste in qualità di “spettatore”, si è talvolta o spesso portati ad immaginare il danno maggiore di quello reale e si è portati ad ingigantire quanto accaduto, sotto la spinta delle emozioni che coinvolgono e/o travolgono ogni individuO.
o spazio intorno a noi diventa improvvisamente sconosciuto, il tempo diventa un immobile orologio dal quale
sembra essere svanito il futuro e l'individuo si sente come sospeso in un incubo dal quale sembra impossibile
uscire. L’emergenza, definita come “evento determinato da un agente fisico, che produce un impatto distruttivo sul territorio in cui si manifesta, la cui entità dipende sia dalle caratteristiche fisiche e fenomenologiche dell’evento stesso, sia dalla struttura socio-politica preesistente nel territorio di riferimento” o definita come “l’insorgere di un evento critico che interrompe la normalità e il ciclo del vissuto emozionale ed esistenziale dell’individuo”, induce a pensare che non sia solo l’agente fisico in sé, ma anche la capacità di reazione del sistema -del singolo individuo e del gruppo sociale- a determinarla. Ovvero, la memoria del vissuto e la sub-cultura del disastro -insieme a ciò che ognuno di noi è- consentono di vivere l’emergenza e farvi fronte con modalità diverse. L’informazione, la formazione, l’addestramento, l’educazione e il sistema culturale di riferimento cui fin dall’infanzia un individuo è stato esposto, definiscono la maggiore o minore intensità di impatto con l’emergenza e le capacità di ciascuno e del gruppo di affrontarla, contribuendo a diminuire la “vulnerabilità” del sistema colpito. Diventa, allora, estremamente importante considerare due elementi fondamentali: lo spazio e il tempo, con ovvii aspetti diversi, a seconda si tratti di vittime o di soccorritori.
IL COMPORTAMENTO
Il comportamento, individuale o collettivo, istintivo o appreso che sia, è in ogni caso motivato dalla ricerca di salvaguardia o gratificazione. E’ la risposta che sempre l’uomo attiva di fronte ad uno stimolo. L’individuo può però modificare le sue risposte, con il tempo l’apprendimento e l’esperienza e/o può “costruirle” per “indurre” o “provocare” -nel ricevente- risposte diverse quali: l’adattamento, l’opposizione e l’imitazione. E, nella risposta al pericolo, il livello emotivo gioca un ruolo tanto più elevato quanto più sono confusi o carenti il livello cognitivo e la preparazione pratica. Al verificarsi di una situazione di emergenza -quando il livello emotivo aumenta- riaffiorano spesso prepotenti i nostri bisogni primari e -contemporaneamente- la necessità di “sapere”.
E, nel vuoto di informazione dei primi momenti, “sapere” diventa primario e fondamentale. Sapere che cosa è accaduto. Sapere che cosa devi fare. Sapere a chi devi rivolgerti. La conoscenza dello spazio e del tempo presenti -che l’emergenza delimitano e connotano- e la conoscenza dello spazio e del tempo dell’immediato futuro -che il ritorno alla rassicurante quotidianità rappresentano- diventa necessità di sopravvivenza per le vittime e desiderio di superamento del difficile momento, sia per chi lo gestisce sia per chi lo vive “da lontano” attraverso i ‘media’, come spettatore. Per fronteggiare un’emergenza, allora, servono Conoscenze e … un Piano! Ma… il Piano serve solo se è conosciuto da tutti e tutte le diverse componenti sono in grado di assolvere i compiti assegnati. Tutti coloro che vivono in quel preciso territorio e in quel territorio devono imparare a “convivere” con i rischi potenzialmente presenti ed ad affrontarli al loro verificarsi.Il Piano di Emergenza: tratteggia lo scenario -scientificamente corretto- del possibile rischio anche sulla scorta delle precedenti esperienze; definisce gli obiettivi; predispone i sistemi di sorveglianza, monitoraggio e rilevamento dei dati per consentire l’allertamento, ove e per quanto possibile; definisce quali Enti, Istituzioni e altre Organizzazioni debbano intervenire a seconda dell’evento ipotizzato, in riferimento alle diverse fasi
temporali dello stesso (previsione, prevenzione, soccorso e superamento dell'emergenza); stabilisce competenze debbano possedere coloro che sono impegnati nelle diverse zone e fasi; definisce le modalità di attivazione, coordinamento e soccorso; descrive le “azioni” che i soggetti coinvolti debbono fare, stabilisce le procedure da attivare nel caso l’evento si verifichi e precisa ruoli e compiti dei diversi “attori” presenti sulla “scena”; definisce i tempi e i modi dell’informazione alla popolazione e le modalità per l’addestramento, affinché le persone coinvolte possano mettere in atto comportamenti di risposta adatti e di autoprotezione.
Le diverse Istituzioni dello Stato ed ogni singola unità lavorativa, debbono predisporre propri piani di emergenza in relazione al rischio previsto e al contesto in cui operano. Esistono al riguardo piani comunali, provinciali, regionali, nazionali e particolari di Protezione Civile, come previsto dalla L.225/92 “Istituzione del servizio nazionale di Protezione Civile” e successivi e discendenti provvedimenti, regolamenti e circolari applicativi. La procedura è –invece- la traduzione pratica del piano: è un documento molto semplice e schematico che indica “chi fa” e “che cosa fa” il soggetto in questione; definisce il modo di operare e di comportarsi in rapporto alle circostanze. E’, in sostanza, il complesso di norme che regolano l’attività rispetto al trascorrere del tempo e al progredire dell’azione secondo i criteri dettati dalle diverse fasi in vista di determinati risultati. Informazione e coordinamento sono, in ogni caso, i due elementi essenziali perché una qualsiasi situazione di emergenza possa essere affrontata con maggiori risorse e una adeguata competenza, migliori risultati e serenità da parte di tutti; in particolare delle “vittime”, di ogni singolo individuo duramente colpito e provato nei suoi affetti. Considerando dunque il singolo e la collettività, entrambi come sottosistemi del più vasto e complesso sistema “società”, si possono evidenziare due significativi elementi: l’uno evidenzia come conoscenze, opinioni, valori di riferimento, atteggiamenti e comportamenti del singolo e della collettività siano fattori rilevanti ed importanti
che contribuiscono a definire, connotare e condizionare una situazione di emergenza, prima ancora che essa si verifichi; l’altro, evidenzia che solo una adeguata e costante attività di prevenzione e una precisa e sicura preparazione degli operatori del soccorso possono aiutare a riconoscere e accettare le proprie e altrui emozioni e re-azioni, che l’emergenza determina.
Nel predisporre qualsiasi attività di prevenzione e formazione, è necessario ricordare alcuni significativi ed importanti aspetti:
- la corretta conoscenza degli elementi significativi e rilevanti della situazione del territorio in cui si vive
e dei rischi prioritari;
- la conoscenza, corretta e reale, dell’evento accaduto, delle strutture che sono effettivamente in grado
di operare e delle modalità di intervento delle stesse;
- la conoscenza del contesto della “Protezione Civile” da parte della comunità colpita;
- la capacità di utilizzo delle strutture locali, perché spesso manca il coinvolgimento diretto di tutta la
comunità, anche se si tratta solo di “quel po’ che ognuno” potrebbe fare;
- la fiducia nei confronti delle Istituzioni;
- le aspettative sempre alte e talvolta esagerate delle vittime, rispetto alle reali possibilità di operare da
parte delle strutture preposte e soprattutto dei “volontari” (effetto alone);
- l’elevato coinvolgimento ed investimento emotivo, al verificarsi di un evento reale o anche solo
“annunciato”, in parte ascrivibile a scarse ed imprecise conoscenze e in parte a mancanza di esperienze
di simulazione;
- la difficoltà a mettere in atto comportamenti di autoprotezione e di attivare risposte adeguate alla
situazione (viene o sovrastimata, o sottovalutata) da parte delle persone colpite;
- una falsata percezione del rischio;
- la difficoltà ad affrontare il problema del “rischio” in tempi di “pace” ;
- un diffuso –oggi più che ieri- atteggiamento di individualismo, riferito al singolo e “ai gruppi”.
Non ultimo, un “pensiero segreto” e mal celato che pochi osano apertamente dichiarare:
“Speriamo che qui non accada”! Quella che io chiamo “Cultura della speranza”. Sono convinta, invece, del contrario: “Speranza nella cultura”! Un sistema sociale i cui membri abbiano attenzione a tali “aspetti”, è un sistema meno vulnerabile, perché ha
iniziato a far propria una dimensione “cognitiva” dell’emergenza, la sola -forse- in grado di condurre ad una reale cultura dell’emergenza o della sicurezza capace di elevarne il livello di preparazione e migliorare le capacità di tutti per fronteggiarla.
Con il termine comportamento si intende l’insieme delle risposte che l’organismo animale dà in conseguenza a stimolazioni esogene e/o endogene. E’ l’espressione di una vasta rete di eventi di ordine biologico e psicologico, altamente integrati a molti livelli. E’ provocato sempre da uno stimolo (imput) e può modificarsi con il tempo e l’esperienza. Il comportamento non
va valutato in maniera astratta, ma legato ad una specifica attività dell’individuo o dei gruppi. Può considerarsi una pluralità di azioni organiche che danno la possibilità di definire il modo di esistere di un individuo o di un gruppo. Si distinguono comportamenti individuali e collettivi. Questi ultimi sono una risposta a tensioni strutturali, a tensioni istituzionali e hanno bisogno di fattori precipitanti. Quanto ai fini o ai motivi che lo scatenano, essi sono i più vari: dagli eventi bellici, alle catastrofi, alle crisi economiche, alle proteste politiche, ai conflitti razziali o etnici e perfino a situazioni di antagonismo sportivo o di quartiere o a fenomeni che hanno commosso l’opinione pubblica. In genere il comportamento collettivo ha come fondamento o motivazione la soluzione di un problema, di una difficoltà. Si possono evidenziare, in emergenza, comportamenti collettivi adatti e non adatti.
Comportamenti collettivi adatti
Sono quelli caratterizzati dal persistere e/o dal riorganizzarsi delle strutture di quel gruppo sociale, quali ad esempio gli uffici comunali, le scuole, gli ospedali ...
Comportamenti collettivi inadatti
Sono quelli caratterizzati da una risposta non logica e non razionale; producono conseguenze pericolose per la sicurezza delle vittime e degli stessi soccorritori. Le reazioni più frequenti sono quelle di “commozioneinibizione-stupore” e quella da “panico”. I comportamenti collettivi, in generale, possono essere riferiti alle zone dell’evento e alle fasi dell’evento, a seconda che si consideri l’asse dello spazio o l’asse del tempo.
Comportamenti in riferimento alle zone :
* zona d’impatto (i superstiti sono pochi e hanno comportamenti cosiddetti di “commozione-inibizione- stupore)
* zona di distruzione (le persone colpite possono manifestare comportamenti inadatti quali indecisione, azioni inutili e non coordinate, fuga centrifuga, panico)
* zona marginale (le persone in questa zona possono avere comportamenti di inquietudine, incertezza, angoscia; questa è una zona di importanza fondamentale nella quale l’elevato numero di persone, aventi scopi diversi, potrebbe dare origine al
panico)
* zona esterna(possono esservi comportamenti che aumentano il disordine, causati dalla gente che cerca di andare verso il centro; necessità di misure d’ordine chiare e precise)
Comportamenti in riferimento alle fasi :
* fase di preallarme (serve a valutare il grado di preparazione della gente in vista di un evento calamitoso)
* fase di allarme (caratterizzata da uno stato di angoscia utile, che può degenerare in agitazione -fino al panico- se la fase
precedente non è stata affrontata in modo efficace)
* fase di shock (provoca uno stress più o meno intenso che può provocare disorientamento spazio-temporale)
* fase di reazione (deriva dalla precedente e provoca perdita delle capacità individuali di decisione razionale e spesso ricerca di
protezione o di un modello esterno).
MA... se le persone sono preparate, possono mettere in atto comportamenti di salvaguardia, solidarietà e partecipazione ai soccorsi.
* fase di risoluzione (caratterizzata dal ritorno alla coscienza)
* fase post-catastrofe (in questa fase possono esservi comportamenti collettivi di violenza e vandalismo ; ricerca di un “capro espiatorio”; comportamenti di dolore collettivo e/o “sindrome del sopravvissuto”)
LA PERCEZIONE DEL RISCHIO
Le capacità costruttive e distruttive dell’ homo sapiens sviluppatesi in modo così vertiginoso, in stridente contrasto con la lentezza dei processi di elaborazione e manifestazione delle facoltà emotive alle quali oggi come ieri è affidata la condotta delle nostre azioni, sono spesso la causa primaria dei pericoli che ci minacciano. Sorge allora spontanea una domanda: “L’autodistruzione cui l’uomo sembra stia andando incontro è solo la fatale conseguenza di una irriducibile aggressività trasmessa geneticamente, o non è piuttosto anche la conseguenza di fattori culturali che hanno un ruolo importante nel plasmare la condotta del singolo individuo e dei gruppi”? Entrambi. E, oltre a ciò, vi sono la crescita evolutiva e le modificazioni dei sistemi cerebrali preposti alle facoltà cognitive ed emotive. I figli dell’uomo differiscono da quelli degli altri mammiferi nella lentezza del loro sviluppo somatico e intellettuale, che li rende dipendenti dai genitori per il lungo periodo che va dalla nascita alla pubertà.
Ma questa lunga dipendenza dagli adulti -dovuta alla lentezza della maturazione delle facoltà cerebrali che favorisce lo sviluppo di quello stupendo e complesso congegno che è il cervello- lascia un marchio indelebile sulle strutture nervose che presiedono al comportamento dell’individuo. Il periodo dell’imprinting, che nell’uomo si protrae fino alla pubertà, e i sistemi etico-sociali ai quali è stato esposto nell’età giovanile, determineranno le sue condotte da adulto. Condotte che in emergenza -si tratti di vittime, di soccorritori o delle autorità che debbono gestirle- diventano estremamente rilevanti e significative. Ma, gran parte degli adulti ancor oggi -nonostante le numerose e spesso catastrofiche emergenze di cui sono stati vittime o spettatori- sembrano poco disponibili ad apprendere conoscenze norme comportamenti e, soprattutto, a modificare atteggiamenti ed opinioni personali, sì da poter affrontare con maggior consapevolezza e serenità e quindi con un impatto emotivo meno traumatico disastri, eventi catastrofici o altre particolari emergenze. Forse perché, come dice George Michael decano degli analisti di affidabilità dei sistemi di sicurezza: ......Cancelli, guardie, sensori, piani di emergenza ... hanno, certo, una loro efficacia immediata ma, a lungo termine, peggiorano la situazione, seminando l’illusione di una sicurezza che, a sua volta, spinge a inoltrarsi verso situazioni sempre più pericolose... Di certo non possiamo eliminare il rischio, e la sopravvivenza delle società umane è una continua sfida alla natura; tuttavia dobbiamo evitare di spingerci oltre un certo limite. Anzi, dovremmo cominciare ad avere più rispetto per le leggi della natura; convivere con esse e non avere l’illusione di dominarle. Invece tutto sembra marciare verso sistemi sempre più pretenziosi, sempre più complessi; e in ogni momento è in agguato l’evento raro, l’errore, il caso......
Ho dedicato la vita a dimostrare che un disastro è molto più probabile di quello che la gente pensa. ( F. Santoianni)
O forse perché l’uomo tecnologico, al di là di questo suo delirio di onnipotenza, ha disimparato almeno in parte a vivere e ad accettare le sue emozioni e frustrazioni. O forse, molto più semplicemente, perché poco è stato fin ora insegnato e spiegato in modo serio corretto e metodico, cercando di far cogliere alla gente per quanto possibile, sia l’aspetto emotivo sia l’aspetto cognitivo! Ritengo che un misero trafiletto tecnico in un angolo di pagina di un giornale dove campeggiano e travolgono titoli e immagini ridondanti di forte e pregnante emotività o l’intervento di pochi minuti dell’esperto in una delle tante trasmissioni che a caldo mandano in diretta l’evento, non siano certo sufficienti a “fare corretta informazione”. Né come è necessario, né come la normativa indica, né come anche solo il buon senso e l’esperienza suggerirebbero! Gli abitanti del comune di Caponago -che hanno partecipato al Progetto realizzato dalla Provincia di Milano in
collaborazione con l’Università Cattolica: “Informare è Prevenire”- ben rappresentano, pur nella diversità delle risposte e degli atteggiamenti, la situazione sopra descritta. Si può però fare una grossolana distinzione fra l’ atteggiamento degli adulti in generale e l’atteggiamento dei bambini e dei ragazzi. I bambini e i ragazzi lo considerano uno dei tanti argomenti di cui parlare e discutere, anzi sono interessati e fanno mille argute domande; raccontano le loro esperienze, parlano volentieri senza allarmismi e si lamentano che a casa non lo si affronta o -se lo si fa- è quasi sempre per accusare qualcuno (in genere le Istituzioni). Gli anziani, ascoltano in genere con serenità e senza allarmismi le indicazioni in riferimento a: che cosa fare in caso di coinvolgimento; a chi è preferibile rivolgersi e prestare ascolto; di chi non fidarsi. Gradiscono incontrare gli esperti e i volontari. perché molto interessati a conoscere il “da farsi” di fronte soprattutto ai pericoli in casa e ai relativi incidenti domestici, mostrando di preferire il contatto diretto perché più rassicurante e comprensibile rispetto alle indicazioni di qualsiasi opuscolo. Gli adulti, evidenziano atteggiamenti diversi, ma in generale “glissano” il problema con la scusa che hanno “cose più importanti di cui occuparsi” e non vedono questi rischi così minacciosi o ritengono scarse le probabilità che un grave evento si verifichi o, al contrario, immaginano spaventose catastrofi annunciate di cui sono uniche responsabili le autorità; I genitori degli alunni delle scuole in genere appaiono poco interessati, nonostante le attività che a scuola
coinvolgono i loro figli; confusi forse dall’apparente aspetto di un altro impegno scolastico mostrato dagli inviti a partecipare ad alcuni incontri/attività; il gestore del teatro (nel caso specifico di Caponago), molto preoccupato di allarmare inutilmente la gente che per ciò -a suo dire- non sarebbe andata più a teatro!!! è apparso forse l’adulto più preoccupato (“perché parlare di una cosa che nessuno ha in mente, perché risvegliare strane idee”); le “altre” Associazioni di volontariato, interessate e consapevoli della necessità di tale intervento perché
consapevoli più degli altri cittadini, ma forse un po’ “invidiose” dei volontari di PC, avrebbero gradito avere un ruolo di maggiore importanza, dimenticando in parte l’obiettivo del progetto; i dirigenti delle Associazioni Sportive, consapevoli di quanto potrebbe accadere, disponibili all’ascolto in generale e forse più interessati ad alcuni incontri tematici e specifici come il primo soccorso, ma molto aperti a proseguire il lavoro avviato negli anni a seguire; i dipendenti comunali -tranne poche consapevoli unità- sembrano domandarsi come mai il “comune” perda tempo
per tale attività. La ritengono forse legata al sindaco, all’assessore, o a qualche forma di propaganda e quindi … lavoro in più che … a poco serve;
tutti gli insegnanti della scuola materna ed un numero ristretto delle scuole elementari e medie consapevoli e molto interessati, pochi quelli realmente disponibili a collaborare in modo costruttivo con i loro colleghi impegnati a coordinare il lavoro dentro la scuola e, gli altri, fanno un favore al dirigente perché -secondo loro- è tempo quasi sprecato; il parroco molto realista ed equilibrato, mostra di conoscere a fondo i suoi parrocchiani ed è stato per tutto il progetto una voce autorevole che ha spinto la gente a collaborare; i Volontari del gruppo comunale di Protezione Civile, consapevoli non solo dei rischi potenziali ma anche delle opinioni e delle “re-azioni” della gente in caso di emergenza! e, forse per questo , i più seriamente preoccupati. In ogni caso la maggior parte dei cittadini ha apertamente fatto capire come nel momento dell’emergenza,
ritiene che le figure del “soccorritore” e di tutti coloro che intervengono per superare il momento di crisi e ripristinare la “normalità”, siano comunque un indispensabile e necessario riferimento senza il quale la vittima si sente “abbandonata e perduta”. In particolare, un pensiero comune a molti sembra essere quello che vede il soccorritore come il “salvatore”, come colui che “non ha paura” perché conosce ciò che lo aspetta e perciò può aiutare ogni singola persona colpita, ad uscire dalla situazione critica. E’ allora fondamentale poter attivare anche un’azione di “contenimento della paura” nei confronti della vittima, perché non sarebbe corretto negare tale emozione, e cercare di condurre le persone -ancor prima che divengano delle vittime- a scoprire che anche l’esperto e il soccorritore più preparato provano le stesse emozioni. Ma conoscono ed utilizzano comportamenti e tecniche per affrontare il pericolo, che possono essere appresi e attivati da tutti.
LA PAURA
La Paura è una delle pulsioni fondamentali dell’uomo; emozione che attiva comportamenti di risposta al pericolo con la funzione biologica di proteggere l’organismo per prepararlo all’azione di fronte ad un accadimento non previsto ed improvviso. Nonostante vi siano livelli e gradi diversi di manifestazione e sperimentazione personale della paura dipendenti dalla personalità dalle esperienze e dalle conoscenze di ognuno, la maggior parte di coloro che un’emergenza hanno vissuto, ammettono la consapevolezza di tale “stato emotivo” in una situazione sconosciuta di fronte alla quale non si sa bene che fare. Tale “stato d’animo” non è solo di oggi e ben lo racconta e descrive in modo naturale e raffinato il grande Dante; la sua descrizione della paura è così reale ed umana, che ogni persona “istintivamente” arriva a comprendere il messaggio, riesce a rivedersi in una sua propria situazione vissuta o ad immaginarne una possibile e al tempo stesso, riesce a far proprie semplici ed utili informazioni “tecniche” e “specialistiche” -se così posso definirle- per riconoscerla e accettarla come una delle “umane cose”. Racconta quando dove è perché ha provato paura; come e quando è riuscito a ridurne l’intensità e chi gli è stato di aiuto; descrive la situazione e gli indicatori fisico/fisiologici del manifestarsi della sua paura, perché il lettore possa immedesimarsi nei suoi panni e capire meglio la sua reazione; ben evidenzia ed esprime la necessità
del pianto, che non è visto come una debolezza ma come una necessità fisiologica; precisa al lettore che, per quanto lui abbia tentato di spiegare questo suo stato, qualsiasi descrizione si rivela inferiore a ciò che lui ha provato veramente e lascia all’intelligenza e sensibilità del lettore capire e immaginare. L’impatto con l’emergenza è personale! Ma questa emozione originaria di salvaguardia, può degenerare in panico in una situazione di crisi intensa e di forte tensione quale è un’emergenza, che attiva meccanismi psicologici capaci di destrutturare il comportamento.
IL PANICO
E' il livello estremo della paura: risultato dell’incapacità temporanea dell’individuo di controllarla che si traduce in un comportamento in genere dannoso per la sua salvaguardia; è la sensazione acuta che impedisce all’organismo di elaborare una strategia di salvezza, moltiplica in modo esponenziale il numero delle vittime, porta a reazioni primitive di fuga incontrollata e una volta scatenato non si argina. Il panico provoca l’abbassamento -fino anche al livello zero- dello stato di coscienza, della soglia di attenzione, della soglia di vigilanza, della facoltà di ragionamento e della capacità del corpo di rispondere ai comandi del cervello.
Si può, però, cercare di prevenirlo con un’adeguata preparazione:
-apprendimento cognitivo (informazione e formazione),
-addestramento psicomotorio,
-automatizzazione dei comportamenti,
-simulazioni di emergenza.
E’ quindi molto importante che tutti -operatori delle diverse Istituzioni, soccorritori, e cittadini- conoscano i potenziali pericoli del territorio in cui vivono e i relativi comportamenti di “Autoprotezione” per poter re-agire e interagire fra loro nel modo più proficuo ed adatto in caso di emergenza.
MOTIVAZIONE & BISOGNI
Ogni essere umano -indipendentemente dal luogo di origine, età, sesso, istruzione, .....- percorre un proprio cammino. Cammino che si intreccia necessariamente con quello di altri uomini. Ognuno, spinto dai suoi bisogni, è motivato ad agire; si pone cioè delle mete e degli obiettivi per raggiungere i quali progetta e programma delle attività, che realizza o meno grazie alle capacità e possibilità personali e all’ interazione con i propri simili, sulla base di conoscenze, frutto dell’esperienza personale e della specie. Per agire, in ogni caso, l’individuo ha bisogno di una o più motivazioni. Motivazione è infatti quel processo che funzionalizza le attività dell’organismo verso una meta, gratificante e di salvaguardia. Vi sono motivazioni primarie (di natura fisiologica), motivazioni secondarie (di natura personale e sociale acquisite con l’esperienza dell’ individuo e della specie) e motivazioni di livello superiore (prettamente umane quali gli obiettivi esistenziali, gli ideali, i propositi, i programmi e le aspettative). Le motivazioni possono essere semplici o complesse, consce o inconsce, transitorie o persistenti e sono studiate e descritte dalla psicologia, dalla neurofisiologia e dalla biochimica. La motivazione determina sempre una condotta; ovvero genera un’azione, che è sempre polimotivata ed è il risultato del desiderio per ... (potere e status sociale) e del timore di ... (ostracismo sociale e minaccia alla stima di sé). E’ frutto di un bisogno che l’individuo tende a soddisfare, pena la frustrazione dello stesso. Vi sono bisogni primari e secondari organizzati in una “scala”.
Una fra le più note è quella di Maslow che identifica:
- bisogni fisiologici quali fame, sete....;
- bisogni di salvaguardia o salvezza quali sicurezza, ordine...;
- bisogni di appartenenza e amore quali affetto, identificazione...;
- bisogni di stima quali prestigio, successo...;
- bisogni di realizzazione di sé quali appagamento dell’ Io... .
Scala che va, sostengono i più, dalle “viscere alla mente”. Un nuovo e più alto bisogno può insorgere solo quando il bisogno precedente è stato soddisfatto. Si dice che: “Gli uomini che devono faticare per procurarsi il cibo, non possono sentire la necessità di cercare bellezza e conoscenza”.
Mano a mano che si sale, i bisogni più bassi assumono un ruolo di minore importanza nel sistema totale dei bisogni, ma ... possono riemergere in particolari situazioni quali un’emergenza grave e/o una catastrofe. Lo stesso bisogno può essere soddisfatto in modo diverso dagli individui, ma comune a tutti è la scomposizione dell’obiettivo posto, in tanti sotto obiettivi -teoria dei piccoli passi, utile a sostenere l’azione- perché così lo stesso è più facilmente raggiungibile. “ Nulla incoraggia come il successo ” ma ... “ Nulla scoraggia come l’insuccesso”. L’individuo manifesta, oltre i bisogni personali, anche dei bisogni sociali. Fra i più importanti e rilevanti a livello sociale in riferimento all’ uomo occidentale, si possono evidenziare il bisogno di:
• Affiliazione --> appartenenza, stare insieme
• Possesso --> guadagno materiale, accumulo di riserve
• Prestigio --> solo per chi è al di sopra della soglia di sopravvivenza
• Potere --> desiderio di controllo e dominio: elementi che sono importanti per il funzionamento di una società
• Altruismo --> orientato verso il sé quanto verso gli altri, tanto che alcuni lo interpretano come una forma di Egoismo
• Curiosità --> necessità di esplorare, manipolare per acquisire, dominare ...
Tutti i bisogni possono avere, ovviamente, due opposte valenze: una positiva e una negativa.
EMOZIONI
Nonostante vi siano diverse teorie per qualificare e spiegare le emozioni, viste ora come causa e ora come effetto delle nostre azioni, è chiaro un principio: “Le emozioni si identificano con l’azione dell’Individuo sul mondo esterno “. Vi è dunque un fondamento biologico molto importante, cui va associata l’influenza delle relazioni fra le persone (manifestazioni collettive). Le emozioni sono da considerarsi dei “cambiamenti in preparazione all’azione” e possono nascere solo da fatti che abbiano un determinato significato. Quei fatti che possono costituire uno stimolo significativo; ovvero, che tocca gli interessi del soggetto. Un’emozione può essere letta, anche se non detta (linguaggio non-verbale).
LA CONOSCENZA
La conoscenza è - insieme alla motivazione e ai tratti di risposta interpersonale - uno dei fattori psicologici fondamentali presi in considerazione dalla psicologia sociale. Fattori che modellando l’individuo e sono a loro volta modellati da esso, originando ciò che è chiamato: “ Evento comportamentistico interpersonale “. Perciò, il comportamento dell’individuo nella società (sistema integrato di tanti sottosistemi), è uno dei tanti aspetti dei problemi globali che investono la società stessa, la cui soluzione richiede gli sforzi integrati di molte sue componenti: autorità di governo, legislatori, esperti tecnici dei vari settori, sociologi, .. e del “sig.Rossi”, cioè di ogni singolo Individuo, di ciascuno di noi. Ogni Individuo ha una propria “ immagine “ o “ mappa “ del mondo di tipo individuale che si forma in relazione ai diversi punti di osservazione, determinati dall’ambiente fisico, dalla struttura fisiologica, dai bisogni, dagli scopi e dalle esperienze passate di ognuno (Memoria del Vissuto). Ciò nonostante, vi sono molti tratti comuni nella immagine che tutti hanno del mondo, dovuta alla conformazione del sistema nervoso e ad alcuni bisogni comuni e ciò ci consente delle generalizzazioni utili a definire alcune risposte comportamentali comuni. Le conoscenze di un individuo si organizzano in maniera selettiva (fattori stimolo e fattori personali) e vengono raggruppate in sistemi conoscitivi, il più importante dei quali - per le sue implicazioni sociali - è quello di causa/effetto. La conoscenza è in stretto rapporto con i bisogni e gli scopi dell’individuo e l’ostacolo alla soddisfazione di un bisogno (frustrazione), è uno dei fattori più importanti per l’inizio del cambiamento conoscitivo. Quando entriamo in relazione con una persona e/o una situazione, ne abbiamo -prima di tutto- una percezione, così come ci accade per tutti gli oggetti del mondo esterno a noi. Ci formiamo cioè, una prima impressione che può essere influenzata dall’effetto alone, dalla teoria implicita della personalità e dagli stereotipi.
LA PERSONALITA'
Allport la definisce come:
“L’organizzazione di quei sistemi psicofisici che stabiliscono l’adattamento dell’Individuo all’ambiente“ Ognuno di noi, cioè, ha una propria organizzazione delle percezioni, delle motivazioni e delle risposte che componendosi fra loro in misura variabile, lo rendono unico ed irripetibile.
TRATTI DI RISPOSTA INTERPERSONALE
E’ la tendenza dell’Individuo, più o meno stabile, a rispondere agli altri in un modo caratteristico. I tratti di risposta interpersonale possono essere considerati i prodotti ultimi delle particolari esperienze personali nel soddisfare i bisogni più frequenti ed intensi. La conoscenza di essi è utile alla comprensione e alla descrizione dell’uomo sociale, a comprendere il suo comportamento e a prevenire, almeno in parte, le sue azioni e le sue re-azioni.
Fra i tratti primari di risposta interpersonale ricordiamo le:
• Disposizioni di RUOLO (sembrano importanti nel determinare il modo in cui l’Individuo svolge la propria parte negli eventi comportamentistici interpersonali: disinvoltura, dominanza, iniziativa sociale, indipendenza)
• Disposizioni SOCIOMETRICHE (indicano la simpatia e l’interesse per gli altri e la fiducia che in essi il soggetto ripone: accettazione degli altri, socievolezza, cordialità e comprensione)
• Disposizioni ESPRESSIVE (è il modo particolare in cui l’Individuo risponde agli altri, cioè il suo stile: competitività, aggressività, consapevolezza di sé, esibizionismo)
IL RUOLO
In sociologia :
“Ruolo è il comportamento che ci si attende da parte di chi occupa una determinata posizione sociale”. Perché la società possa funzionare, ogni Individuo deve occupare una precisa posizione e deve svolgere il proprio ruolo. Il ruolo è dunque un modello cui adeguarsi, ha una funzione normativa; ma, nonostante vi siano ruoli ben definiti, gli Individui possono avere, al loro interno, atteggiamenti diversi (cioè esercitare il ruolo con un proprio stile). Ogni singolo Individuo può ricoprire più ruoli che possono essere compatibili o generare conflitto. Il ruolo è diverso dalla personalità, anche se sono sempre in stretta relazione:
“ RUOLO “ è il comportamento verso gli altri, che si esplicita in ogni posizione sociale
All’interno di un gruppo di volontariato di protezione civile, vanno ovviamente ben definiti e precisati e va ricordato che ogni Individuo dovrebbe essere “utilizzato” per ciò che meglio sa fare, perché così potrà offrire le maggiori garanzie di riuscita nelle diverse fasi e nelle diverse zone del contesto in cui sarà chiamato ad operare. “ PERSONALITA’ “ è il comportamento del singolo
[U]IL GRUPPO[/U]
INSIEME RELATIVAMENTE PICCOLO DI INDIVIDUI CHE ENTRANO IN RELAZIONE SULLA BASE DI INTERESSI O CARATTERI COMUNI E CHE INTERAGISCONO TRA LORO Ciascun individuo vive in un microcosmo che talvolta scambia per il mondo intero! Ogni società è composta da molteplici e diversi gruppi e organizzazioni che “COINVOLGONO” gli individui in modi e maniere diversi. Si appartiene ad un gruppo per soddisfare dei bisogni e quindi, condividendo gli stessi bisogni, si creano gli “SCOPI” del gruppo. Ogni individuo di questo o quel gruppo, contribuisce a modellare e modificare il gruppo di cui fa parte e -al tempo stesso- ne è “modificato”.
In ogni gruppo formale, sono elementi molto importanti:
- le DINAMICHE INTERNE
- la GESTIONE
- CHI guida e/o Ccoordina (LEADER)
- COME viene guidato (LEADERSHIP)
CHI APPARTIENE AD UN GRUPPO DOVREBBE AVERE:
- Elevato senso di identificazione
- Elevato senso di lealtà
- Capacità di conformarsi alle regole
- Capacità di conformarsi alle norme
- Capacità di conformarsi ai valori
- Capacità di conformarsi allo stile di vita del gruppo
L’INDIVIDUO INFLUENZA IL GRUPPO <--->ILGRUPPO INFLUENZA L’INDIVIDUO
LA LEADERSHIP
E’ la più importante e complessa delle abilità sociali e la sua natura è propriamente RELAZIONALE. Il LEADER è una persona che può influenzare gli altri ad essere più efficaci nel lavorare per realizzare i propri reciproci obiettivi e nel mantenere efficaci relazioni di lavoro fra tutti gli appartenenti a “quel” gruppo. Al leader viene richiesto il possesso di qualità e competenze capaci di sostenere la coesione e l’efficacia collettiva del gruppo. Vi sono diversi tipi di LEADERSHIP, ognuna delle quali può essere esercitata con diverse modalità. Vi è, inoltre, una LEADERSHIP ISITUTZIONALE: il rapporto che si stabilisce a diversi livelli tra il dirigente e i subalterni in un sistema sociale (politico, produttivo, educativo, ... ) o anche in piccolo GRUPPO FORMALE.
Oggi studi recenti sostengono si stia andando verso nuove e diverse forme di leadership, e, secondo la teoria delle “azioni distribuite” si parla di leadership DIFFUSA e CONDIVISA, in grado di guidare il cambiamento, valorizzare tutte le risorse, far esprimere il potenziale individuale e collettivo, far crescere il livello culturale. Oggi, quindi, la leadership è fortemente orientata all’ APPRENDIMENTO e al CAMBIAMENTO
Si delineano così quattro vertici del profilo di tale nuova leadership
-Visione/Sfida
-Credibilità/Fiducia
-Motivazione/Enpowwerment
-Esempio/Guida
IL LEADER assume il ruolo di capo di un’organizzazione, di un gruppo, grazie al fatto che le sue decisioni e le sue idee, i suoi comportamenti e atteggiamenti INFLUENZANO IN MODO POSITIVO I COMPONENTI DELLA COLLETTIVITA’ CONSIDERATA ed è funzionale ai problemi di organizzazione, direzione, progettazione per il raggiungimento di un fine e di una meta e, non si può ridurre ad ascendente personale, né ad un fatto casuale.
NON ESISTE GRUPPO SENZA LEADER<-->NON ESISTE LEADER SENZA GRUPPO
LEADERSHIP NELLA PROTEZIONE CIVILE
(relazione della dott.ssa Flavia Moro su esperienze di Protezione civile)
Osservando e vivendo da anni, come volontaria e come osservatore esterno, la realtà dei diversi gruppi di volontariato di Protezione Civile, mi sembra di poter a ragione dire che il livello organizzativo e le capacità di intervento siano oggi decisamente buone, con punte di vera eccellenza.Ma, di contro, si assiste anche da più di qualche anno, a crescenti difficoltà di “gestione” di tali gruppi e a richieste sempre più pressanti -seppur inconsce- di mantenere alte le motivazioni dello stare insieme per un fine ed un obiettivo comune, dichiarato e condiviso da tutti i membri. Oltre ciò, si aggiunga che l’opera di prevenzione –anche se ancora carente- ha fortunatamente ridotto il numero dei maxi eventi che fino agli anni ’80 avevano mobilitato il “cuore” di centinaia e centinaia di volontari e oggi le organizzazioni hanno raggiunto livelli tecnici e tecnologici di intervento assai elevati. Cominciano ad apparire e a gravare sui risultati stessi degli interventi, le carenze “tecniche” di un elemento importantissimo efondamentale che fino ad ora era stato “gestito” con il ‘buon senso’ e l’esperienza personale. Ciò che oggi si evidenzia come “carenza” è una reale e attuale conoscenza tecnica di “gestione del gruppo”. Tale carenza, si evidenzia come “necessità di naturale rinnovamento” –anche se non precisamente definita- da parte di molti, soprattutto delle fasce più giovani del volontariato, come elemento capace di rivitalizzare l’entusiasmo “perduto” dei “vecchi” e portare idee nuove. I volontari, che da sempre hanno messo al primo posto i valori umani in relazione alle vittime, sembrano non sapere o non voler riconoscere che è necessario mettere al primo posto tali valori anche all’interno del gruppo dei soccorritori, nei confronti di ciascun volontario. Prioritario sembra quindi essere il problema delle RELAZIONI fra i membri di un gruppo -perché possa oggi progredire e continuare ad esistere- e, importantissimo, tra i membri delle diverse Organizzazioni di volontariato, anche in considerazione del fatto che oramai com’è logico e naturale in molti casi, si parla di coordinamenti o collaborazioni intercomunali o provinciali. Si sta via via evidenziando, oggi, la necessità di un modo nuovo e diverso di condurre e guidare i gruppi, tale per cui siano favorite non solo come già in passato le competenze di tutti, ma anche la creatività e l’individualità di ciascuno seppur dentro i precisi confini delle regole delle finalità degli obiettivi di quel gruppo e, della normativa che regolamenta il mondo del
volontariato. Vi è, dunque, la necessità di guidare in modo attuale la partecipazione veramente attiva di tutti:
- per la definizione degli obiettivi e dei processi di risoluzione dei problemi che mano a mano possono modificarsi con il tempo e l’esperienza;
- per la scelta dei percorsi da intraprendere e delle decisioni utili a mantenere vivo e vitale il gruppo;
- per la volontà di continuare a farlo crescere non solo e non tanto in vista dell’intervento in emergenza, ma anche e soprattutto per il tempo che la precede al fine di ridurne quanto più gli effetti limitando l’intervento stesso;
- per la necessità di dare a tutti una diversa possibilità di crescita personale in un confronto continuo ed aperto di posizioni anche
diverse.
Fra gli obiettivi prioritari di un gruppo –oggi- deve esserci la “sopravvivenza” la vita e la crescita del gruppo stesso e, solo dopo di ciò e alla luce di questo nuovo e diverso “stare insieme”, saranno riconsiderate le capacità di intervento in emergenza. Un gruppo così, al passo con i tempi e i processi di innovazione gestionale, necessita però di “guide” diverse da quelle di un tempo. Con questo non si intende “mandare in pensione” chi fino ad oggi ha dedicato tempo energie risorse emozioni ai gruppi, perché la memoria del vissuto è un importantissimo elemento di continuità e di crescita, ma si vuole sollecitare un “avvicendamento” nelle funzioni di guida. Un gruppo che non ha il coraggio di affidare le funzioni di guida ai giovani, che non fa spazio al nuovo, che non si apre al confronto e –perché no- talvolta anche allo “scontro costruttivo” delle idee, che frena il cammino al … domani, è un gruppo destinato a morire senza lasciare alcuna eredità positiva. Oggi, i gruppi necessitano di esperti capaci nella “gestione delle risorse umane” in modo tecnico e specialistico. Oggi servono nuove figure di responsabili, in grado di modificare e attualizzare le modalità di conduzione dei gruppi, in grado di offrire a ciascun volontario il giusto spazio e la relativa autonomia gestionale per poter mettere in pratica, le molte idee che spesso -superficialmente e per timore del nuovo- vengono “cassate”.
Ricordo ancora con affetto “il comandante” del gruppo di volontariato di protezione civile di cui divenni membro tanti anni fa! Tale termine definiva e definisce tutt’ora una figura ben definita e precisa, con un ruolo ed una modalità di conduzione ben precise! Figura storica, ma decisamente superata, perché non più funzionale alle richieste e alle esigenze della realtà odierna. Oggi, serve una diversa figura di LEADER, capace di uno stile di LEADERSHIP “diffusa e condivisa” che superando tutte le vecchie teorie, pur conservando alcuni fondamentali ed importanti tratti di quanto l’esperienza ha fin qui insegnato, metta tutti i membri del gruppo in condizione di “responsabilità” nello svolgimento delle funzioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi, al tenere vivo l’interesse comune e al mantenimento delle migliori condizioni di lavoro. Studi e sperimentazioni attuali sostengono che “leader si diventa”! Quindi, chi meglio dei giovani -certo con una spiccata personalità e indubbie capacità competenze ed energie- può raccogliere questa sfida? Chi meglio di loro può avviare tale processo di profondo rinnovamento che porti a questa leadership propriamente relazionale, lasola capace di sostenere la coesione e l’efficacia collettiva del gruppo?
Il leader di oggi deve:
- essere capace di garantire buone relazioni fra i membri e un buon clima di lavoro;
- facilitare i processi del team per il raggiungimento di due obiettivi fondamentali: il prodotto e il processo;
- rappresentare il gruppo nelle relazioni esterne;
- risolvere i problemi del gruppo;
- aiutare il gruppo ad affrontare e risolvere i conflitti, fornendo sfide adeguate e compiti motivanti;
- allenare e prendersi cura dei singoli membri del gruppo, riconoscendo i bisogni individuali e del gruppo;
- condividere realmente il “potere” per dare valore alla fiducia, che sola crea fiducia crea autostima e … produce grandi leader!
Ma, soprattutto, l’aspirante leader deve essere motivato a cambiare se stesso, abbandonando molti assunti che hanno guidato le sue azioni anche in un passato recente. Perché la leadership, è un potente agente di cambiamento! Credo sia questa la sfida attuale, richiesta ai gruppi
COMUNICAZIONE E INFORMAZIONE
Nel momento in cui le persone si trovano a vivere l’emergenza, fra i tanti “bisogni” che emergono vi è anche quello di “sapere che cosa è accaduto” e “sapere che cosa bisogna fare”; perché in situazioni “dominate dal mutamento e dall’incertezza” (Lombardi, op. già citata), solo la conoscenza consente di razionalizzare l’accaduto, offrendo maggiori garanzie per gestire in modo meno emotivo l’evento, così da ridurre in modo significativo il danno.
COMUNICAZIONE in linguistica è: TRASMISSIONE DI INFORMAZIONE MEDIANTE MESSAGGI DA UN EMITTENTE AD UN RICEVENTE
Non necessariamente solo VERBALE, come si è in genere portati a pensare nella maggior parte dei casi, ma anche NON-VERBALE (che tanta rilevanza può assumere in situazioni “precarie” e/o particolari)
Nella comunicazione vi è sempre:
- un ASPETTO TECNICO
- un ASPETTO RELAZIONALE
Ognuno dei quali ha un livello tecnico e un livello pratico. Se dunque consideriamo la COMUNICAZIONE una TRASMISSIONE DI INFORMAZIONI, mediante MESSAGGI da un emittente ad un ricevente dobbiamo ricordare che è importante definire:
-CHI dice qualcosa
-CHE COSA dice
-IN CHE MODO viene detto e/o dato il messaggio
-A CHI viene rivolto il messaggio
-CON QUALI effetti
-A CHE SCOPO viene detto, ovvero: qual è l’ OBIETTIVO
In emergenza, ci sono talmente tante e diverse informazioni in ingresso e in uscita, che l’individuo rischia di non sapere più cos’è vero e cosa non lo è. In emergenza l’informazione diventa anch’essa un bisogno fondamentale, perché “l’essere a conoscenza” di quanto è accaduto e di ciò che si deve fare, serve a ridurre lo stato di ansia che sempre prende le “vittime”; ma non solo loro. In emergenza informare ed ancor più ESSERE INFORMATI significa “RAZIONALIZZARE” il problema e, quindi, divenire consapevoli e coscienti che il problema esiste. La COMUNICAZIONE è strategica per la messa in atto di comportamenti adattivi che consentono di vivere nell’emergenza.
COMUNICARE, PRODUCE SEMPRE UN EFFETTO, IMPARARE A GESTIRE LA COMUNICAZIONE E IMPARARE A GOVERNARE I PROCESSI INFORMATIVI E’ ELEMENTO ESSENZIALE NELLA GESTIONE DELL’EMERGENZA.
Un processo di formazione che miri a modificare nel tempo atteggiamenti e comportamenti di un gruppo sociale, si presenta come un percorso lungo e faticoso che richiede grande professionalità, coerenza, disponibilità, flessibilità e costanza da parte di chi lo attiva e gestisce. A tal riguardo, le esperienze realizzate negli anni hanno fornito alcune utili e significative indicazioni. Con gli adulti è in parte poco utile –perché più restii a modificare i loro atteggiamenti e le loro convinzioni- ma ugualmente va tentato e provato perché almeno una parte di loro “riflette” sul problema; con i giovani vanno cercate strategie diverse da quelle fin ora usate, soprattutto più coinvolgenti dal punto di vista pratico; con i bambini e i ragazzi la strada è decisamente più semplice grazie alla loro sincera disponibilità e al loro desiderio anche di “novità”. Nei loro confronti è doveroso ed indispensabile, perché crescano con un atteggiamento diverso dal nostro (gli attuali adulti dell’italica penisola). Indipendentemente dalle opinioni ed idee personali riferite sia alla problematica posta sia alle esperienze realizzate, le persone coinvolte nelle sperimentazioni fin qui attuate hanno manifestato alcuni precisi desideri e necessità che possono essere definiti “bisogni di carattere emotivo-cognitivo” -come dice il prof. Lombardi- che
potrei così riassumere in modo schematico:
-conoscere in modo preciso e puntuale il territorio e i rischi cui potrebbe essere soggetto;
-conoscere le reali possibilità che un rischio si verifichi e quali conseguenze ci potrebbero essere, nel caso si verificasse;
-conoscere le tecniche di gestione del gruppo, le modalità di guida, le tecniche per relazionarsi in modo efficace con le vittime (competenza emotiva personale e sociale);
-conoscere e saper mettere in atto i comportamenti di aiuto/soccorso e autoprotezione adeguati all’evento e poterli sperimentare con adeguate simulazioni;
-conoscere e saper mettere in atto comportamenti precisi e sicuri per collaborare più proficuamente con le Istituzioni e in generale con i soccorsi. Nessuno chiede al cittadino di sostituirvisi!;
-capire il perché delle nostre e delle altrui possibili reazioni emotive, come accettarle in quanto reazioni normali in una situazione anormale e straordinaria;
-avere indicazioni per potersi documentare anche “in proprio”;
-conoscere le strutture dello lo Stato -nelle sue diverse articolazioni- e come vengano attivate e messe in campo.
Ulteriore grande passo avanti è maturare la consapevolezza e accettazione dei propri e altrui limiti: il delirio di onnipotenza proprio o il pensare che l’altro sia capace di cose straordinarie è nemico dell’emergenza. Le uniche “cose” cui si può associare l’aggettivo “straordinario” siamo noi esseri umani e l’emergenza stessa. Ogni persona nella sua individualità e nel suo essere a sé, è portatore di qualcosa di proprio differenziato e distinto che non trova eguale in altri esseri esistenti; risultato dell’intreccio di vari e diversi elementi: corredo con cui si nasce, ambiente in cui si vive, cultura di appartenenza, società di cui si è membri. Tutto ciò porta l’individuo ad elaborare un proprio vissuto che ha solo alcune caratteristiche comuni ad altri individui. Al di là quindi delle generalizzazioni, per altro utili e necessarie ad elaborare strategie di azione, ogni individuo mette in atto proprie “re-azioni”, cioè propri comportamenti di risposta agli stimoli esogeni e/o endogeni che lo colpiscono . Ma, se solo ciò che si è vissuto si può ricordare in modo sicuro (memoria del vissuto), allora diventa importante poter sperimentare il maggior numero di situazioni, simulate ovviamente, per potersi “provare”. L’individuo deve essere “educato” a problematizzare la realtà perché solo così sarà in grado di pensare ipotesi e provare verifiche. Pluralità e diversità di problemi stimolano pluralità e diversità di ipotesi e verifiche, sì da consentire ad ognuno di noi di formarsi un proprio abito mentale, capace di attivare risposte efficaci ed efficienti sia nell’ordinarietà del normale e del quotidiano, sia nella straordinarietà dell’imprevisto e quindi anche
del pericolo. Tradotto in pratica significa che ciascun membro, di ciascuna comunità, dovrebbe: SAPERE per SAPER FARE per SAPER ESSERE Ovvero, “comportarsi” nel modo adatto alla situazione agente e agita.
Nella prospettiva della Protezione Civile ciò potrebbe significare non tanto preparare un numero enorme di “uomini” (volontari o meno) super addestrati e super specializzati (pochi, nei posti giusti), bensì EDUCARE il maggior numero dei membri di quel gruppo sociale all’acquisizione di uno specifico abito mentale che consenta loro di attivare comportamenti adatti di risposta soprattutto al pericolo, nei diversi momenti spazio/temporali che lo caratterizzano. Oggi purtroppo, sembra ancora difficile coinvolgere interi gruppi sociali in un serio e approfondito programma di “educazione alla sicurezza e alla protezione civile”, nonostante la gran quantità di stimoli e risorse che vi sarebbero a disposizione. Anche perché, sempre più rilevante è l’aspetto della “relazione” dentro e fuori i gruppi di volontariato. L’individualismo di cui oggi sembra soffrire l’umanità, impedisce spesso al “soggetto” di ricordarsi che anche lui contribuisce a far funzionare il complesso sistema di cui è parte integrante; ne è uno degli innumerevoli sottosistemi e non può “chiamarsi fuori” in nessuna occasione, pena una reazione a catena che può portare ad una situazione di emergenza o ad un suo peggioramento. Quasi a dimostrazione e riprova che il volontariato di Protezione Civile può essere molto utile -forse anche più utile!- prima del verificarsi di un evento, nella fase di PREVENZIONE e di FORMAZIONE! La convinzione è che solo una adeguata formazione dei volontari, dei diversi gruppi in rete fra loro, –che spazi in tutti i campi e non si limiti solo ad essere tecnica/materiale- e una seria informazione di tutti i cittadini può contribuire a ridurre i danni di un evento, pur considerando le difficoltà logistiche di coinvolgimento della popolazione e la riluttanza a modificare atteggiamenti e comportamenti anche dei volontari stessi. Questo aspetto fino ad oggi trascurato nella loro preparazione che riconsideri la gestione stessa dei gruppi, non più “al comando” di … ma capace di attuare una leadership diffusa e condivisa, può essere un importante motore di cambiamento e adeguamento alla realtà.
In sostanza, è necessaria una continua e profonda opera di EDUCAZIONE, anzi di RI-EDUCAZIONE intellettuale, morale e fisica. Educazione del conoscere, del volere e del fare, che sola può recuperare la dignità troppo spesso perduta e la capacità dell’uomo di “volare alto” e di continuare a “sognare”. Ritrovare cioè la capacità di vivere le proprie azioni ed emozioni entro i confini biologici e fisiologici naturali.
A chi questo compito? Al “TERRITORIO”! Territorio che, con i suoi innumerevoli sottosistemi che lo strutturano concretamente, ha dimostrato –nelle esperienze realizzate- di avere le capacità per offrire una risorsa multipla capace di porre l’attenzione e l’accento sull’educazione morale -del volere, della sfera etica- per consentire al singolo di far convivere in lui autorità e libertà non in un dilemma continuo, ma ... in una ragionevole risposta. “Se l’autorità si fa legge che rispetta le coscienze e la libertà si fa coscienza che rispetta la legge, allora l’autorità “propone” la legge come itinerario di realizzazione della libertà” (L.Bognandi). Tutto ciò non servirà ad eliminare disastri e catastrofi, ma potrà servire ad ognuno di noi a trovare e provare altre e diverse risorse interne per affrontare il possibile “evento” nostro e/o altrui .
Il cammino dell’uomo è sempre stato e resterà sempre fondamentalmente una incognita, ma questo non significa che sia un cammino impraticabile.
Lezione 7 - DPI (DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE)
LEGGI (relazione INAIL su attività in cantieri stradali/equiparati a crash)
Per le leggi in materia di sicurezza vi rimando a queste due discussioni presenti sul forum:
https://www.militariforum.it/forum/sh...-volontari-P-C
https://www.militariforum.it/forum/sh...-dei-volontari
Inoltre tutti gli interventi, come sicurezza, vengono equiparati a cantieri stradali temporanei,
I volontari vengono equiparati a lavoratori dipendenti.
Obblighi dei Datori di Lavoro e del Dirigente Art. 18 D.Lgs. 81/08
• adottare ed aggiornare le misure di prevenzione ai fini della salute e sicurezza del lavoro
• affidare a ciascun lavoratore compiti confacenti alla sua salute e capacità
• fornire idonei D.P.I. (Dispositivi di Protezione Individuali)
• informare e formare ciascun lavoratore sui rischi specifici presenti in cantiere utilizzando gli strumenti informativi (POS, manuale d’uso e manutenzione delle macchine, ecc.)
• adottare misure affinché soltanto lavoratori che abbiano ricevuto una formazione specifica accedano a zone che li espongono a rischi gravi
• informare i lavoratori esposti a rischio grave ed immediato sulla natura del rischio e sui provvedimenti da adottare per eliminarlo
• designare preventivamente i lavoratori incaricati del primo soccorso,delle misure di prevenzione incendi e dell’evacuazione dai luoghi di lavoro. (nominativi da inserire nel POS)
• richiedere ai lavoratori l’osservanza dell’attuale normativa in campo di igiene e sicurezza del lavoro e le specifiche disposizioni aziendali
• sottoporre i lavoratori alla sorveglianza sanitaria a cura del medico competente
• dotare i lavoratori di tessera di riconoscimento completa dei dati dell’impresa e del nominativo del lavoratore e della sua fotografia
Obblighi dei preposti (capocantiere - caposquadra - capoturno) Art. 19 D.Lgs. 81/08
• vigilare sull’osservanza da parte dei lavoratori degli obblighi normativi, delle disposizioni aziendali, delle procedure di sicurezza contenute nei documenti di cantiere (PSC, POS, Piano delle demolizioni, PIMUS), dell’uso dei D.P.I e dell’esposizione della tessera di riconoscimento. In caso di persistente inosservanza riferire ai propri superiori
• verificare che solamente i lavoratori che hanno ricevuto una specifica formazione accedano a zone che li espongono a rischi gravi
• dare istruzioni ai lavoratori in caso di pericolo grave ed immediato affinché abbandonino le zone di pericolo ed astenersi dal richiedere agli stessi di riprendere l’attività se le situazioni di rischio permangono
• informare i lavoratori esposti a rischio grave ed immediato sulla natura del rischio e sui provvedimenti adottati per eliminarlo
• segnalare al Datore di Lavoro o al Dirigente le deficienze dei mezzi, attrezzature di lavoro, dei D.P.I. ed ogni altra situazione di pericolo nell’ambito della formazione ricevuta
• frequentare i corsi di formazione
Obblighi dei Lavoratori. Art. 20 D.Lgs. 81/08
• prendersi cura della propria sicurezza e salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, sulle quali ricadono gli effetti delle sueazioni od omissioni
• osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti in materia di salute e sicurezza sul lavoro e protezione collettiva ed individuale
• utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze pericolose,i mezzi di trasporto ed i D.P.I. resi disponibili
• segnalare ogni deficienza che interessi mezzi e dispositivi al preposto, al dirigente o al datore di lavoro
• non rimuovere o modificare senza specifica autorizzazione i dispositivi di sicurezza, controllo e segnalazione
• non compiere di propria iniziativa operazioni che non siano di propria competenza
• partecipare ai programmi di informazione e formazione e sottoporsi ai controlli sanitari disposti dal medico competente
• esporre la tessera di riconoscimento fornita dal proprio datore di lavoro
Obblighi del datore di lavoro dell’impresa affidataria Art. 97 c. 1 D.Lgs. 81/08
• verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del Piano di sicurezza e coordinamento
DPI
Con tale sigla si intendono i prodotti che hanno la funzione di salvaguardare la persona che l’indossi ocomunque li porti con sé, da rischi per la salute e la sicurezza.
Ricordiamoci che i D.P.I. aiutano il soccorritore a prestare la propria opera nel tempo e in salute; se un soccorritore si “vuole bene” e vuole operare con professionalità verso chi necessita di aiuto, non deve ignorare i D.P.I.
LA FILOSOFIA DEVE ESSERE COERENTE CON L’ATTIVITA’ CHE UN SOGGETTO SVOLGE E PERTANTO E’ MOLTO IMPORTANTE ANCHE IL MESSAGGIO CHE TRASMETTIAMO ALLA POPOLAZIONE - NON POSSIAMO CHIAMARCI FUORI DA QUESTA FILOSOFIA
In caso di grave infortunio, oppure in caso di morte di un volontario, la Legge cosa dice?Ogni evento viene valutato dai Giudici e
pertanto si possono solamente dare dei suggerimenti da “buon padre di famiglia”, senza lasciare NULLA AL CASO. Spesso eliminare un RISCHIO
non è possibile, ma sarà possibile limitarne le conseguenze. Il nostro obbiettivo finale è VINCERE e non andare all'ospedale, o peggio al cimitero.
IMPORTANTE SUI DPI
-Fornitura ai lavoratori
-Manutenzione e pulizia
-Corretto utilizzo
-Obbligo di uso per rischi inevitabili.
-Adozione di misure igieniche per l’utilizzo
-Formazione e addestramento.
-Istruzioni comprensibili ai lavoratori.
-Informazione preliminare sui tipi di rischio dai quali
-ciascun dispositivo protegge.
-Disponibilità in azienda dei documenti contenenti le
-informazioni su ogni dispositivo.
-Addestramento all’utilizzo di D.P.I. di 3a categoria.
-Fornitura ai lavoratori di necessari e idonei D.P.I.,
-sentito il responsabile del S.P.P.
-Cura, pulizia e divieto di modifiche
CATEGORIE DI DPI
1a categoria: D.P.I. di progettazione semplice destinati a salvaguardare la persona da rischi di danni fisici di lieve entità.
2a categoria: D.P.I. che non rientrano nelle altre due categorie.
3a categoria: D.P.I. di progettazione complessa destinati a salvaguardare da rischi di morte o di lesioni gravi e di carattere permanente.
AUTORESPIRATORE
L'autorespiratore ad aria (acronimo ARA) è un insieme di strumentazioni per poter respirare in ambienti saturi di gas nocivi (anidride carconica, fosgene ecc..
In particolare è composto da:
-la bombola, caricata con aria compressa, la riserva d'aria;
-l'erogatore, che consente di respirare l'aria dalla bombola attraverso una maschera che comprende tutto il viso senza sforzo alcuno e soprattutto in condizioni fisiologiche pressoché normali. L'erogatore a sua volta si suddivide in primo e secondo stadio. Il primo stadio è il componente direttamente collegato alla bombola ed è utilizzato per ridurre l'alta pressione dell'aria contenuta nella bombola stessa (200 bar) fino ad una pressione intermedia detta anche bassa pressione di 8/10 bar superiore a quella ambiente. Il secondo stadio si collega al primo tramite un tubo a bassa pressione (chiamato comunemente "frusta"), e permette un'ulteriore riduzione di pressione, fino a quella ambiente rendendo l'aria facilmente respirabile per l'operatore. Esistono anche varianti a riciclo continuo di aria, che offrono un'autonomia pressocchè illimitata.
Inoltre esistono maschere collegate ad un filtro che isolano e purificano l'aria repirata tramite reazioni di elementi presenti nel filtro, permettendo di poter respirare in ambienti contaminati (però saturi di aria respirabile).
ABBIGLIAMENTO IDONEO
Sono quegli abbigliamenti che permettono di poter operare in situazioni e con elementi pericolosi o comunque dannosi per la salute dell'uomo. Esempio è l'abbigliamento antincendio (con relativa calzatura) per poter affrontare un incendio, come tute antiacido per poter operare a contatto con sostanze corrosive, abbigliamento emorepellente e battericida per poter operare a contatto con sangue umano (ferite medicazioni ecc...), e ultimo ma non meno importante le tute stagne che permettono di adentrarsi in ambienti allagati e poter trarre in salvo delle persone mantenendo il corpo asciutto e la temperatura inalterata.
PROTEZIONE DELLA TESTA
I tipi di caschi più usati in ambiti di Protezione civile sono i classici caschetti da cantiere (che il loro compito maggiore non è proteggere da cadute di oggetti come molti pensano, ma di evitare urti con la testa su superfici dure), fino ad arrivare a caschi più evoluti per l'antincendio con visiere speciali, sahariana, copertura del collo e dei lati ecc...
PROTEZIONE DEGLI OCCHI
Da utilizzare in caso di utilizzo di attrezzature che producono frammenti volanti di oggetti (smerigliatrici, motoseghe ecc..) Inoltre esistono degli occhialini scuri per poter permettere di lavorare in sicurezza in caso di attrezzature che producano un'intensa luminosità (saldatrici ecc...)
PROTEZIONE DELLE MANI
Come per l'abbigliamento idoneo i guanti vanno abbinati per ogni esigenza necessaria (es. guanti in lattice o materiale isolante per il sangue; guanti antincendio per gli incendi ecc...)
PROTEZIONE UDITO
Da utilizzare in caso si utilizzino attrezzature che producano un elevato rumore. Esistono sia delle cuffie che dei tappi usa e getta. Durante il loro utilizzo prestare la massima attenzione se si è in strada o nelle vicinanze di reti ferroviarie perchè al sopraggiungere di eventuali mezzi, con le protezioni indossate non è possibile udirne il rumore, tantomeno eventuali segnalazioni acustiche!
PROTEZIONE PIEDI
Tutte le calzature indosaste devono avere suola rinforzata antitaglio, e punta di metallo. Inoltre, come per i guanti e l'abbigliamento idoneo, si richiedono calzature idonee per tutti i servizi particolari (es: isolate per allagamenti, antiacido se si maneggiano acidi ecc...)
ALTA VISIBILITa'
Obbligatoria in contesti stradali e di scarsa visibilità. Devono essere omologati per l'alta visibilità, di colore fosforescente e presente di bande riflettenti.
OMOLOGAZIONI DPI
Resistenza all'inquinamento batteriologico – EN 374
Indumento alta visibilità – EN 471
Indumento protettivo per motoseghisti e apicultura – EN 381/5
Protezione da taglio –EN 412 - 1082
Indumento protettivo per pronto intervento, incendio, boschivo, fonderia, saldatori e per propagazione limitata alla fiamma EN 470 – 531 - 533
ESEMPIO - GRUPPO DI PC
GRUPPO ATTENTO:
La “prevenzione” diventa il denominatore comune dell’attività svolta. Tutti si impegnano a far crescere la “piantina” della “filosofia della prevenzione”. Un proporzionato impegno finanziario, un’analisi dei rischi e un’adeguata formazione, aiutano sicuramente i volontari e i responsabili , offrendo un servizio qualitativamente più valido al cittadini
GRUPPO SUPERFICIALE:
Considerando che la normativa vigente non obbliga i volontari a certi adempimenti, si preferisce impegnare le finanze per acquistare attrezzature e mezzi. Eventualmente, si provvederà a soddisfare alcune carenze molto apparenti.
Lezione n. 8 - TELECOMUNICAZIONI (operatori di squadra- operatori in monitoraggio-operatori centrale operativa- operatodi di coc-com-ccs)
Diciamo subito che questa parte è rivolta essenzialmente agli operatori TLC di protezione civileNon faremo un discorso eccessivamente tecnico. Non parleremo di propagazione ionosferica, di onde hertziane o di come costruirsi una radio. Per l’attività di protezione civile la radio è un mezzo di comunicazione non di studio.
LEGISLAZIONE
In Italia l’uso delle TLC èregolamentato dal D.Lgs. n° 259 del 01-08-03, che ha abrogato diverse precedenti leggi e decreti in materia. Si tratta quindi di una normativa relativamente recente che necessita ancora di alcune interpretazioni particolari. E’ specificato però che ogni concessione, autorizzazione o licenza preesistenti, continuano ad essere valide fino alla loro naturale scadenza. La normativa prevede anche dei criteri abbastanza tortuosi per determinare gli importi dei “contributi dovuti” per ottenere e mantenere queste “autorizzazioni”.In pratica l’ammontare di questa “tassa complessiva” è il risultato della somma del contributo per l’istruttoria della pratica, del contributo per la concessione della frequenza e del contributo per la vigilanza, verifica e controlli. Inoltre quest’ultima voce è ulteriormente differenziata secondo il numero degli apparecchi, l’area coperta e la potenza utilizzata. Le associazioni di volontariato di Protezione Civile iscritte nei Registri, per cui ONLUS di diritto, sono esentate qualsivoglia tassa o contributo.Ciò invece non avviene per i Gruppi Comunali. Queste compagini non si configurano in organismi che si possono identificare in Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale. In questi casi, le richieste di autorizzazioni per l’utilizzo di determinate frequenze e ponti ripetitori, ricade nelle competenze delle Amministrazioni Comunali e i relativi contributi dovuti sono a carico del bilancio comunale.
SISTEMA DI COMANDO E CONTROLLO
Un intervento di emergenza radio, nel contesto di un’azione di protezione civile, può svilupparsi in vari modi, alcuni di essi possono essere pianificati, ma spesso ogni emergenza insegna sempre un nuovo modo di utilizzo delle radio.
Le Maglie Radio Alternative di Emergenza. sostituiscono la rete telefonica e le reti di servizio normale (VVF; PS; CC; 118; CRI; ecc.) ovvero, si affiancano ad esse per avere maggiori canali di comunicazione sempre aperti senza il rischio di linee occupate a causa di eccessivo traffico o di avarie. Una maglia radio provinciale potrà essere costituita dai seguenti collegamenti:
COC - (oggi ridefinito anche UCL unità di crisi locale) l’operatore sul territorio genera le informazioni primarie o riceve l’ordine esecutivo finale.
COC - COM si effettuano le trasmissioni di messaggi di richiesta di soccorso e/o di informazioni.
CCS - COM, (e con altri enti interessati in maniera straordinaria dall’emergenza), si effettuano le trasmissioni di messaggi di
richiesta di soccorso e/o di informazioni di grado più elevato dei precedenti.
Collegamenti di Organizzazione - collegamenti “non in rete” effettuati fra postazioni di una medesima organizzazione con la propria sede o fra membri di diverse squadre della medesima organizzazione.
Collegamenti PUNTO - PUNTO - collegamenti “non in rete” effettuati fra squadre di diverse organizzazioni e la stazione capomaglia o di coordinamento dell’emergenza o collegamenti “ad hoc” fra 2 postazioni interessate da particolari esigenze.
COLLEGAMENTI RADIO D'EMERGENZA
La rete dei collegamenti radio di emergenza si suddivide in 4 fasi:
- 1 fase monitoraggio della zona a rischio (es:monitoraggio di un fiume: si trasmettono informazioni specifiche generate dall'operatore stesso)
- 2° fase: TRasmissione dei messaggi di soccorso (es: incidente industriale: si cerca di trasmettere la richiesta di soccorso ad una stazione esterna al di fuori del territorio)
- 3° fase: Rete alternativa di collegamenti radio tra COM (es: black out telefonico: si trasmettono messaggi generati dagli enti. E' indispensabile l'uso del modulo trasmissione messaggi (brogliaccio-radio)
-4° fase: collegamento radio punto-punto (es: collegamento tra 2 tendopoli: si trasmettono messaggi e informazioni varie generati dai responsabili del campo)
MODULO MESSAGGIO
E' un modulo di derivazione diretta dal Modello 57 della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile (se qualcuno è in possesso di tale modulo, cortesemente me lo potrebbe inviare che non riesco a trovarlo?); è stato messo a disposizione di tutti gli enti che possono essere interessati all'utilizzo del medesimo durante le emergenze. Tutti gli operatori di COM e CCS lo utilizzano.
Il modulo messaggio vede l'interazione di due ruoli diversi: il compilatore (colui che redige il messaggio, non lo trasmette e di solito è addetto ad ambiti diversi nelle trasmissioni radio (es: sindaco, ROC, coordinatore logistico ecc...), e l'operatore radio (colui che trasmette in fonia il messaggio che è stato scritto dal compilatore.
Le zone di compilazione si distinguono in due casi: MSG in partenza (dove viene compilata solamente la parte inerente al messaggio) e messaggi in arrivo (dove viene compilato tutto il modulo, compresa intestazione ecc...)
Qualifica di precedenza: Definisce la priorità di trasmissione, smistamento e recaopito del messaggio e viene stabilita dal compilatore, può essere U= urgente o O=ordinario.
Qualifica di trasmissione: definisce la priorità di trasmissione, smistamento e recapito el messaggio e viene stabilita dall'operatore radio, può essere PA= soccorso per la salvaguardia di vite umane o P= soccorso per la difesa dei beni materiali.
Tutte le registrazioni da e per: Centro trasmissioni radiomobile, CT mobile, comunque e da qualsiasi Stazione devono essere REGISTRATE nel REGISTRO DI STAZIONE STAZIONE
QUALCHE REGOLA PER IL MODULO MESSAGGIO:
-Dettare molto lentamente avendo cura di interrompere la trasmissione dopo un certo numero di parole e riprendere la dettatura solo dopo la conferma di avvenuta ricevione;
-Numerare progressivamente ogni modulo mesasggio iniziato, se per una trasmissione se ne utilizza più di uno specificare con "segue n° prot."
-Evitare le correzioni sono ammesse solo per i messaggi di tipo PA e P)
-Compilare in ogni parte di propria competenza senza tralasciare alcun dato
-Redigere doppia copia utilizzando la carta carbone
-Ricordarsi di far sempre firmare la copia del messaggio a cui viene consegnato. La copia firmata sarà archiviata a cura del Centro Trasmissioni
LE FREQUENZE RADIO UTILIZZATE IN PC: CREDENZE
Sbarazziamo subito il campo a false credenze.
Nel nostro Paese le radiocomunicazioni veramente in “libero uso” sono solo quelle che utilizzano i piccoli apparecchi LPD, i radiocomandi, i segnalatori di soccorso antivalanghe e pochi altri.
LE FREQUENZE RADIO UTILIZZATE IN PC: LEGGENDE
Sfatiamo subito un mito che non esiste e che molti vorrebbero esistesse:
Non esiste una frequenza radio specifica riservata all'attività di Protezione civile
E meno male che sia così. Perché?
Perchè con la presenza così capillare di moltissimi gruppi di Protezione civile, la presenza di frequenze radio (anche a più canali) anche solo a livello provinciale genererebbe il caos più totale nelle comunicazioni
LE FREQUENZE RADIO UTILIZZATE IN PC: LA REALTA'
Per tutti gli altri apparecchi o, per meglio dire, per tutti gli altri servizi che utilizzano radio frequenze diverse, occorre un’autorizzazione e bisogna pagare una tassa. Sono escluse solo le ONLUS.
Lo spettro elettromagnetico utilizzabile per le radiocomunicazioni è molto vasto, ma anche i servizi che necessitano di
radiocomunicazioni sono numericamente molto elevati (si pensi ai servizi sanitari, le ditte di trasporto, la vigilanza, le forze dell’ordine, le manutenzioni tecniche, i
network radiotelevisivi, ecc.), pertanto lo spazio destinato agli usi di protezione civile in definitiva è molto limitato.
Il rischio che vi siano delle sovra emissioni, ovvero l’uso simultaneo della stessa frequenza da parte di più soggetti, è molto elevato. Ecco quindi l’esigenza dei piani provinciali di utilizzo delle frequenze che prevede l’assegnazione concordata di bande e canali in funzione:
- della zona territoriale da coprire;
- della tipologia delle informazioni da trasmettere;
- dell’Ente che deve utilizzare queste informazioni;
HF (HIGH FREQUENCY) DA 1500 Khz A 30 mHz
Si tratta della banda più “vecchia” dove le onde radio possono percorrere i tragitti più lunghi seguendo la curvatura della terra e le riflessioni sia del suolo che della stratosfera, inoltre le onde radio con questa frequenza sono in grado di attraversare, senza grosse perdite, gli ostacoli rappresentati da case, boschi ecc. Necessita però di grande dispendio di energia e di antenne molto lunghe. In Protezione Civile una porzione di questa banda viene utilizzata dai Radioamatori per i collegamenti fra le Prefetture
la Ministero degli Interni a Roma. A livello locale, con apparati di debole potenza, e con risultati modesti, si può usare la sottobanda dei 27 Mhz conosciuta come “banda cittadina” (CB)
Ne viene concesso l’uso da parte del DPC per periodi temporanei e delimitati dietro richiesta di un Ente o Associazione.Richiede apparati abbastanza costosi e l’efficienza in isofrequenza è di qualche Km, con l’utilizzo di appositi ponti ripetitori installati in posizione alte (colline ecc.) si può coprire tutto l’intero territorio provinciale. (anche per vhf)
Nell frequenze comprese tra 43 Mhz e 27 Mhz Occorre un’autorizzazione generale rilasciata del MiniCom dietro l’inoltro di documentazione apposita. La frequenza è prevista dalla normativa.Richiede apparati di debole potenza, molto economici e
di facile reperibilità sul mercato, per contro il raggio di copertura è molto modesto.
VHF (VERY HIGHT FREQUENCY) DA 30 Mhz a 300mHz
La caratteristica principale di questa banda è la presenza, nella parte alta della stessa, di molti servizi privati e di quasi tutti i servizi di pubblica assistenza (Vigili del fuoco, Croce Rossa, 118, Croci varie, ecc.). Nella parte bassa è allocata la banda 43 Mhz che viene spesso usata dalle associazioni e dai gruppi comunali di protezione civile. In questa banda, a partire già dalle frequenze intorno ai 130 Mhz i collegamenti si effettuano in portata cosidetta “ottica”, in quanto le onde radio non riescono a seguire la curvatura della terra e iniziano a manifestare un discreto assorbimento quando attraversano muri e zone abitate.
UHF (ULTRA HIGHT FREQUENCY) DA 300 mHz a 3.000 Mhz
In questa banda, la direzionalità e la trasmissione a portata ottica diventano le caratteristiche peculiari che permettono alle apparecchiature radio di effettuare collegamenti anche di parecchi chilometri con pochissima potenza. Per contro basta un ostacolo fra la trasmittente e la ricevente per compromettere il collegamento.
La frequenza UHF - LPD 433 Mhz utilizza piccolissime ricetrasmittenti della potenza di 10 mW, dal consumo irrisorio, ma solo con antenne entrocontenute. E' molto indicata per i collegamenti radio all'interno di una squadra ed in un territorio ristretto
Per la frequenza UHF - PMR 446 Mhz Occorre un’autorizzazione generale rilasciata del MiniCom dietro l’inoltro di documentazione apposita. La frequenza è prevista dalla normativa. Non è per uso di Protezione civile. Utilizza piccolissime ricetrasmittenti della potenza di 500 mW, dal consumo irrisorio, ma solo con antenne entrocontenute.
PONTI RADIO UHF-VHF
Occorre l’autorizzazione generale rilasciata dal MiniCom dietro presentazione di una documentazione con le schede tecniche delle apparecchiature, la loro localizzazione (ponte radio), il raggio di copertura. La frequenza viene assegnata d’ufficio. Le bande di frequenza ad uso privato PMR tecnicamente sono assimilabili a quelle radioamatoriali in quanto le apparecchiature sono le medesime ma con diverso sistema di programmazione (tramite PC).La differenza sostanziale è una sorta di esclusività della
“concessione d’uso” della frequenza, o meglio di un codice (CTCSS) dalla stessa, in quanto l’ente, il comune o l’associazione “concessionaria” ne diventa unica utilizzatrice in una determinata area.
BANDE CB
Uso libero subordinato ad una dichiarazione legata ad un'unica persona. Il contributo annuo è di € 12.00 per un numero illimitato di apparecchi.
BANDE RADIOAMATORIALI
Uso autorizzato dietro ad una denuncia di inizio attività previo conseguimento della patente da radioamatore. Il contributo annuo è di €5.00 per un numero illimitato di apparecchi.
Le altre bande sia inferiori che superiori hanno poca rilevanza per le attività di protezione civile. Per conoscenza didattica si può dire che le bande inferiori si utilizzano per segnali orari campione e di posizione, mentre le bande superiori ovvero le microonde sono importantissime per i collegamenti con i satelliti.
LA LAVORAZIONE DEI FLUSSI INFORMATIVI
Un incarco che spesso è affidato all'operatore radio di protezione civile durante un'emergenza è quello di "verificare la situazione" sul campo; ovvero recarsi sul crash per descrivere alla sala operativa la reale situazione.
La descrizione del sinistro è di estrema importanza. Più precise ed immediate sono le informazioni, più correttamente si potrà valutare la situazione. Può sembrare una banalità, ma gli strumenti necessari per svolgere il compito di addetto alla sala operativa sono CARTA e PENNA, per poter annotare in tempo reale le annotazioni fatte dall'operatore.
IL TRIAGE
E' importante ricordare di trasmettere il messaggio o l'eventuale richiesta di soccorso cercando di non tralasciare i dati fondamentali; un metodo efficace, come riferimento è quello di ricordare le famose WH QUESTIONS del giornalismo inglese: chi, cosa, perchè/come, dove, quando. Non è necessario esporle nell'ordine. Il messaggio di richiesta non deve esporre messaggi di tipo operativo, se non dettati da competenza specifica. Ricordarsi che le informazioni inutili occupano la frequenza e creano confusione in chi riceve il messaggio.
PRASSI DA SEGUIRE:
A) Giunti sul luogo del sinistro scrivere, annotarsi la descrizione della zona (città o frazione, chilometro dell'autostrada, o della SS, SP eccc); prestare attenzione anche ai particolari salienti della zona e della sede stradale (ponticelli, fossi, chiesette eccc) utili all'individuazione su carte topografiche.
B) descrivere il tipo di sinistro: terremoto, crollo, scoppio, alluvione, incidente stradale, crollo, incidente industriale ecc....
C) Capire il numero delle vittime, la gravità dei feriti e la loro stabilità (sono sepolti, incastrati, immersi in acqua, dispersi ecc...) effettuando già un primo triage generale sulle vittime.
D) controllare se ci sono pericoli collaterali come ad esempio: spargimenti di liquido infiammabile, tossico, nocivo, cavi elettrici (sospesi o danneggiati), materiale con etichette pericolose (vedi lezione codice kemler).
E) Pianificare il percorso più semplice per gli eventuali soccorsi tenendo presente che i mezzi di soccorso (APS, ABP, Autoscale ecc...) sono larghi c.a. 2.50 metri e alti mediamente 3.50 metri. Utilizzare cartografia IGM.
F) Ricordarsi sempre il quando, ovvero l'ora e i minuti di quando è avvenuto il sinistro o l'evento. La comunicazione deve sempre indicare la fonte, ovvero chi genera la notizia
STRUTTURA DI UNA SALA RADIO
In situazioni di crisi sovracomunali viene attivata la Sala Operativa della Prefettura (UTG) che prende il nome di Centro Coordinamento Soccorsi (CCS). Il responsabile della Charlie Oscar (CO = centrale operativa) è un funzionario della Prefettura che, coadiuvato da altre figure istituzionali, dispone gli interventi atti a far fronte all'emergenza. I messaggi relativi all'emergenza partono e pervengono alla CO mediante Telefono, fax, e-mail e staffette
La sala radio è lo spazio riservato alle TLC che non può convivere all'interno della CO, ma deve essere collocata in una zona adiacente, ma separata. In sala radio devono far capo i terminali RTX delle Forze istituzionali (FFOO, VVF, 118, ecc...), ma anche i terminali dei gruppi di pc che si occupano delle reti radio alternative di emergenza. In un campo le tende ideali per allestire una sala radio sono le PI 88. Il materiale logistico necessario sarà: diversi tavoli 2X1, delle sedie, alcune lavagne, dei cavalletti portacarte geografiche, un generatore d'emergenza spento, una batteria a tampone e delle canaline per far uscire i cavi e portarli alle antenne.
TIPOLOGIE DI RADIO
L'apparecchiatura radio rappresenta il veicolo su cui la Protezione civile carica le informazioni per il loro trasferimento. Come per i veicoli che marciano sulle strade, avremo veicoli lenti e veicoli veloci, ciclomotori e pullman, motocarri e autoarticolati.
RADIO PORTATILI/PALMARI
Sono apparati di piccole dimensioni che contengono in un unico pezzo tutte le sezioni caratteristiche delle radio (alimentazione, microfono, altoparlante e antenna).
RADIO VEICOLARI
Apparati che sono simili ad autoradio, necessitano di una fonte di alimentazione esterna, di un'antenna, di un microfono e spesso anche di un altoparlante. Si installano a bordo degli automezzi o come radio fisse da campo".
RADIO FISSE
Sono apparati che contengono all'interno un alimentatore e possono essere collegate direttamente alla rete 220. Normalmente sono di costruzione voluminosa e si utilizzano all'interno di sale radio con un'antenna fissa.
Tutte le apparecchiature radio sono predisposte per la trasmissione in fonia, ma alcune di esse possono anche trasmettere dati, sia anlogici che digitali. In Protezione civile la trasmissione dati è importantissima e permette di velocizzare il traffico radio. Con apparecchiature più complesse possiamo così trasmettere fax, immagini da telecamere, documenti e file da computer, coordinate topografiche GPS, rilevamenti pluviometrici ecc...
USO PRATICO
Senza addentrarci in aspetti eccessivamente tecnici, occorre tenere presente alcune regole nell’uso delle radiocomunicazione.
Visto che la radio è un mezzo per mettere in comunicazione almeno due soggetti (ma in protezione civile sono sempre molti di più) è indispensabile che questi soggetti “parlino la stessa lingua” e non che, invece, si esprimano
con terminologie del tutto personali.
La procedura denominata in gergo “CHIAMATO-CHIAMANTE“ per effettuare una chiamata:
- Sincerarsi che nessuno stia impegnando la frequenza onde evitare di “sovramodulare” ovvero disturbare altre comunicazioni.
- Rivolgersi al corrispondente chiamandolo con il suo nominativo e indicando il luogo dove si trova.
- Far seguire il proprio nominativo e il luogo dove ci si trova.
E’ sempre opportuno che ci sia un coordinatore delle comunicazioni. Prima di iniziare ogni conversazione accertarsi che l’interlocutore ci riceva in modo accettabile.
Il controllo di una comunicazione radio (QRK) si compone di due dati: “RADIO” e “SEGNALE”
Il primo relativo è alla comprensibilitàdella voce ricevuta, il secondo all’intensità del segnale misurato da un apposito strumento montato normalmente su apparecchiature radio di qualità ("S"meter, o rossmetro).
Tralasciando la lettura dello strumento, si può in ogni caso dare un controllo radio secondo questa scala di valutazione:
RADIO 5 : comprensibilità 100% - forte e chiaro
RADIO 4 : comprensibilità 80% - buono
RADIO 3 : comprensibilità 60% - appena comprensibile
RADIO 2 : comprensibilità 40% - comprensibilità a tratti
RADIO 1 : comprensibilità 20% - non comprensibile
RADIO 0 : assenza di modulazione - non si sente niente
Generalmente le comunicazioni si effettuano "in chiaro", cioè parlando normalmente. CB e radioamatori, insieme ad altri numerosi enti, usano alcuni codici o linguaggi particolari definiti codice Q, e codice di sillabazione Nato. In ogni caso prima di utilizzare questi codici, assicurarsi che l’interlocutore ne sia a conoscenza.
CODICE Q
QRA Nominativo della stazione
QRG La vostra frequenza esatta è:...
QRK Comprensibilità della modulazione
QRM Sono disturbato
QRT Sospensione della trasmissione
QRX Chiudo. Richiamerò alle ore:...
QSL Accuso ricevuta della trasmissione
QSO Comunicazione diretta
QSY Passaggio ad altra frequenza
QTC Messaggio destinato a:...
QSX In ascolto radio
QTR Ora esatta.
QTH Posizione o località
CODICE NATO
Il codice Nato di sillabazione, o "Spelling", è invece fondamentale per tutti gli operatori radio, perché sulle reti di comunicazione possono transitare messaggi o nomi complessi o sensibili. La sillabazione effettuata in maniera corretta permette in questi casi l‘eliminazione di errori che possono essere fatali.
ALFA. BRAVO, CHARLIE, DELTA ECHO, FOXTROT, GOLF, HOTEL INDIA, JULIET, KILO, LIMA, MIKE, NOVEMBER, OSCAR, PAPA, QUEBEC, ROMEO, SIERRA, TANGO, UNIFORM, VICTOR, WISKY, X RAY, YANKEE, ZULU.
I COMANDI PRINCIPALI DI UNA RADIO
Una radio ricetrasmittente è composta da un corpo centrale che contiene i circuiti di sintonia, ricezione e trasmissione, di un microfono, un altoparlante, un'antenna (se portatile) e se fissa un alimentatore.
Le radio portatili o palmari racchiudono in un unico pezzo tutti gli elementi sopra descritti. la criticità di questo tipo di apparecchi è l'alimentazione che è fornita da piccole batterie, e la bassa potenza.
Prima di iniziare un collegamento radio bisogna sincerarsi che tutti i "pezzi" siano oppoortunamente collegati, in caso contrario oltre a rendere impossibile il collegamento radio, si può provocare un danno irreparabile all'apparecchiatura stessa.
Andiamo ad analizzare le funzioni di una radio RTX da 43 mHz, le componenti principali di una radio sono:
- Power on/off volume (controlla l'uscita audio e l'accensione/spegnimento)
-Squelch (si utilizza per silenziare il ricevitore in assenza di segnale)
- Presa per antenna (nelle portatili in gomma con connettore BNC)
- Phone jack (per portaili, è la presa d'auricolare esterno)
- Mike (microfono), nelle portatili è presente il microfono incorporato, oltre al Mike Jack, una presa per microfono o microaltoparlante esterno, spesso abbinata con la presa per auricolare (2 pins)
- Tasto MO (apre rapidamente lo squelch)
-Hi-Low power (in posizione HI con indicazione sul display PW si otterrà in trasmissione una potenza di 4W ed in posizione Low di 1W)
-Tasto DW/KL/M4 (Permendo questo tasto viene inserita la funzione Dual Watch (grazie alla quale è possibile operare in ricezione su due bande simultaneamente con squelch inserito (V/V, U/U e V/U)), premendolo per circa 5 secondi si inserisce la modalità lock).
-Display multifunzione (questo LCD comprende vari tipi di indicazioni: battery low, e tutte le funzioni inserite manualmente).
- tasto FC (questo pulsante abilita il comando Function che permette la memorizzazione delle 4 memorie).
-Tasto SC/MI (Questo pulsante consente la ricerca automatica di un canale occupato tra i 24 disponibili
- Selettore LCR - Last Channel Recald (questa funzione consente di richiamare l'ultimo canale nel quale è stata fatta una comunicazione)
- Tasto EMG (premendo questo tasto immediatamente viene selezionato il canale 13. Ripremendo questo tasto viene esclusa tale funzione)
-Tasto PTT (tasto di trasmissione presente su Mike (o sulla radio se portatile) da tenere premuto solo il tempo necessario per la trasmissione)
- Tasto LI/FQ (Premendo questo tasto il display LCD rimarrà illuminato per qualche secondo, mantenendolo premuto questo pulsante per alcuni secondi, si commuterà la visualizzazione da canale a frequenza e viceversa)
- Channel Up (tasto di selezione dei canali in modo crescente)
-Channel Down (tasto di selezione dei canali in modo decrescente)
-tasto di rilascio (Questo pulsante consente di rimuovere il blocco batetrie.
Ci possono essere anche altri comandi. Oggi si trovano in commercio apparecchi con GPS per localizzare la posizione. Ciò dipende dal tipo dell'apparecchiatura e l'uso per cui è destinata
USO PRATICO
Ci limiteremo ad analizzare degli RTX di semplice configurazione. Una volta accesa l'apparecchitura (manopola ON/OFF) e regolato il volume, si regolerà il silenziamento fino a scomparsa del rumore di fondo (squelch). Attenzione però perchè si rischierebbe di non ascoltare più nulla. Per poter effettuare la chiamata radio è necessario essere sintonizzati sulla stessa frequenza, o sullo stesso canale in uso.
a questo punto si potrà trasmettere la propria voce premendo il pulsante PTT (press to talk) posto su di un lato del microfono (o della radio se portatile), parlando a breve distanza da esso (circa una spanna) e rilasciando immediatamente il PTT alla fine della comunicazione. Questa operazione è necessaria in quanto le radiotrasmittenti - al contrario del telefono (duplex) - sono monodirezionali (simplex), cioè durante la ricezione non possono trasmettere e durante la trasmissione non possono ricevere (in poche parlo o si parla o si ascolta). Pertanto quando si preme il pulsante PTT si attiva la radio nel modo trasmissione e si inibisce la ricezione. Per far capire al corrispondente che si sta finendo di trasmettere e che si passerà all'ascolto della comunicazione si pronuncia la parola passo. Questa manovra, che spesso comporta degli errori nei principianti, è molto più semplice apprenderla mediante delle prove pratiche che non spiegarlo a parole
QUATTRO REGOLE BANALI MA FONDAMENTALI
1- Quando si utilizza una radio ricetrasmittente sia palmare che veicolare tenersi sempre lontani da costruzioni in muratura e/o manufatti in metallo.
2 - quando si usano i portatili, non trasmettere utilizzando il microfono esterno e l'apparecchio agganciato alla cintura. Il rendimento della radio può diminuire dell'80%.
3- Tenere presente che quando si utilizzano RTX palmari all'interno di un edificio o all'interno di un'autovettura, il rendimento può dimezzarsi.
4- Un'antenna campale deve essere installata in spazi aperti e più in alto possibile. E'm più efficace un'antenna che 100 w di potenza (tralaltro illegali in Italia).
DIFFERENZE TRA RTX PROFESSIONALI E HOBBISTICHE
Un aspetto che crea qualche problema soprattutto tra coloro che pensano di masticare qualcosa di radiocomunicazioni è la differenza tra apparati hobbistici e radio professionali.
La prima categoria ha l'identificazione dei canali/frequenza impostata dal costruttore secondo una definizione internazionale. Questa impostazione non si può assolutamente modificare. Ciò vuol dire che in tutto il mondo se utilizziamo un apparecchio PMR 446 (ma può essere di qualsiasi marca e produttore) so che, per esempio il CH 3 che appare sul display o sulla manopola, corrisponde alla frequenza di 446,021.25 mHz. Lo stesso principio vale per le apparecchiature 27 mHz e 43 mHz. Nelle apparecchiature professionali, invece, una determinata frequenza viene abbinata a un determinato numero di canale (o una tag) tramite un'impostazione effettuata dall'utilizzatore, servendosi unicamente di un PC munito di software. Il sistema risulta più flessibile e adeguabile a precise esigenze, ma può creare delle difficoltà se non viene concordato una sorta di protocollo tra gli utilizzatori.
LE ANTENNE
L'antenna di un ricetrasmittente è uno degli elementi più importanti per la buona riuscita di una trasmissione (ricezione): senza di essa anche il miglio apparecchio radio diventa inutilizzabile. La qualità di un'antenna viene indicata dal suo guadagno, misurato in decibel (dB): maggiore è questo valore, migliore sarà il rendimento della stessa. Un buon cavo coassiale è l'indispensabile per il buon funzionamento dell'impianto aereo. Deve essere il più corto possibile, "intestato" con cura utilizzando le connessioni PL e mai avvolto a spirale (Negli impianti veicolari è cosa buona e giusta non tagliarlo mai) L'antenna ideale è lunga esattamente quanto la lunghezza d'onda della frequenza per cui viene utilizzata. Spesso ciò è impossibile o comunque assai scomodo, per cui si utilizzano antenne lunghe 1/2 d'onda, 1/4 d'onda 5/8 d'onda o caricate
CALCOLO DELLA FREQUENZA D'ONDA
Il calcolo della lunghezza d'onda si calcola con un calcolo:
Velocità della luce (o velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche)/Frequenza.
Esempio pratico con frequenza a 43 mHz (43.000.000 Hz): 300.000 (km/h)/43.000= 7 metri di lunghezza d'onda.
IL ROS (Rapporto Onde Stazionarie)
Per accordare un'antenna, semplicemente la si accorcia o la si allunga; per sapere cosa fare e di quando procedere, si utilizza uno strumento chiamato rosmetro, che si collega in serie tra trasmettitore e antenna. L'indicazione fornita si chiama Rapporto Onde Stazionarie (ROS).
Se il ROS è un valore alto su canali alti bisogna procedere con un accorciamento dell'antenna; se il ROS è un valore alto sui canali bassi bisogna procedere ad allungare l'antenna.
Le antenne attualmente in commercio sono già tarate e non hanno bisogna della taratura ROS iniziale.
Anche le antenne di gomma dei portatili "civili" vanno controllate con un rosmetro o con la dima di corredo. In questi apparecchi la frequenza programmata può spaziare in un arco abbastanza elevato e quindi anche l'intera antenna va tarata di conseguenza.
INSTALLAZIONE DI ANTENNE VEICOLARI
L'installazione su mezzo mobile è relativamente più semplice: è possibile praticare un foro al centro del tetto, utilizzare una base magnetica consentendo un rapido spostamento di antenna dal veicolo a al veicolo b (NB: un'antenna installata su base magnetica avrà un rendimento inferiore rispetto ad una installata in modo fisso), utilizzare il supporto per l'antenna dell'autoradio, o tramite un sistema di staffe, assicurarla al portapacchi della macchina.
L'installazione "a centro tetto", è l'installazione più diffusa, dal punto di vista radioelettrico è la migliore, in quanto conferisce all'antenna la caratteristica di omnidirezionalità molto apprezzata su un mezzo mobile, il lobo di irradiazione va sempre spostato verso l'esterno.
L'installazione a parafango (anteriore), fa diventare l'antenna semi-direttiva in quanto il lobo di irradiazione del segnale è accentuato verso la parte posteriore del veicolo, a causa della schermatura dell'abitacolo). Anche nel caso di installazione posteriore il lobo di irradiazione è accentuato verso la parte anteriore del motore, con il rischio di ricevere maggiori disturbi dal motore.
Lezione n. 9 - ANTINCENDIO P.1 (L'incendio e la prevenzione di incendi)
L'INCENDIO E LA PREVENZIONE INCENDI
Definizione: rapida ossidazione di mate-riali con notevole sviluppo di calore, fiamme, fumo e gas caldi.
Effetti dell'incendio:
Emanazione di energia sotto forma di luce e caloreü
Trasformazione dei combustibili in al-tri elementi (prodotti di combustione)ü
LA COMBUSTIONE
La combustione è una reazione chimica sufficientemente rapida di una sostanza combustibile con un comburente che da luogo allo sviluppo di calore, fiamma, gas, fumo e luce. Avviene per ossidazione degli atomi di carbonio (C) e di idrogeno (H) presenti nelle sostanze combustibili. Ad esempio, nella com-bustione dei combustibili più comuni (legno, carbone, carta, idrocarburi, ecc.), costituiti in gran parte da carbonio e idrogeno, l’ossigeno dell’aria reagisce con l’idrogeno (formando acqua (H2O) sotto forma di vapore) e con il carbonio (formando anidri-de carbonica (CO2), ossido di carbonio (CO), fumi ecc.).
Può avvenire con o senza sviluppo di fiamme superficiali. La combustione senza fiamma superficiale si verifica general-mente quando la sostanza combustibile non è più in grado di sviluppare particelle volatili. Solitamente il comburente è l’ossigeno contenuto nell’aria, ma so-no possibili incendi di sostanze che contengono nella loro molecola un quantità di ossigeno sufficiente a determinare una combustione, quali ad esempio gli esplosivi e la celluloide.
I PARAMETRI FISICI DELLA COMBUSTIONE
-Temperatura di accensione o autoaccensione (C°): La minima temperatura alla quale la miscela combustibile - comburente inizia a bruciare spontaneamente in modo continuo senza ulteriore apporto di calore o di energia dall’esterno. Ad esempio l'Acetone a 540, la carta 230, Benzina 250, legno 220-250, Gasolio 220, gomma sintetica 300, Idrogeno 560, metano 537, alcool metilico
455.
- Temperatura teorica di combustione (C°): Il più elevato valore di temperatura che è possibile raggiungere nei prodotti di combustione di una sostanza. Temperatura delle fiamme: valori indicativi a seconda del tipo di combustibile: Combustibili solidi: da 500 a 800 °C, Combustibili liquidi: da 1300 a 1600 °C, Combustibili gassosi: da 1600 a 3000 °C.
- Aria teorica di combustione (nm3/kg): Quantità di aria necessaria per raggiungere la combustione com-pleta del materiale combustibile.Ad es: legno 5, polietilene 12,2, carbone 8, propano 13, benzina 12, idrogeno 28,5, alcool etilico 7,5 ecc...
- Potere calorifico (MJ/Kg ): Quantità di calore prodotta dalla combustione completa dell’unità di massa o di volume; si definisce:
Potere calorifico superiore (P.C.S.):Si considera anche il calore di conden-sazione del vapore d’acqua prodotto (calore latente di vaporizzazione);
Potere calorifico inferiore (P.C.I.): Non si considera il calore di evapora-zione del vapore acqueo. In genere nella prevenzione incendi viene considerato il potere calorifico inferiore.
ES: legno 17.05, carbone 30, carta-cartone 20, benzina 45, alcool etilico 30, polietilene 40, propano 46, idrogeno120
- Temperatura di infiammabilità (C°): Temperatura minima alla quale i liquidi in-fiammabili o combustibili emettono vapori in quantità tali da incendiarsi in caso di innesco. I liquidi sono in equilibrio con i propri vapori che si sviluppano sulla superficie di separazione tra pelo libero del liquido e aria. La combustione avviene quando, in corrispondenza della superficie i vapori dei liquidi, miscelandosi con l’ossigeno dell’aria sono innescati. ES: gasolio 65, acetone-18, benzina -20, alcool metilico 11, alcool etilico 13, toluolo 4, olio lubrificante 149, kerosene 37.
- Limite di infiammabilità ( % del volume): Individuano il campo di infiammabilità all’interno del quale si ha, in caso d’innesco, l’accensione e la propagazione della fiamma. Esiste il limite superiore di infiammabilita (la più bassa concentrazione in volume di vapore della miscela al di sotto della quale non si ha accensione in presenza di innesco per carenza di combustibile) e il limite inferiore di infiammabilità (la più alta concentrazione in volume di vapore della miscela al di sopra della quale non si ha accensione in presenza di innesco per eccesso di combustibile.)
- Limiti di esplodibilità (% in volume): Limite inferiore di esplodibilità (la più bassa concentrazione in volume di vapore della miscela al di sot-to della quale non si ha esplosione in presenza di innesco) e limite superiore di esplodibilità (la più alta concentrazione in vo-lume di vapore della miscela al di sopra della quale non si ha esplo-sione in presenza di innesco).
TRIANGOLO DEL FUOCO
La combustione puo essere rappre-sentata schematicamente da un triangolo i cui lati sono costituiti dai 3 elementi necessari:
„Ï Combustibile
„Ï Comburente
„Ï Sorgente di calore
Solo la contemporanea presenza di questi 3 elementi da luogo al fe-nomeno dell¡¦incendio. Al mancare di almeno uno di essi l¡¦incendio si spegne.
Condizioni necessarie per la combustione:
„Ï presenza del combustibile
„Ï presenza del comburente
„Ï presenza di una sorgente di calore
Nota: Composizione dell'aria: Azoto (N2): 78,08%;Ossigeno (O2): 20,95%; Argon (Ar): 0,934%; altri gas: 0,036%
Combustibile: sostanza in grado di bruciare.I materiali combustibili possono essere allo stato solido, liquido o gassoso.
Comburente: sostanza che consente e favorisce la combustione; il piu importante e l'ossigeno dell'aria ed e quello maggiormente reperibile in natura
Calore: forma di energia che si manifesta con l'innalzamento della temperatura. Un combustibile brucia quando viene a trovarsi ad una temperatura tale che, avvicinando l'innesco, inizia la combustione.
Combustibili solidi I più comuni sono il legno e i prodotti similari (es. carta, cartone, canapa, cotone, iuta, vegetali, ecc.). Normalmente necessitano di una prolungata esposizione al calore prima di dar vita alla combustione e sono in grado di bruciare con fiamma viva o senza fiamma, nonché di carbonizzarsi. Grande importanza riveste la pezzatura in cui il materiale si trova, infatti tanto più è suddiviso fine-mente più è alta la sua combustibilità. Estremizzando, le polveri fluttuanti nell'aria come segatura, farine, fibre tessili vegetali possono provocare, qualora innescate da un arco elettrico o da un comune accendino, rapidissime combustioni con effetti addirittura esplosivi. Trovano molta diffusione negli ambienti ricettivi e nelle scuole anche le materie plastiche (nylon, pvc, polistirolo, bachelite, ecc.) usate spesso negli arredi; questi materiali bruciando provocano fumi scuri e molto densi, nocivi e in qualche caso tossici.
Combustibili liquidi Presentano il più alto potere calorifico e vengono impiegati sia nei motori a combustione interna, negli impianti di riscaldamento e in vari prodotti utilizzati per la pulizia.
I più comuni sono la benzina, il gasolio, gli alcoli, gli oli combustibili. L'indice della maggiore o minore combustibilità di un liquido è fornito dalla temperatura di infiammabilità. Per questo è utile conoscere il significato di questi valori, per scegliere i prodotti detergenti meno pericolosi dal punto di vista della temperatura di infiammabilità.
Combustibili gassosi Sono generalmente conservati all'interno di recipienti atti ad impedirne la dispersione incontrollata nell'ambiente. Lo stoccaggio può essere eseguito con diverse modalità dando luogo a gas compressi (conservati sotto pressione allo stato gassoso alla temperatura ambiente) e gas liquefatti (conservati alla temperatura ambiente in parte allo stato liquido ed in parte allo stato di vapore sotto una pressione relativamente bassa).
SOSTANZE COMBURENTI
Un gas comburente partecipa alla combustione, la attiva e la mantiene anche in assenza di aria.Il più noto e diffuso comburente è l'ossigeno (O2). Altri comburenti a base d'ossigeno sono il protossido di azoto (N2O), il biossido di azoto (NO2), l'ossido di azoto (NO). Nella categoria dei comburenti rientrano anche gli alogeni (fluoro e cloro) e quindi le sostanze capaci di liberarli. I gas comburenti sono ordinariamente conservati compressi liquefatti. L'ossigeno è una sostanza molto pericolosa in quanto nelle atmosfere sovraossigenate esiste un altissimo rischio di incendio. Il rischio diventa elevato a concentrazioni di O2 superiori al 30%. Nelle atmosfere sovraossigenate, in caso di presenza di gas infiammabile:
Il campo di infiammabilità si allarga poiché cresce il L.S. il L.S del metano passa dal 15% al 61%ü
Aumenta la velocità di propagazione dell’incendio nel metano si passa da 0,4 m/s a circa 40 m/sü
Diminuisce l’energia minima di innesconel metano si passa da 0,3 mj a 0,003 mj (circa 100 volte inferiore)ü
Aumenta la temperatura teorica di combustione nel metano da 2000 °C fino a 3000 °Cü
Si abbassa la temperatura di autoaccensioneü
Quasi tutte le sostanze sono combustibili in ossigeno puro, pertanto un aumento di concentrazione di ossigeno può cambiare la classificazione di una sostanza da non infiammabile ad infiammabile. In atmosfere ricche di ossigeno il corpo umano brucia vigorosamente.
Un incendio si caratterizza per tipo di combustibile e per il tipo di sorgente d’innesco (nella quasi totalità dei casi il com-burente è l’ossigeno naturalmente contenuto nell’aria).
Comburente: Ossigeno dell'aria
Tipi di Combustibile: Solidi, liquidi, gas, metalli
Tipi di Sorgente d’innesco: Accensione diretta, accensione indiretta, attrito, autocombustione o riscaldamento spontaneo
CLASSIFICAZIONE DEGLI INCENDI
Norma europea UNI EN 2:2005 "Classificazione dei fuochi". Gli incendi vengono distinti in 5 classi, se-condo le caratteristiche dei materiali combustibili, in accordo con la norma UNI EN 2:2005.
Classe A: Fuochi da materiali solidi general-mente di natura organica, la cui combustione avviene normalmente con formazione di braci.
Classe B: Fuochi da liquidi o da solidi li-quefattibili
classe C: Fuochi da gas
classe D: Fuochi da metalli
classe F: Fuochi che interessano mezzi di cottura (oli e grassi vegetali o animali) in apparecchi di cottura.
Le originarie 4 classi sono diventate 5 con l'aggiornamento della norma UNI EN 2:2005 che ha introdotto la classe F.
La norma UNI EN 2:2005 suddivide 5 classi di fuoco in relazio-ne al tipo di combustibile.Non definisce una classe per i fuochi con un rischio dovuto all'elettricità. Questa classificazione è utile in modo particolare nel settore della lotta contro l'incendio mediante estintori. La classificazione degli incendi è tutt’altro che accademica, in quanto essa consente l’identificazione della classe di rischio d’incendio a cui corrisponde:
una precisa azione operativa antincendioü
un’opportuna scelta del tipo di estinguente.ü
Non tutte le sostanze estinguenti possono essere impiega-te indistintamente su tutti i tipi di incendio
INCENDI DI CLASSE A
Fuochi da materiali solidi quali: legname carboni, carta, tessuti, trucioli, pelli, gomma e derivati la cui combustione genera braci.
La combustione può presentarsi in 2 forme:
combustione viva con fiammeü
combustione lenta senza fiamme, ma con formazione di brace incandescente.ü
L'acqua, la schiuma e la polvere sono le so-stanze estinguenti più comunemente utiliz-zate. In genere l'agente estinguente migliore è l'acqua, che agisce per raffreddamento.
INCENDI DI CLASSE B
Idrocarburi, benzine, alcoli, solventi, oli minerali, grassi, eteri.Gli estinguenti più comunemente utilizzati so-no costituiti da schiuma, polvere e CO2. L'agente estinguente migliore è la schiuma che agisce per soffocamento. È controindicato l'uso di acqua a getto pieno (può essere utilizzata acqua con getto frazio-nato o nebulizzato).
INCENDI DI CLASSE C
Metano, G.P.L., idrogeno, acetilene, butano, propano ecc....
L'intervento principale contro tali incendi è quello di bloccare il flusso di gas chiudendo la valvola di intercettazione o otturando la falla. Esiste il rischio di esplosione se un incendio di gas viene estinto prima di intercettare il gas. L'acqua è consigliata solo a getto frazionato o nebulizzato per raffreddare i tubi o le bombole coinvolte. Sono utilizzabili le polveri polivalenti. Il riferimento all’idoneità di un estintore all’uso contro fuochi da gas (classe C) è a di-screzione del costruttore, ma si applica solo agli estintori a polvere che hanno ot-tenuto una valutazione di classe B o classe A e classe B (norma UNI EN 3-7:2008).
INCENDI DI CLASSE D
Fuochi da metalli alluminio, magnesio, sodio, potassio ecc....
Nessuno degli estinguenti normalmente utilizzati per gli incendi di classe A e B è idoneo per incendi di metalli che bruciano (alluminio, magnesio, potassio, sodio).
In tali incendi occorre utilizzare delle polveri speciali ed operare con personale particolarmente addestrato. Sono particolarmente difficili da estinguere da-ta la loro altissima temperatura. Nei fuochi coinvolgenti alluminio e magnesio si utilizza la polvere al cloruro di sodio. Gli altri agenti estinguenti (compresa l'acqua) sono da evitare in quanto possono causare reazioni con rilascio di gas tossici o esplosioni. L’idoneità degli estintori all’uso ai fuochi di classe D (fuochi da metalli infiammabili) non rientra nel campo di applicazione della norma UNI EN 3-7 in relazione ai focolari di prova. Tuttavia, gli estintori per i quali è dichiarata l’idoneità alla classe D sono coperti, sotto ogni altro aspetto, dai requisiti della norma per gli estin-tori a polvere. L’estinzione di un fuoco da metallo presenta tali peculiarità (in ter-mini di caratteristiche e forma del metallo, configurazione dell’incendio ecc.) da non permettere la definizione di un fuoco rappresentati-vo ai fini delle prove.
L’efficacia degli estintori contro gli incendi di classe D deve essere stabi-lita caso per caso.
INCENDI EX CLASSE E
La norma UNI EN 2:2005 non comprende i fuochi di "Impianti ed attrezzature elettriche sot-to tensione" (vecchia classe E) in quanto, gli in-cendi di impianti ed attrezzature elettriche sono ri-conducibili alle classi A o B.
Gli estinguenti specifici per questi incendi sono le polveri dielettriche e la CO2, mentre non devono essere usati acqua e schiuma.
Per stabilire se l'estintore può essere utilizzato su apparecchiature sotto tensione deve essere effettuata la prova dielettrica prevista dalla norma UNI EN 3-7:2008. Tale prova non è richiesta per gli estintori a CO2 in quanto l'anidri-de carbonica non è conduttrice di elettricità, ne è richiesta per quegli estintori per i quali non viene chiesto l'impiego per parti elettriche sotto tensione.
Tutti gli estintori idonei per l'uso su fuochi di classe F devono essere conformi ai requisiti della prova dielettrica.
Gli estintori portatili che non sono sottoposti a prova dielettrica, o non soddisfano tali requisiti, devono riportare la seguente avvertenza: "AVVERTENZA non utilizzare su apparecchiature elettriche sotto tensione" Gli estintori portatili che utilizzano altri agenti e gli estintori a base d'acqua conformi alla norma UNI EN 3-7:2008, devono riportare l'indi-cazione della loro idoneità all'uso su apparecchiature elettriche sotto tensione, per esempio: "adatto all'uso su apparecchiature elettri-che sotto tensione fino a 1000 v ad una distanza di un metro".
INCENDI CLASSE F
FuochRecentemente introdotta dalla normaUNI EN 2:2005.
È riferita ai fuochi di oli combustibili di natura vegetale e/o animale quali quelli usati nelle cuci-ne, in apparecchi di cottura. La formula chimica degli oli minerali (idrocarburi - fuochi di classe B) si distingue da quella degli oli vegetali e/o animali. Gli estinguenti per classe F spengono per azione chimica, effettuando una catalisi negativa per la reazione chimica di combustione. L'utilizzo di estintori a polvere e di estintori a CO2 contro fuochi di classe F è considerato pericoloso. Pertanto non devono essere sottoposti a prova secondo la norma europea UNI EN 3-7:2008 e non devono essere marcati con il pittogramma di classe "F". Tutti gli estintori idonei per l'uso su fuochi di classe F devono essere conformi ai requisiti della prova dielettrica del punto 9 della norma UNI EN 3-7:2008.i che interessano mezzi di cotturaOlio da cucina e grassi vegetali o animali.
LE SORGENTI D'INNESCO
Possono essere suddivise in 4 categorie:
Accensione diretta (Quando una fiamma, una scintilla o altro materialeü incandescente entra in contatto con un materiale combusti-bile in presenza di ossigeno. Esempi: operazioni di taglio e salda-tura, fiammiferi e mozziconi di siga-retta, lampade e resistenze elettriche, stufe elettriche, scariche elettrostatiche.)
Accensione indiretta (Il calore d’innesco avviene nelle forme dellaü convezione, conduzione e ir-raggiamento termico. Esempi: correnti di aria calda generate da un incendio e diffuse attraverso un vano scala o altri collegamenti vertica-li; propagazione di calore attraverso elementi metallici strutturali degli edifici.)
Attrito (Il calore è prodotto dallo sfre-gamento di due materiali.ü Esempi: malfunzionamento di parti meccaniche rotanti quali cuscinetti, motori; urti; rottura violenta di materiali metallici.)
Autocombustione o riscaldamento spontaneo (Il calore viene prodottoü dallo stesso combustibile come ad esempio lenti processi di ossidazio-ne, reazione chimiche, decomposi-zioni esotermiche in assenza d’aria, azione biologica.Esempi: cumuli di carbone, stracci o segatura imbevuti di olio di lino, polveri di ferro o nichel, fermenta-zione di vegetali.)
PRODOTTI DELLA COMBUSTIONE
GAS DI COMBUSTIONE
I più comuni sono: ossido di carbonio, anidride carbonica, idrogeno solforato, anidride solforosa, acido cianidrico, aldeide acrilica, fosgene, ammoniaca, ossido e perossido di azoto, acido cloridrico ecc...). Rimangono allo stato gassoso alla temperatura ambiente di riferimento di 15 °C. La produzione di tali gas in un incendio dipende:
- dal tipo di combustibile;
- dalla percentuale di ossigeno;
- dalla temperatura raggiunta.
Nella maggioranza dei casi, la mortalità per incendio è da attribuire all’inalazione di questi gas che produ-cono danni biologici per anossia o per tossicità. Gas tossici (T) o molto tossici (T+): in caso di inalazione in piccole o piccolissime quantità, possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche
FIAMME
Sono costituite dall’emissione di luce dovuta alla com-bustione di gas. Nell’incendio di combustibili gassosi è possibile valutare approssimativamente il valore raggiunto dalla tempera-tura di combustione dal colore della fiamma.
FUMI
L'elemento più caratteristico dell'incendio, ne identifica la presenza anche da grandi distanze. Sono formati da piccolissime particelle solide (aerosol), liquide (nebbie o va-pori condensati). Le particelle solide sono sostanze incombuste e ceneri che si formano quando la combustione avviene in carenza di ossigeno e vengono trascinate dai gas caldi. Rendono il fumo di colore scuro. Impediscono la visibilità ostacolando l’attività dei soccorritori e l’esodo delle persone. Le particelle liquide (nebbie o vapori condensati) sono costituite da vapor d’acqua che al di sotto dei 100 °C condensa dando luogo a fumo di color bianco. Particelle solide (fumo di colore scuro) Particelle liquide (fumo di colore chiaro)
Nota: Quantità del fumo prodotto da un combustibile: legno 17 m³/kg; benzina 38 m³/kg; alcool etilico 25 m³/kg.
CALORE
E la causa principale della propagazione de-gli incendi. Provoca l¡¦aumento della temperatura di tutti i ma-teriali e i corpi esposti, provocandone il danneggiamento fino alla distruzione. Il calore e dannoso per l'uomo potendo causare:
„Ï disidratazione dei tessuti,
„Ï difficolta o blocco della respirazione,
„Ï scottature.
LA COMBUSTIONE DELLE SOSTANZE SOLIDE
L¡¦accensione di un combustibile solido rappresenta la fase di superamento di un processo di degrada-zione del materiale superficiale, della sua evaporazione (pirolisi) e combinazione con l¡¦ossigeno circo-stante e quindi, in presenza di innesco, dell¡¦instaurarsi di una reazione esotermica capace di autoso-stenersi.
Parametri che caratterizzano la combustione delle sostanze solide:
„Ï Pezzatura e forma (pezzature di piccola taglia e forme irregolari favoriscono la combustione);
„Ï Porosita (la maggiore porosita favorisce la combustione);
„Ï Elementi che compongono la sostanza (la presenza di elementi combustibili favorisce la combustione);
„Ï Umidita (la maggiore umidita non favorisce la combustione);
„Ï Ventilazione (la maggiore ventilazione favorisce la combustione).
Inoltre il processo di combustione delle sostanze solide porta alla formazione di braci che sono costituite dai prodotti della combustione dei residui carboniosi della combustione stessa.
LA COMBUSTIONE DEI LIQUIDI INFIAMMABILI
Per bruciare in presenza di innesco un liquido infiammabile deve passa-re dallo stato liquido allo stato vapore. L’indice della maggiore o minore combustibilità è fornito dalla temperatura di infiammabilità:
Categoria A: punto di infiammabilità < 21°C
Categoria B: punto d’infiammabilità compreso tra 21°C e 65°C
Categoria C: punto d’infiammabilità > 65°C compreso tra 65°C e 125°C (oli combustibili) superiore a 125°C (oli lubrificanti)
LA COMBUSTIONE DEI GAS INFIAMMABILI
Nelle applicazioni civili ed industriali i gas, compresi quelli infiammabili, sono contenuti in recipienti (serbatoi, bom-bole, ecc.) atti ad impedirne la dispersio-ne incontrollata nell¡¦ambiente. I gas possono essere classificati in fun-zione delle loro:
„Ï Caratteristiche fisiche (densita)
„Ï Modalita di conservazione
DENSITA'
Rapporto tra il peso della sostanza allo stato di gas o vapore e quello di un ugual volume di aria a pressione e temperatura ambiente. Fornisce informazioni sulla propagazione dei gas o vapori dopo l'emissione accidentale. In questo caso intendiamo la densità relativa, cioè il rapporto tra la densità della sostanza in esame e quella di una sostanza presa come rife-rimento, per una data temperatura e pressione, che nel caso dei gas o vapori è rappresentata dall'aria. ES: Acetilene 0,90, Ammoniaca 0,59, Cloro 1,47, Gasolio 3,4, Idrogeno 0,07, Metano 0,55, Idrogeno solforato 1,19, GPL 1,9, Ossido di carbonio 0,97.
In base alla densità si possono suddividere i gas infiammabili in due categorie:
Gas leggeri: Gas avente densità rispetto all’aria inferiore a 0,8 (metano, idrogeno, ecc.) Un gas leggero quando liberato dal proprio contenitore tende a stratificare verso l’alto.
Gas pesanti: Gas avente densità rispetto all’aria superiore a 0,8 (G.P.L., acetilene, etc.) Un gas pesante quando liberato dal proprio contenitore tende a stratificare ed a permanere nella parte bassa dell’ambiente o a penetrare in cunicoli o aperture presenti a livello del piano di calpestio.
CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLE MODALITA' DI CONSERVAZIONE
Gas compresso (BAR): Gas che vengono conservati allo stato gassoso ad una pressione supe-riore a quella atmosferica in appositi recipienti (bombole) o trasportati attraverso tubazioni. La pressione di compressione può variare da poche centinaia millimetri di colonna d’acqua (rete di distribuzione gas metano per utenze civili) a qualche centinaio di atmosfere (bombole di gas metano e di aria compressa). ES valori di stoccaggio: metano 300, idrogeno 250, gas nobili 250, ossigeno 250, aria 250, CO2 20.
Gas liquefatto: Gas che per le sue caratteristiche chimico-fisiche può essere liquefatto a temperatura ambiente me-diante compressione (GPL, butano, propano, ammonia-ca, cloro). Il vantaggio consiste nella possibilità di detenere grossi quantitativi di prodotto in spazi contenuti: Un litro di gas liquefatto può sviluppare nel pas-saggio di fase fino a 800 litri di gas.
I contenitori debbono garantire una parte del volu-me geometrico sempre libera dal liquido per consentire allo stesso l’equilibrio con la propria fase vapore; pertanto è prescritto un limite massimo di riempimento dei contenitori detto grado di riempimento.
Gas refrigerato: Gas che possono essere conservati in fase liquida mediante refrigerazione alla temperatura di equilibrio liquido vapore con livelli di pressio-ne estremamente modesti, assimilabili alla pressione atmosferica. Es. Ossigeno liquido: temperatura di liquefazione -182.97 °C (T=90.18 K) Azoto liquido: temperatura di liquefazione -195.82 °C (T=77.35 K)
La temperatura più bassa che teoricamente si può ottenere rappresenta lo "zero assoluto" , 0 °K e corrisponde a –273,15 °C (–459,67 °F).
Gas disciolto: Gas che sono conservati in fase gassosa disciolti entro un liquido ad una determinata pressione (ad es.: acetilene disciolto in acetone, anidride carbonica disciolta in acqua gassata - acqua minerale).
DINAMICA DELL'INCENDIO
Nell’evoluzione dell’incendio si possono individuare 4 fasi:
Fase di ignizioneü
Fase di propagazioneü
Incendio generalizzato (FLASH OVER)ü
Estinzione e raffreddamento (e bonifica se boschivo)ü
La probabilità di intervenire con successo su un principio di incendio è molto al-ta nella fase di ignizione, nella quale le temperature sono ancora basse. Per questo è importante che gli addetti antincendio siano ben addestrati all'intervento tempestivo, attraverso un buon piano di emergenza e che i mezzi di estinzione siano a portata di mano e segnalati.
FASE DI IGNIZIONE
- Infiammabilità del combustibile;
- Possibilità di propagazione della fiamma;
- Grado di partecipazione al fuoco del combustibile;
- Geometria e volume degli ambienti;
- Possibilità di dissipazione del calore nel combustibile;
- Ventilazione dell’ambiente;
- Caratteristiche superficiali del combustibile;
- Distribuzione nel volume del combustibile, punti di contatto.
FASE DI PROPAGAZIONE
- Produzione dei gas tossici e corrosivi;
- Riduzione di visibilità a causa dei fumi di combustione;
- Aumento della partecipazione alla combustione dei combustibili solidi e liquidi;
- Aumento rapido delle temperature;
- Aumento dell’energia di irraggiamento.
FASE DI INCENDIO GENERALIZZATO (FLASH-OVER)
- Brusco incremento della temperatura;
- Crescita esponenziale della velocità di combustione;
- Forte aumento di emissioni di gas e di particelle incan-descenti, che si espandono e vengono trasportate in senso orizzontale e soprattutto in senso ascensionale; si formano zone di turbolenze visibili;
- I combustibili vicini al focolaio si autoaccendono, quelli più lontani si riscaldano e raggiungono la loro temperatura di combustione con pro-duzione di gas di distillazione infiammabili.
FASE DI ESTINZIONE E RAFFREDDAMENTO
- L’incendio ha terminato di interessare tutto il materiale combustibile.
- Inizia la fase di decremento delle temperature all’interno del locale a cau-sa del progressivo diminu-zione dell’apporto termico residuo e della dissipazione di calore attraverso i fumi e di fenomeni di conduzione termica.
SISTEMI PER OTTENERE LO SPEGNIMENTO DI UN INCENDIO
Esaurimento del combustibile: allontanamento o separazione della sostanza combustibile dal focolaio d’incendio;
Soffocamento: separazione del comburente dal combustibile o riduzione della con-centrazione di comburente in aria;
Raffreddamento: sottrazione di calore fino ad ottenere una temperatura inferiore a quella necessaria al mantenimento della combustione.
Azione Chimica: Oltre i 3 sistemi visti in precedenza, esiste anche l'azione chimica di estinzione dell'incendio (azione anti-catalitica o catalisi negativa). Sono sostanze che inibiscono il processo della combustione (es. halon, polveri). Gli estinguenti chimici si combinano con i prodotti volatili che si sprigionano dal combustibile, rendendo questi ultimi inadatti alla combustione, bloccando la reazione chimica della combustione. Normalmente per lo spegnimento di un incendio si utilizza una combi-nazione delle operazioni di esaurimento del combustibile, di soffocamento, di raffreddamento e di azione chimica.
SOSTANZE ESTINGUENTI IN RELAZIONE AL TIPO DI INCENDIO
L’estinzione dell’incendio si ottiene per raffreddamento, sottrazione del combustibile, soffocamento e azione chimica. Tali azioni possono essere ottenute singolarmente o contemporaneamente mediante l’uso delle so-stanze estinguenti, scelte in funzione della natura del combustibile e delle dimensioni del fuoco. È fondamentale conoscere le proprietà e le modalità d’uso delle principali sostanze estinguen-ti, in modo da valutarne anche l’efficacia in rela-zione alla specifica classe di fuoco. Importante è la conoscenza della possibilità o me-no di utilizzo dell'estinguente su attrezzature elettriche sotto tensione. Le sostanze usate, il tipo di intervento e le modalità di impiego DIPENDONO dai prodotti che hanno preso fuoco e dall'entità dell'incendio.
Le maggiori sostanze estinguenti usate sono:Acqua
„Ï Schiuma
„Ï Polveri
„Ï Gas inerti
„Ï Idrocarburi alogenati (HALON), ora illegali causa buco dell'ozono e sostituita da:
„Ï Agenti estinguenti alternativi all'halon
Alcune delle sostanze utilizzate oggi sono state sempre usate in passato, mentre altre so-no di più recente scoperta e rappresentano il risultato delle continue ricerche effettuate per disporre di mezzi e sistemi sempre più efficaci nella lotta contro gli incendi. Tali ricerche sono tanto più necessarie quanto più le moderne tecniche e lavorazioni por-tano a concentrare in zone ristrette sempre maggiori quantità di prodotti pericolosi o fa-cilmente combustibili.
AZIONI USATE PER ESTINZIONE IN BASE ALL'EFFETTIVO CONTRIBUTO USUALMENTE RISCONTRATO DALL'ESTINGUENTE
Polvere: 1° azione: chimica/2° az: soffocamento/3° az: raffreddamento. Classe ABC
CO2: 1° az: Raffreddamento/2° az soffocamento. Classe BC
Schiuma: 1° az soffocamento/2° az raffreddamento. Classe AB
Halon: ILLEGALE
Acqua: 1° az raffreddamento/ 2° az soffocamento. Classe AB
NB: Per quanto riguarda il loro utilizzo su apparecchiature sotto tensione si fa riferimento alla presenza o meno del simbolo di divieto su apparecchiature sotto tensione.
ESTINGUENTI IN ORDINE DI EFFICACIA PER CIASCUNA CLASSE DI INCENDIO
Da usare con il metodo "a cascata" (in assenza del primo usare il secondo, i assenza del secondo il terzo ecc...)
Classe A:1° acqua/2°polvere/3° sostituti all'HALON, 4° CO2
Classe B: 1° schiuma/2° polvere/3° sostituti all'HALON/ 4° CO2
Classe C: (il primo metodo di estinguente è eliminare la fonte chiudendone l'erogazione) 1° Polvere/ 2° sostituti all'HALON/ 3° CO2/ 4° Acqua nebulizzata.
ACQUA
E la sostanza estinguente principale per la facilita con cui puo essere reperita a bas-so costo.
Azione estinguente:
„« Raffreddamento (abbassamento della temperatura) del combustibile;
„« Soffocamento per sostituzione dell¡¦ossigeno con il vapore acqueo;
„« Diluizione di sostanze infiammabili solubili in acqua fino a renderle non piu tali;
„« Imbevimento dei combustibili solidi.
L’acqua è consigliata per incendi di combustibili solidi (classe A), con esclusione delle sostanze incompatibili quali sodio e potassio che a contatto con l’acqua liberano idrogeno, e carburi che invece liberano acetilene. In alcuni paesi europei questi estintori sono sottoposti alla prova dielettrica, con esito positivo, ottenendo pertanto l'approvazione di tipo. Per stabilire se un estintore a base d'acqua può essere utilizzato su apparecchiature sotto tensione, deve essere effettuata la prova dielettrica prevista dalla norma UNI EN 3-7:2008
In Italia non viene consentito l'uso su apparecchiature elettriche, in questo caso è obbligatorio riportare l'avver-tenza nella parte terza dell’etichetta “AVVERTENZA non utilizzare su apparecchiature elettriche sotto tensione”.
SCHIUMA
Costituita da una soluzione in acqua di un liquido schiumogeno, che per effetto della pressione di un gas fuo-riesce dall’estintore e passa all’interno di una lancia dove si me-scola con aria e forma la schiuma. L’azione estinguente avviene per Soffocamento (separazione del combustibile dal comburente) e per raffreddamento in minima parte.
Sono impiegate normalmente per incendi di liquidi infiammabili (clas-se B). Non è utilizzabile sulle apparecchiature elettriche e sui fuochi di classe D. È obbligatorio riportare l'avvertenza nella parte terza dell’etichetta “AVVERTENZA non utilizzare su apparec-chiature elettriche sotto tensione”
In base al rapporto tra il volume della schiu-ma prodotta e la soluzione acqua-schiumogeno d¡¦origine, le schiume si distinguo-no in:
„Ï Alta espansione 1:500 - 1:1000
„Ï Media espansione 1:30 - 1:200
„Ï Bassa espansione 1:6 - 1:12
Tipi di liquidi schiumogeni (da impiegare in relazione al tipo di combustibile):
Liquidi schiumogeni fluoro-proteinici: Formati da una base proteinica addizionata con composti fluorurati.
Adatti alla formazione di schiume a bassa espansione, hanno un effetto rapido e molto ef-ficace su incendi di prodotti petroliferi.
Liquidi schiumogeni sintetici Formati da miscele di tensioattivi. Adatti alla formazione di tutti i tipi di schiume e garantiscono una lunga conservabilità nel tempo, sono molto efficaci per azione di soffocamento su grandi superfici e volumi.
Liquidi schiumogeni fluoro-sintetici (AFFF - Acqueous Film Forming Foam): Formati da composti fluorurati. Adatti alla formazione di schiume a bassa e media espansione che hanno la caratteristica di scorrere rapidamente sulla superficie del liquido incendiato. L’impiego degli schiumoge-ni AFFF realizza una più efficace azione estinguente in quanto consente lo spegnimento in tempi più rapidi con una minore portata di soluzione schiumogena per metro quadrato di superficie incendiata.
Liquidi schiumogeni per alcoli Formati da una base proteinica additivata con metalli organici. Sono adatti alla formazio-ne di schiume a bassa espansione e sono molto efficaci su incendi di alcoli, esteri, chetoni, eteri, aldeidi, acidi, fenoli, ecc.
POLVERI
Sono costituite da particelle solide finissime a base di bicarbonato di sodio, potassio, fosfati e sali organici. L’azione estinguente delle polveri è prodotta dalla loro decomposizione per effetto delle alte temperature, che dà luogo ad effetti chimici sulla fiamma con azione anticatalitica ed alla produzione di CO2 e vapore d’acqua. I prodotti della decomposizione delle polveri separano il com-bustibile dal comburente, raffreddano il combustibile e inibiscono il processo della combustione. L'azione esercitata nello spegnimento è di tipo chi-mico (inibizione del materiale incombusto tramite catalisi negativa), di raffreddamento e di soffocamento. Possono essere utilizzate su apparecchiature elettriche in tensione. Possono danneggiare apparecchiature e macchinari (essendo costituite da particelle solide finissime)
L¡¦estintore a polvere puo essere utilizzato su:
„Ï fuochi di classe A, B, C
„Ï fuochi di classe D (solo con polveri speciali).
„Ï quadri e apparecchiature elettriche fino a 1000 V;
Gli estintori a polvere devono riportare l'indicazione della loro idoneita all'uso su apparecchiature elettriche sotto tensione, per esempio: "adatto all'uso su apparecchiature elettriche sotto tensione fino a 1000 v ad una distanza di un metro"
L'utilizzo di estintori a polvere contro fuochi di classe F è considerato pericoloso. Per-tanto non devono essere sottoposti a prova secondo la norma europea UNI EN 3-7:2008 e non devono essere marcati con il pittogramma di classe "F". Una volta spento l’incendio è opportuno arieggiare il locale, in quanto, oltre ai prodotti della combustione (CO, CO2, vari acidi e gas, presenza di polveri incombuste nell’aria) la stessa polvere estinguente, molto fine, può essere inspirata insieme ad altre sostanze pericolose all’operatore.
GAS INERTI
E utilizzata principalmente l'Anidride carbonica (CO2) e in minor misura l'azoto. Utilizzati principalmente in ambienti chiusi. La loro presenza nell¡¦aria riduce la concentrazione del comburente fino ad impedire la combustione.
L¡¦anidride carbonica:
„Ï non e tossica;
„Ï e piu pesante dell¡¦aria;
„Ï e dielettrica (non conduce elettricita);
„Ï e normalmente conservato come gas liquefatto;
„Ï produce, differentemente dall¡¦azoto, anche un¡¦azione estinguente per raffreddamento dovuta all¡¦assorbimento di calore generato dal passaggio dalla fase liquida alla fase gassosa.
I gas inerti possono essere utilizzati su apparecchiature elettriche in tensione.
HALON - E SUOI SOSTITUTI
Detti anche HALON (HALoge-nated - hydrocarbON), sono formati da idrocarburi saturi in cui gli atomi di idrogeno sono stati parzialmente o totalmente sostituiti con atomi di cromo, bromo o fluoro. L’azione estinguente avviene con l’interruzione chimica della rea-zione di combustione (catalisi negativa). Sono efficaci su incendi in ambienti chiusi scarsamente ventilati e l’azione estinguente non danneggia i materiali. Tuttavia, alcuni HALON per effetto delle alte temperature dell’incendio si decompongono producendo gas tossici.
Il loro utilizzo è stato abolito da disposizioni legislative emanate per la protezione della fascia di ozono stratosferico (D.M. Ambiente 3/10/2001 - Recupero, riciclo, rigenerazione e distribuzione degli Halon).
AGENTI ESTINGUENTI SOSTITUTI DEGLI HALON
Gli agenti sostitutivi degli halon impie-gati attualmente sono "ecocompatibi-li" (clean agent), e generalmente combinano al vantaggio della salva-guardia ambientale lo svantaggio di una minore capacità estinguente rispetto agli halon. Esistono sul mercato prodotti inertiz-zanti e prodotti che agiscono per azione
EFFETTI SULL'UOMO
Gli effetti sull'uomo sono:
„Ï Anossia (a causa della riduzione del tasso di ossigeno nell¡¦aria)
„Ï Azione tossica dei fumi
„Ï Riduzione della visibilita
„Ï Azione termica
Causati dai prodotti della combustione
DANNI CAUSATI DAI GAS DI COMBUSTIONE
OSSIDO DI CARBONIO (CO)
L’ossido (o monossido) di carbonio si sviluppa in incendi covanti in ambienti chiusi ed in carenza di ossigeno. È il più pericoloso tra i tossici del sangue sia per l'elevato livello di tossicità, sia per i notevoli quantitativi generalmente sviluppati.
Caratteristiche: incolore, inodore, non irritante
Meccanismo d’azione: Il CO viene assorbito per via polmonare; attraverso la parete alveolare passa nel sangue per combinazione con l’emoglobina dei glo-buli rossi formando la carbossi-emoglobina, bloccando i legami che la stessa ha con l’ossigeno che in condizioni normali forma l’ossiemoglobina. Il CO determina un legame preferenziale con l’emoglobina, in quanto l’affinità di legame tra il CO e l’emoglobina è di circa 220 volte superiore a quella tra l’emoglobina e l’ossigeno.
Sintomatologia: cefalea, nausea, vomito, palpita-zioni, astenia, tremori muscolari.
Se si sommano gli effetti del CO sull’organismo umano con quelli conseguenti ad una situazione di stress, panico e con-dizioni termiche avverse, i massimi tempi di esposizione sopportabili dall’uomo in un incendio reale sono (s/parti per milione):
500/240, 1000/120, 2500/48, 5000/24, 10000/12
ANIDRIDE CARBONICA
L’anidride carbonica non è un gas tossico. È un gas asfissiante in quanto, pur non essendo tossi-co per l'uomo, si sostituisce all’ossigeno dell’aria. Quando determina una diminuzione dell'ossigeno a valori inferiori al 17 % in volume, produce asfissia.
Inoltre è un gas che accelera e stimola il ritmo respiratorio; con una percentuale del 2% di CO2 in aria la velocità e la profondità del respiro aumentano del 50% rispetto alle normali condizioni.Con una percentuale del 3% l’aumento è del 100%, cioè raddoppia.
Nota: La deficienza di ossigeno e/o l'eccesso di CO2 possono condurre alla perdita di co-noscenza e alla morte per asfissia. Quando la concentrazione dell'ossigeno scende in-torno al 15% l'attività muscolare diminuisce, si ha difficoltà nei movimenti. Quando la concentrazione dell'ossigeno è tra il 10 e il 15% l'uomo è ancora cosciente, anche se, e non necessariamente se ne rende conto, commette valutazioni errate. A concentrazioni di ossigeno tra il 6 e il 10% si ha collasso. Sotto il 6% cessa la respirazione e la morte per asfissia ha luogo nel giro di circa 6 minuti.
ACIDO CIANIDRICO (HCN)
L’acido cianidrico si sviluppa in modesta quantità in incendi ordinari attraverso combustioni incomplete (carenza di ossi-geno) di lana, seta, resine acriliche, uretaniche e poliammidiche.Possiede un odore caratteristico di mandorle amare.
Meccanismo d’azione: È un aggressivo chimico che interrompe la ca-tena respiratoria a livello cellulare generando grave sofferenza funzio-nale nei tessuti ad alto fabbisogno di ossigeno, quali il cuore e il sistema nervoso centrale.
Vie di penetrazione: inalatoria, cutanea, digerente.
I cianuri dell’acido cianidrico a contatto con l’acidità gastrica presente nello stomaco vengono idrolizzati bloccando la respirazione cellulare con la conseguente morte della cellula per anossia.
Sintomatologia: iperpnea (fame d’aria), aumento degli atti respiratori, colore della cute rosso, cefalea, ipersalivazione, bradicardia, ipertensione.
FOSGENE (COCI2)
Il fosgene è un gas tossico che si sviluppa durante le com-bustioni di materiali che contengono il cloro, come per esempio alcune materie plastiche.Esso diventa particolarmente pericoloso in ambienti chiusi.
Meccanismo d’azione: Il fosgene a contatto con l’acqua o con l’umidità si scinde in anidride carbonica e acido cloridrico che è estremamente pericoloso in quanto intensamente caustico e capace di raggiungere le vie respiratorie.
Sintomatologia: irritazione (occhi, naso, e gola), lacrimazione, secchezza della bocca, costrizione toracica, vomito, mal di testa.
EFFETTI DEL CALORE
Il calore è dannoso per l’uomo per la disidratazione dei tes-suti, difficoltà o blocco della respirazione e scottature. Una temperatura dell’aria di circa 150 °C è la massima sopportabile sulla pelle per brevissimo tempo, a condizio-ne che l’aria sia sufficientemente secca. Tale valore si abbassa se l’aria è umida, come negli incendi. Una temperatura di circa 60 °C è da ritenere la massima respirabile per breve tempo. L’irraggiamento genera ustioni sull’organismo umano che possono essere classificate a seconda della lo-ro profondità in ustioni di I (superficiali, facilmente guaribili), II (formazione di bolle e vesciche, necessaria consultazione struttura sanitaria) e III grado (profonde, urgente ospedalizzazione).
Oltre alle lesioni alla superficie cutanea, l'ustione puo comportare altre gravi patologie che interessano organi vitali:
„Ï Intossicazioni, dovute all'inalazione di ossido di carbonio, vapori o gas bollenti che possono provocare una compromissione delle vie aeree fino al tessuto polmonare;
„Ï Infezioni, provocate dall'assenza di protezione esercitata dalla pelle contro l'ingresso di microrganismi;
„Ï Insufficienza renale, per l'eccessivo sforzo a cui e sottoposto il rene per riassorbire i detriti metabolici provenienti dai tessuti di-strutti.
ESPLOSIONI
Rapida espansione di gas, dovuta ad una reazione chimica di combustione, avente come effetto la produzione di ca-lore, un'onda d'urto ed un picco di pressione.
L'esplosione e detta:
„Ï Deflagrazione quando la reazione si propaga alla miscela infiammabile non ancora bruciata con una velocita minore di quella del suono;
„Ï Detonazione se la reazione procede nella miscela con velocita superiore a quella del suono.
Gli effetti distruttivi delle detonazioni sono maggiori rispetto a quelli delle deflagrazioni. Un’esplosione può aver luogo quando gas, vapori o anche polveri infiam-mabili (es. segatura di legno, farina, ecc.), entro il loro campo di esplosività, vengono innescati da una fonte di inne-sco di sufficiente energia. In particolare in un ambiente chiuso saturo di gas, vapori o polveri l’aumento della temperatura dovuto al processo di combustione sviluppa un aumento di pressione che può arrivare fino ad 8 volte la pressione iniziale. Il modo migliore di proteggersi dalle esplosioni sta nel prevenire la formazione di miscele infiammabili nel luogo ove si lavora, in quanto è estremamente difficoltoso disporre di misure che fronteggiano gli effetti delle esplosioni come è invece possibile fare con gli incendi.
ESPLOSIVI
Gli esplosivi sono sostanze che contengono nella loro molecola un quantità di ossigeno sufficiente a determi-nare una combustione (a differenza dei combustibili "tradizionali" in cui il comburente necessario per la combustione è costituito dall’ossigeno contenuto nell'aria). Gli esplosivi sono soggetti alle disposizioni del TULPS "Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza" (R.D. 18 giugno 1931, n. 773), e in base all'art. 82 del "Regolamento per l'esecu-zione del TULPS" (R.D. 6 maggio 1940, n. 635), sono classificati in 5 categorie:
1^ Cat. - Polveri e prodotti affini negli effetti esplodenti; "Esplosivi deflagranti" (lenti); velocità di detonazione ≃ 100-1000 m/s (polvere nera, polveri senza fumo, cartucce cari-che per fucili, ecc.)
2^ Cat. - Dinamiti e prodotti affini negli effetti esplodenti; "Esplosivi detonanti secondari"; (dinamiti, tritolo (velocita di detonazione . 7000 m/s), slurries, pulverulenti, AN/FO, micce detonanti con esplosivo .15 gr/m, ecc.)
3^ Cat. - Detonanti e prodotti affini negli effetti esplodenti; III cat.: "Esplosivi detonanti primari" o da innesco; (detonatori, micce detonanti con esplosivo >15 gr/m, ecc.)
4^ Cat. - Artifici e prodotti affini negli effetti esplodenti;Artifici, fuochi artificiali, razzi da segnalazione, ecc.
5^ Cat. - Munizioni di sicurezza e giocattoli pirici. Micce a lenta combustione, bossoli innescati per cartucce, giocattoli pirici, ecc.
[U]PREVENZIONE INCENDI[/U]
La sicurezza antincendio è orientata alla salvaguardia dell’incolumità delle persone ed alla tutela dei beni e dell’ambiente, mediante il conseguimento degli obiettivi primari. L’opera deve essere concepita e costruita in modo che, in caso di in-cendio sia garantita (Requisito essenziale n. 2 della Direttiva Europea 89/106/CEE "materiali da costruzione"):
1. La stabilità delle strutture portanti per un tempo utile ad assi-curare il soccorso agli occupanti.
2. La limitata produzione di fuoco e fumi all'interno delle opere
3. La limitata propagazione del fuoco alle opere vicine.
4. La possibilità che gli occupanti lascino l'opera indenni o che gli stessi siano soccorsi in altro modo.
5. La possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di sicurezza.
Il rischio di ogni evento incidentale (l'incendio nel nostro caso) risulta definito da 2 fattori:
„Ï La Frequenza, cioe la probabilita che l'evento si verifichi in un determinato intervallo di tempo.
„Ï La Magnitudo, cioe l'entita delle pos-sibili perdite e dei danni conseguenti al verificarsi dell'evento.
Rischio = Frequenza x Ma-gnitudo Dalla formula appare evidente che quanto piu si riduce la frequenza, la magnitudo, o entrambe, tanto piu si ridurra il rischio.
IL CONTROLLO E LA GESTIONE DEL RISCHIO
La possibilita di controllare e gestire un rischio di incendio inaccettabile si attua attraverso l¡¦adozione di misure di tipo Preventivo o Protettivo.
„Ï L'attuazione delle misure per ri-durre il rischio mediante la ri-duzione della frequenza vie-ne chiamata "prevenzione",
„Ï L'attuazione delle misure tese alla riduzione della magnitu-do viene chiamata "protezio-ne".
Le misure di Protezione possono essere di tipo attivo o passivo, a seconda che richiedano o meno un intervento di un operatore o di un impianto per essere attivate
LE SPECIFICHE MISURE DI PREVENZIONE
Principali misure di prevenzione: (finalizzate alla riduzione della probabilita di accadimento)
„Ï Realizzazione di impianti elettrici a regola d'arte. (Norme CEI)
„Ï Collegamento elettrico a terra di impianti, strutture, serbatoi ecc.
„Ï Installazione di impianti parafulmine.
„Ï Dispositivi di sicurezza degli impianti di distribuzione e di utilizzazione delle sostanze infiammabili.
„Ï Ventilazione dei locali.
„Ï Utilizzazione di materiali incombustibili.
„Ï Adozione di pavimenti ed attrezzi antiscintilla.
„Ï Segnaletica di Sicurezza, riferita in particolare ai rischi presenti nell¡¦ambiente di lavoro.
IMPIANTI ELETTRICI
Gli incendi dovuti a cause elettriche ammontano a circa il 30% della totalita di tali sinistri.
„Ï Misura di prevenzione molto importante.
„Ï Mira alla realizzazione di impianti elettri-ci a regola d'arte (D.M. sviluppo econo-mico 22 gennaio 2008, n. 37, norme CEI) (il DM n. 37/08 ha sostituito la legge 46/90).
„Ï Consegue lo scopo di ridurre le probabilita d'incendio, evitando che l¡¦impianto elettrico costituisca causa d¡¦innesco.
„Ï Molto numerosa e la casistica delle anomalie degli impianti elettrici le quali possono causare principi d'incendio:
corti circuiti, conduttori flessibili danneggiati, contatti lenti, surriscaldamenti dei cavi o dei motori, guaine discontinue, mancanza di protezioni, sotto-dimensionamento degli impianti, apparecchiature di regolazione mal funzio-nanti, ecc.
COLLEGAMENTO A ELETTRICO TERRA DI MPIANTI, STRUTTURE SERBATOI
La messa a terra di impianti, serbatoi ed altre strutture impedisce che su tali apparecchiature possa verificarsi l'accumulo di cariche elettrostatiche prodottesi per motivi di svariata natura (strofinio, correnti vaganti ecc.). La mancata dissipazione di tali cariche potrebbe causare il verificarsi di scariche elettriche anche di notevole ener-gia le quali potrebbero costituire innesco di eventuali in-cendi specie in quegli ambienti in cui esiste la possibilità di formazione di miscele di gas o vapori infiammabili.
Le scariche atmosferiche costituiscono an-ch'esse una delle principali cause d'incendio.
INSTALLAZIONE DI DISPOSITIVI PARAFULMINI
Specialmente nelle zone ad alta attività ce-raunica è necessario realizzare impianti di protezione contro le scariche atmosferiche (parafulmine o "gabbia di Faraday"). Essi creano una via preferenziale per la scarica del fulmine a terra evitando che es-so possa colpire gli edifici o le strutture che si vogliono proteggere.
DISPOSITIVI DI SICUREZZA DEGLI IMPIANTI DI DISTRIBUZIONE E DI UTILIZZAZIONE DELLE SOSTANZE INFIAMMABILI
Al fine di prevenire un incendio gli impianti di distribuzione di sostanze infiammabili vengono dotati di di-spositivi di sicurezza quali ad esempio: termostati; pressostati; interruttori di massimo livello, termocoppie per il controllo di bruciatori, dispositivi di allarme, sistemi di saturazione e sistemi di inertizzazione, ecc.
VENTILAZIONE DEI LOCALI
Sotto l'aspetto preventivo, la ventilazione naturale o artificiale di un ambiente dove possono accumularsi gas o vapori in-fiammabili evita che in tale ambiente possano verificarsi concentrazioni al di sopra del limite inferiore del campo d'infiammabilità. Nel dimensionare e posizionare le apertu-re o gli impianti di ventilazione necessario tenere conto sia della quantità che della densità dei gas o vapori infiammabili che possono essere presenti.
UTILIZZO DI MATERIALI E STRUTTURE INCOMBUSTIBILI
Quanto più ridotta la quantità di strutture o materiali combustibili pre-sente in un ambiente tanto minori sono le probabilità che possa verifi-carsi un incendio. Pertanto potendo scegliere tra l'uso di diversi materiali dovrà sicura-mente essere data la preferenza a quelli che, pur garantendo analoghi risultati dal punto di vista della funzionalità e del processo produttivo, presentino caratteristiche di incombustibilità.
ADOZIONE DI PAVIMENTI E ATTREZZI ANTISCINTILLA
Tali provvedimenti risultano di indispensabile adozione qualora negli ambienti di lavoro venga prevista la presenza di gas, polveri o vapori infiammabili.
ACCORGIMENTI COMPORTAMENTALI PER PREVENIRE GLI INCENDI
L’obiettivo principale dell’adozione di misure precauzionali di esercizio è quello di permettere, attraverso una corretta gestione, di non aumenta-re il livello di rischio reso a sua volta accettabile attraverso misure di prevenzione e di protezione.
Le misure precauzionali di esercizio si realizzano attraverso:
Analisi delle cause di incendio più comuniü
Informazione e Formazione antincendiü
Controlli degli ambienti di lavoro e delle attrezzatureü
Manutenzione ordinaria e straordinariaü
ANALISI DELLE CAUSE DI INCENDIO PIU' COMUNE
Il personale deve adeguare i comportamenti ponendo particolare attenzione a:
„Ï Deposito e utilizzo di materiali infiammabili e facilmente combustibili (Ove possibile, il quantitativo dei materiali infiammabili o facilmente combustibili limi-tato a quello strettamente necessario e tenuto lontano dalle vie di esodo. I quantitativi in eccedenza devono essere depositati in appositi locali o aree. Ove possibile, sostituire le sostanze in-fiammabili con altre meno pericolose.
Il deposito di materiali infiammabili deve essere realizzato in luogo isolato o locale separato tramite strutture e porte resistenti al fuoco.)
„Ï Utilizzo di fonti di calore (Impiego e detenzione delle bombole di gas utilizzate negli apparecchi di riscal-damento (anche quelle vuote); Deposito di materiali combustibili sopra o in vicinanza degli apparecchi di riscaldamento
„Ï Impianti ed attrezzature elettriche (Il personale deve essere istruito sul corretto uso delle attrezzature e degli impianti elettrici e in modo da esse-re in grado da riconoscere difetti. Le prese multiple non devono essere sovraccarica-te per evitare surriscaldamenti degli impianti. In caso di alimentazione provvisoria di un’apparecchiatura elettrica, il cavo elettrico deve avere la lunghezza strettamente necessaria e posi-zionato in modo da evitare danneggiamenti. Le riparazioni elettriche devono essere effettuate da personale competente e qualificato. Tutti gli apparecchi di illuminazione producono calore e possono essere causa di incendio.)
„Ï Il fumo e l'utilizzo di portacenere (Occorre identificare le aree dove il fumo delle siga-rette può costituire pericolo di incendio e disporne il divieto, in quanto la mancanza di disposizioni a ri-guardo è una delle principali cause di incendi. Nelle aree ove sarà consentito fumare, occorre mettere a disposizione idonei portacenere che dovranno essere svuotati regolarmente. I portacenere non debbono essere svuotati in recipienti costituiti da materiali facilmente combustibili, nè il loro contenuto deve essere accumulato con altri rifiuti. Non deve essere permesso di fumare nei depositi e nelle aree conte-nenti materiali facilmente combustibili od infiammabili.)
„Ï Rifiuti e scarti di lavorazione combustibili (I rifiuti non debbono essere de-positati, neanche in via tempora-nea, lungo le vie di esodo (corridoi, scale, disimpegni) o dove pos-sono entrare in contatto con sorgen-ti di ignizione. L'accumulo di scarti di lavorazione deve essere evitato ed ogni scarto o rifiuto deve essere rimosso giornal-mente e depositato in un’area idonea fuori dell'edificio.)
„Ï Aree non frequentate (Le aree che normalmente non sono frequentate da personale (scantinati, locali deposito) ed ogni area dove un incendio potrebbe svilupparsi senza preavvi-so, devono essere tenute libe-re da materiali combustibili non essenziali. Devono essere adottate precau-zioni per proteggere tali aree contro l'accesso di persone non autorizzate.)
„Ï Misure contro gli incendi dolosi (Scarse misure di sicurezza e mancanza di controlli possono consentire accessi non autorizzati nel luogo di lavoro, comprese le aree esterne, e ciò può costituire causa di incendi dolosi. Occorre prevedere adeguate mi-sure di controllo sugli accessi ed assicurarsi che i materiali combustibili depositati all'esterno non mettano a rischio il luogo di lavoro.)
CONTROLLO AMBIENTI DI LAVORO
È opportuno che vengano effettuati regolari verifiche (con cadenza predeterminata) nei luoghi di lavoro finalizzati ad accertare il manteni-mento delle misure di sicurezza antincendio. In proposito è opportuno predisporre idonee liste di controllo. Potranno essere incaricati singoli lavoratori oppure lavoratori addetti alla prevenzione incendi. I lavoratori devono ricevere adeguate istruzioni in merito alle opera-zioni da attuare prima che il luogo di lavoro sia abbandonato, al termine dell'orario di lavoro, affinché lo stesso sia lasciato in condi-zioni di sicurezza. Vanno controllate periodicamente:
- Le vie di uscita quali passaggi, corridoi, scale, devono essere controllate per assicurare che siano libere da ostruzioni e pericoli;
- Le porte sulle vie di uscita devono essere controllate per assicurare che si aprano facilmente.
- Le porte resistenti al fuoco devono essere controllate per assicu-rarsi che non sussistano danneggiamenti e che chiudano regolarmente.
- Le apparecchiature elettriche che non devono restare in servizio vanno messe fuori tensione
- Le fiamme libere devono essere spente o lasciate in condizioni di sicurezza
- I rifiuti e gli scarti combustibili devono essere rimossi
- I materiali infiammabili devono essere depositati in luoghi sicuri
- Il luogo di lavoro deve essere assicurato contro gli accessi incontrollati
VERIFICHE E MANUTENZIONE SUI PRESIDI ANTINCENDIO(ordinaria e straordinaria)
Occorre SORVEGLIANZA ma anche CONTROLLO PERIODICO cioe MANUTENZIONE (ORDINARIA e STRAORDINARIA) Devono essere oggetto di regolari verifiche i seguenti impianti:
„Ï Impianti per l'estinzione degli Incendi
„Ï Impianti per la rilevazione e l'allarme in caso di Incendio
„Ï Impianti elettrici
„Ï Impianti di distribuzione ed utilizzo del gas
„Ï Impianti a rischio specifico (montacarichi, centrali termiche, cucine, ecc.)
Devono essere mantenute in efficienza ed essere oggetto di regolari verifiche tutti gli impianti e le misure antincendio previste:
- per garantire il sicuro utilizzo delle vie di uscita;
- relative alla illuminazione di sicurezza;
- per l'estinzione degli incendi;
- per la rivelazione e l'allarme in caso di incendio.
Lezione n. 9 - ANTINCENDIO P. 2 (La Protezione Antincendio)
Insieme delle misure finalizzate alla riduzione dei danni, agendo sulla Magnitudo. Si sud-dividono in misure di protezione attiva o passiva in relazione alla necessità o meno dell’intervento di un operatore o dell’azionamento di un impianto.
Protezione PASSIVA-->(NON c'è il bisogno di un INTERVENTO)
Protezione ATTIVA-->(c'è il bisogno di un INTERVENTO)
La protezione attiva presuppone l'intervento che può avvenire con o senza l'azione umana. L'uso degli estintori o dell'impianto ad idranti presuppone l'intervento umano, mentre l'azionamento di un impianto automatico (es. impianto sprinkler) non presuppone tale l'intervento.
LA PROTEZIONE PASSIVA
Non richiedono l¡¦azione di un uomo o l¡¦azionamento di un impianto. Obiettivo: limitazione degli effetti dell¡¦incendio nello spazio e nel tempo (es.: garantire l¡¦incolumita dei lavoratori - limitare gli effetti nocivi dei prodotti della combustione - contenere i danni a strutture , macchinari , beni).
MISURE DI PROTEZIONE PASSIVA
ISOLAMENTO DELL'EDIFICIO: DISTANZE DI SICUREZZA
Interposizione di spazi scoperti con lo scopo di impedire la propagazione dell¡¦incendio principalmente per trasmis-sione di energia termica raggiante.
„Ï Distanze di sicurezza interne proteggono elementi appartenenti ad uno stesso complesso.
„Ï Distanze di sicurezza esterne proteggono elementi esterni al complesso.
„Ï Distanza di protezione distanza misurata orizzontalmente tra il perimetro in pianta di ciascun elemento pericoloso di un¡¦attivita e la recinzione (ove prescritta) o il confine dell¡¦area.
In pratica:
- La determinazione delle distan-ze di sicurezza si basa sulle de-terminazioni dell’energia termi-ca irraggiata in un incendio, se-condo modelli di calcolo che forniscono dati molto orientati-vi.
- Nelle normative antincendio vengono introdotti valori pre-
stabiliti ricavati empiricamente da dati ottenuti dalle misurazioni dell’energia raggiante effettuata in occasione di incendi reali e in in-cendi sperimentali.
- Separare una struttura ricorrendo alla sola adozione di distanze di si-curezza comporta l’utilizzo di grandi spazi che dovranno essere la-sciati vuoti e costituire di per se una misura poco conveniente di rea-lizzazione di una barriera antincendio da un punto di vista economico.
- Pertanto la protezione passiva si realizza anche mediante la realizza-zione di elementi si separazione strutturale del tipo “tagliafuoco”.
MURI TAGLIAFUOCO
Elementi di separazione capaci di impe-dire la propagazione di un incendio tra area adiacenti. Le barriere antincendio realizzate me-diante interposizione di elementi struttu-rali hanno la funzione di impedire la pro-pagazione degli incendi sia lineare (bar-riere locali) che tridimensionale (barriere totali) nell’interno di un edificio, nonché, in alcuni casi, quella di consentire la ri-duzione delle distanze di sicurezza.
RESISTENZA AL FUOCO
Per oltre 45 anni, la circolare n. 91 del 14/9/1961 ha costituito l’unico strumento proget-tuale in grado di affrontare il tema connesso alla resistenza al fuoco delle costruzioni.
La circolare n. 91/61 è stata abrogata e sostituita dai nuovi decreti che recepiscono le norme europee: il D.M. 9 marzo 2007 "Prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzio-ni nelle attività soggette al controllo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco" e il D.M. 16 febbraio 2007 "Classificazione di resistenza al fuoco di prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione", entrati in vigore il 25 settembre 2007.
Per la protezione delle strutture, in particolare le strutture metalli-che, alcuni particolari rivestimenti tra i quali vernici intumescenti, conseguono una vera e propria azione protettiva delle strutture sulle quali sono applicate, realiz-zando un grado di resistenza al fuoco. Questi elementi protettivi sono ininfiammabili, possiedono capacità isolanti al calore, nonché hanno la particolarità di rigonfiarsi, schiumando, generando così uno strato iso-lante, quando sono investite dalla fiamma o alta temperatura.
La resistenza al fuoco rappresenta il comportamento al fuoco degli elementi che hanno funzioni portanti o separanti.
Numericamente rappresenta l’intervallo di tempo, espresso in minuti, di esposi-zione dell’elemento strutturale ad un in-cendio, durante il quale l’elemento costrut-tivo considerato conserva i requisiti pro-gettuali di stabilità meccanica, tenuta ai prodotti della combustione, e di isolamento termico.
La resistenza al fuoco può definirsi come l’attitudine di un elemento da costruzione (componente o struttura) a conservare:
Stabilità (R) =attitudine di un prodotto o di un elemento costrut-tivo a conservare la resi-stenza meccanica sotto l'azione del fuoco.
Tenuta(E) (Étanchéité au feu) = attitudine di un prodotto o di un elemento costruttivo a non lasciar passare nè produrre, se sottoposto all'azione del fuoco su un lato, fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto al fuoco.
Isolamento termico (I) = attitudine di un prodotto o di un elemento costruttivo a ridurre, entro un dato limite, la trasmissione del calore. Con il simbolo REI si identifica un elemento co-struttivo che deve conservare, per un determi-nato tempo, la stabilità, la tenuta e l’isolamento termico; con il simbolo RE si identifica un elemento co-struttivo che deve conservare, per un determi-nato tempo, la stabilità e la tenuta; con il simbolo R si identifica un elemento co-struttivo che deve conservare, per un determi-nato tempo, la stabilità; con il simbolo EI si identifica un elemento co-struttivo che deve conservare, per un determi-nato tempo, la tenuta e l’isolamento termico; Gli elementi costruttivi vengono classificati da un numero che espri-me i minuti per i quali conservano le caratteristiche suindicate in fun-zione delle lettere R, E o I, come di seguito indicato per alcuni casi:
R 45 R 60 R 120 RE 45 RE 60 RE 120 REI 45 REI 60 REI 120 EI 45 EI 60 EI 120
La classe del compartimento esprime, in minuti, la durata minima di re-sistenza al fuoco da richiedere alla struttura o all’elemento costruttivo in essi contenuto. Le classi sono le seguenti:
Classe 15 - 20 - 30 - 45 - 60 - 90 - 120 - 180 - 240 - 360
COMPARTIMENTAZIONE
Il compartimento antincendio è una parte di edificio delimitata da elementi costruttivi (muri, solai, porte, ecc.) di resistenza al fuoco predeterminata e orga-nizzato per rispondere alle esi-genze della prevenzione incendi.
Di norma gli edifici vengono suddivisi in compartimenti, an-che costituiti da più piani, di su-perficie non eccedente quella indicata nelle varie norme specifiche. Nello stabilire la superficie massima di un compartimento si tiene conto di vari parametri: carico d’incendio, caratteristiche di infiammabilità dei materiali, destinazione dei locali, affollamento, lunghezza delle vie di esodo, modalità di stoccaggio dei materiali, lavorazioni, ubicazione e accessibilità, altezza dei locali e del fabbricato, presenza di piani inter-rati, impianti antincendio (es. sprinkler), EFC, ecc.
Per una completa ed efficace compartimentazione i muri tagliafuoco non dovrebbero avere aperture, ma e ovvio che in un ambiente di lavoro e necessario assicurare un¡¦agevole comunicazione tra tutti gli ambienti destinati, anche se a diversa destinazione d¡¦uso. Pertanto e inevitabile realizzare le comunicazioni e dotarle di elementi di chiusura aventi le stesse caratteristiche di resistenza al fuoco del muro.
Tali elementi di chiusura si possono distinguere in:
„Ï Porte incernierate (Porte munite di sistemi di chiusura automatica (quali fusibili, cavetti e contrappesi o sistemi idraulici o a molla), che in caso d’incendio fanno chiudere il serramento
„Ï Porte scorrevoli (porte sospese ad una guida inclinata di pochi gradi ri-spetto al piano orizzontale mediante ruote fissate al pannello. Normalmente stan-no in posizione aperta trattenute da un contrappe-so e da un cavo in cui è inserito un fusibile che in caso d’incendio si fonde liberando il contrappeso e permettendo alla porta di chiudersi
„Ï Porte a ghigliottina (Porte installate secondo un principio analogo alle porte scorrevoli, con la differenza che il pannello viene mantenuto sospeso sopra l’apertura e le guide sono verticali.)
LE SCALE PROTETTE
Scala in vano costituente compartimento an-tincendio avente accesso diretto da ogni piano, con porte di resistenza al fuoco REI predeterminata dotate di congegno di auto-chiusura. Le porte delle scale devono essere mantenute chiuse o libere di chiudersi se comandate da dispositivo automatico (elettromagnete).
LE SCALE CON FILTRO A PROVA DI FUMO
Scala in vano costituente com-partimento antincendio avente accesso, per ogni piano, da filtro a prova di fumo.
Vano delimitato da strutture con resistenza al fuoco REI predeterminata e comunque almeno 60 minuti, dotato di 2 o più porte munite di conge-gno di autochiusura almeno REI 60 (EI 60), ed aerato: Direttamente all’esterno con aperture libere di superficie di almeno 1 m2; Camino di ventilazione sfo-ciante sopra la copertura dell’edificio di sezione almeno 0.10 m2; Sistema di sovrapressione ad almeno 0.3 mbar anche in condizioni di emergenza.
VIE DI ESODO E PORTE DI SICUREZZA
Percorso senza ostacoli al deflusso che consente alle persone che occupano un edificio o un locale di raggiungere un luogo sicuro.
La lunghezza massima del sistema di vie di uscita è stabilita dalle norme (definizione riportata sul DM 30/11/83).
Le porte delle uscite di sicurezza devono aprirsi nel senso dell’esodo a semplice spinta, e quando aperte non devono ostruire passaggi, corridoi e pianerottoli. Le porte che danno sulle scale devono aprirsi sul pianerot-tolo senza ridurne la larghez-za e non direttamente sulle rampe. Le porte di tipo scorrevole con azionamento automatico so-no utilizzabili come uscite di sicurezza, se le stesse possono essere aperte a spinta verso l'esterno (con dispositivo appositamente segnalato) e resta-re in posizione di apertura in assenza di alimenta-zione elettrica. Il problema dell’esodo delle persone in ca-so di incendio è di enorme importanza, particolarmente in luoghi come Alberghi, Ospedali, Centri Commerciali, Locali di pubblico spettacolo, Scuole, ecc., dove generalmente è presente un grande affollamento di persone dall'età variabile, con presenza, talvolta anche notevole, di persone disabili. Inoltre, nella gestione delle emergenze, per “sicurezza delle persone disabili” ci si riferisce ad un campo molto ampio della sicurezza che ri-guarda non solo coloro che mostrano in modo più o meno evidente dif-ficoltà motorie sensoriali o cognitive, ma anche le persone anzia-ne, i bambini, le donne in stato di gravidanza, le persone con arti fratturati, le persone che soffrono di patologie molto diverse tra loro, come l'asma, i problemi cardiaci ecc. Elementi fondamentali nella progettazione del sistema di vie d¡¦uscita:
- Dimensionamento e geometria;
- Sistemi di protezione attiva e passiva;
- Sistemi di identificazione (segnaletica, illuminazione di sicurezza)
Il dimensionamento delle vie d¡¦uscita dovra tenere conto:
„Ï del massimo affollamento ipotizzabile nell¡¦edificio (prodotto tra densita di affollamento [persone al mq] e superficie degli am-bienti soggetti ad affollamento di persone [mq])
„Ï della capacita d¡¦esodo dell¡¦edificio (numero di uscite, larghezza delle uscite, livello delle uscite rispetto al piano di riferimento)
SCALA DI SICUREZZA ESTERNA
Scala totalmente esterna rispetto al fabbricato; La scala deve essere munita di parapetto regola-mentare e realizzata secondo i seguenti criteri:
i materiali devono essere incombustibili; la parete esterna dell’edificio, compresi gli eventuali infissi, per una larghezza pari alla proiezione della scala, incrementata di 2,5 m per ogni lato, deve essere almeno REI/EI 60.
In alternativa la scala deve distaccarsi di 2,5 m dalle pareti dell’edificio e collegarsi alle porte di piano tramite passerelle protette con setti laterali REI/EI 60, a tutta altezza.
SISTEMI DI VENTILAZIONE
Aperture (porte, finestre, etc.) e prese d'aria proveniente dall'esterno, inserite in una struttura edilizia atte ad assicurare una ventilazione naturale dei vari ambienti della struttura stessa.
LA PROTEZIONE ATTIVA
Misure di protezione che richiedono l’azione di un uomo o l’azionamento di un impianto, finalizzate alla precoce rileva-zione dell’incendio, alla segnalazione e all’azione di spegnimento.
ESTINTORI
Gli estintori rappresentano i mezzi di primo intervento più impiegati per spegnere i principi di incendio. Non sono efficaci se l'incendio si trova in una fase più avanzata. Vengono suddivisi, in relazione al loro peso complessivo, in:
- estintori portatili massa complessiva inferiore o uguale a 20 kg
- estintori carrellati, massa superiore a 20 kg fino a 150 kg
GLI ESTINTORI PORTATILI
Vengono classificati in base alla loro capacità estinguente. Classe A fuochi di solidi con formazione di brace Classe B fuochi di liquidi
Classe C fuochi di gas. Classe D fuochi di metalli. Classe F fuochi che interessano mezzi di cottura. L’estintore è scelto in base al tipo di incendio ipotizzabile. Sull'estintore è riportata un’etichetta (marcatura) di colore contrastante con lo sfondo, suddivisa in 5 parti, con le istruzioni e le condizioni di utilizzo. Sono indicate le classi dei fuochi ed i focolai conven-zionali che è in grado di estinguere (esempio: 34A 233BC). Per norma il colore del corpo deve essere rosso RAL 3000.
GLI ESTINTORI CARRELLATI
Hanno le stesse caratteristiche degli estintori portatili ma, a causa delle maggiori dimensioni e peso, una minore praticità d’uso e manegevolezza connessa allo spostamento del carrello di supporto. Hanno una maggiore capacità estinguente e sono da considerarsi in-tegrativi di quelli portatili.
TIPOLOGIA DI ESTINTORI
A POLVERE
La polvere antincendio è composta da varie sostanze chimiche miscelate tra loro con aggiunta di additivi per migliorarne le qualità di fluidità e idrorepellenza.
Le polveri possono essere di tipo:
ABC polveri polivalenti valide per lo spegnimento di più tipi di fuocoü (legno carta liquidi e gas infiammabili), realizzate generalmente da solfato e fosfato di ammonio, solfato di bario, ecc.
BC polveri specifiche per incendi di liquidi e gas costituite principalmente da bicarbonato di sodioü
L'azione estinguente è di tipo chimico (inibizione del materiale incombusto tramite catalisi negativa), di soffocamento e di raffreddamento.
La fuoriuscita della polvere avviene mediante una pressione interna che può essere fornita da una compressione preliminare (azoto) o dalla liberazione di un gas ausiliario (CO2) contenuto in una bombolina (interna od esterna).
L’estintore a polvere può essere utilizzato su:
- fuochi di classe A, B, C
- fuochi di classe D (solo con polveri speciali).
- quadri e apparecchiature elettriche fino a 1000 V;
Gli estintori a polvere devono riportare l'indicazione della loro idoneità all'uso su apparecchiature elettriche sotto tensione, per esempio: "adatto all'uso su apparecchiature elettriche sotto tensione fino a 1000 v ad una distanza di un metro"
Le polveri essendo costituite da particelle solide finissime, possono danneggiare le apparecchiature e macchinari.
L'utilizzo di estintori a polvere contro fuochi di classe F è considerato peri-coloso. Pertanto non devono essere sottoposti a prova secondo la norma euro-pea UNI EN 3-7:2008 e non devono essere marcati con il pittogramma di classe "F".
Una volta spento l’incendio è opportuno arieggiare il locale, in quanto, oltre ai prodotti della combustione (CO, CO2, vari acidi e gas, presenza di polveri in-combuste nell’aria) la stessa polvere estinguente, molto fine, può essere inspi-rata insieme ad altre sostanze pericolose dall’operatore.
AD ANIDRIDE CARBONICA (CO2)
L'estintore contiene CO2 compresso e liquefatto.
È strutturalmente diverso dagli altri in quanto costituito da una bombola in acciaio realizzata in un unico pezzo di spessore adeguato alle pressioni interne, gruppo valvolare con attacco conico e senza foro per attacco manometro né valvolino per controllo pressioni.
Si distingue dagli altri estintori anche per le colorazioni dell'ogiva (grigio chiaro, anche se non obbligatorio) e dal diffusore di forma tronco-conica. È presente una valvola di sicurezza che interviene quan-do la pressione interna dell’estintore supera i 170 bar, facendo cedere un apposito dischetto metallico. Al momento dell'azionamento la CO2, spinta dalla pressione interna (55/60 bar a 20° C), raggiunge il cono diffusore dove, uscendo all’aperto, una parte evapora istantaneamente provocando un brusco abbassamento di temperatura (-79°C) tale da solidificare l’altra parte in una massa gelida e leggera sotto forma di piccole particelle denomi-nate “neve carbonica” o “ghiaccio secco”. Per la forte evaporazione del gas ha una gittata limitata; È necessario avvicinarsi il più possibile al focolaio, utilizzando dispositivi di protezione individuale. La distanza del getto è non oltre 2 metri.
La CO2 che fuoriesce da un estintore può provocare ustioni da freddo. Il dispositivo di scarica è composto da un tubo ad alta pressione collegato ad un cono diffusore realizzato in materiale sintetico PVC (resi-stente agli shok termici) con la presenza di un impugnatura, per evita-re all’operatore eventuali ustioni da freddo. Il gas circonda i corpi infiammati, abbassa la concentrazione di ossigeno e spegne per soffocamento e raffreddamento. Il serbatoio dell'estintore ad anidride carbonica deve essere sottoposto a collaudo ogni 5 anni.
L’estintore a CO2 può essere utilizzato su:
− fuochi di classe B, C
− quadri e apparecchiature elettriche fino a 1000 V;
Devono riportare l'indicazione della loro idoneità all'uso su apparecchia-ture elettriche sotto tensione, per esempio: "adatto all'uso su appa-recchiature elettriche sotto tensione fino a 1000 v ad una di-stanza di un metro". L'utilizzo di estintori a CO2 contro fuochi di classe F è considerato pericolo-so. Pertanto non devono essere sottoposti a prova secondo la norma europea UNI EN 3-7:2008 e non devono essere marcati con il pittogramma di classe "F". L’estintore a CO2 non è adatto sui focolai di classe A, in quanto il gas produce solo un abbassamento momentaneo della temperatura senza l’inibizione delle braci prodotte dall’incendio e quindi dopo la sca-rica si reinnescherebbe nuovamente l’incendio.
A SCHIUMA
È costituito da un serbatoio in lamiera d’acciaio la cui carica è composta da liquido schiumogeno diluito in acqua in percentuale dal 3 al 10%. La pressurizzazione dell’estintore può essere per-manentemente o può avvenire al momento dell’uso, grazie ad una bambolina di CO2 posta sotto l’orifizio di riempimento dell’estintore che nel caso di necessità sarà liberata attraverso la sua perforazione da un percussore posto sul gruppo valvolare. L’estintore a schiuma è utilizzabile sui focolai di classe A-B. Il dispositivo di erogazione dell’estinguente è composto da un tubo al cui termine è collegata un lancetta in materiale anticorrosione, alla cui base vi sono dei fori di ingresso aria. All’azionamento dell’estintore ed alla contemporanea uscita della soluzione di liquido schiumogeno, dai forellini posti alla base dalla lancia entrerà aria per effetto venturi che miscelandosi al li-quido in passaggio produrrà la schiuma che sarà diretta sul principio d’incendio.
La schiuma è un agente estinguente costituito da una soluzione in acqua di un liquido schiumogeno, che per effetto della pressione di un gas fuoriesce dall’estintore e passa all’interno di una lancia dove si me-scola con aria e forma la schiuma. L’azione estinguente avviene per Soffocamento (separazione del combustibile dal comburente) e per raf-freddamento in minima parte. Sono impiegate per incendi di liquidi infiammabili (classe B) Non utilizzabile sulle apparecchiature elettriche e sui fuochi di classe D. È obbligatorio quindi riportare l'avvertenza nella parte ter-za dell’etichetta “AVVERTENZA non utilizzare su appa-recchiature elettriche sotto tensione”.
DETERMINAZIONE DEL NUMERO DI ESTINTORI DA INSTALLARE
Il numero risulta determinato solo in alcuni norme specifiche (scuole, ospedali, alberghi, locali di pubblico spettacolo, autorimesse ecc.).
Negli altri casi si deve eseguire il crite-rio di disporre questi mezzi di primo in-tervento in modo che siano pronta-mente disponibili ed utilizzabili. In linea di massima la posizione deve essere scelta privilegiando la facilità di accesso, la visibilità e la possibilità che almeno uno di questi possa essere raggiunto con un percorso non superiore a 15 m circa. La distanza tra gruppi di estintori deve essere circa 30 m.
POSIZIONAMENTO DEGLI ESTINTORI
Debbono essere indicati con l’apposita segnaletica di sicurezza, in modo da essere individuati immediatamente, preferibilmente vicino alle scale od agli accessi. Estintori, di tipo idoneo, devono essere posti in vicinanza di rischi speciali (quadri elettrici, cucine, impianti per la produzione di calore a combustibile solido, liquido o gassoso ecc.). Gli estintori dovranno essere posizionati alle pareti, mediante idonei attacchi che ne consentano il facile sganciamento o poggiati a terra con idonei dispositivi (piantane porta estintore con asta e cartello).
LA RETE IDRICA ANTINCENDIO
Può essere collegata direttamente, o a mezzo di vasca di disgiunzione, all’acquedotto cittadino. La presenza della riserva idrica è necessaria se l’acquedotto non garan-tisce continuità di erogazione e sufficiente pressione. In tal caso le caratteristiche idrauliche richieste agli erogatori (idranti UNI 45 oppure UNI 70) vengono assicurate in ter-mini di portata e pressione dalla capacità della riserva idrica e dal gruppo di pompaggio.
La rete idrica antincendi deve, a garanzia di affidabilità e funzionali-tà, rispettare i seguenti criteri progettuali:
Indipendenza della rete da altre utilizzazioni.ü
Dotazione di valvole di sezionamento.ü
Disponibilità di riserva idrica e di costanza di pressione.ü
Ridondanza del gruppo pompe.ü
Disposizione della rete ad anello.ü
Protezione della rete dall’azione del gelo e della corrosione.ü
Caratteristiche idrauliche pressione - portata (es. 50 % degli idrantiü UNI 45 in fase di erogazione con portata di 120 lt/min e pressione residua di 2 bar al bocchello).
Idranti (a muro, a colonna, sottosuolo o naspi) collegati conü tubazioni flessibili a lance erogatrici che consentono, per numero ed ubicazione, la copertura protettiva dell’intera attività.
IDRANTE A MURO
Apparecchiatura antincendio composta essenzialmente da:
- cassetta, o da un portello di prote-zione,
- supporto della tubazione,
- valvola manuale di intercettazione,
- tubazione flessibile completa di raccordi,
- lancia erogatrice
Gli idranti a muro (e i naspi) devono:
„Ï Devono essere posizionati in modo che ogni parte dell'attivita sia raggiungibile con il getto d'acqua di almeno un idrante/naspo.
„Ï In generale e ammissibile considerare che il getto d'acqua abbia una lunghezza di riferimento di 5 m.
„Ï Il posizionamento degli idranti a muro e dei naspi deve essere ese-guito considerando ogni compartimento in modo indipendente.
„Ï Gli idranti e/o i naspi devono essere installati in posizione ben vi-sibile e facilmente raggiungibile.
„Ï Preferibilmente posizionati in prossimita di uscite di emergen-za o vie di esodo, in posizione tale da non ostacolare l'esodo.
„Ï Le caratteristiche della rete idranti sono fissate dalla norma UNI 10779.
IDRANTE A COLONNA SOPRASSUOLO
Apparecchiatura antincendio, permanentemente collegata a una rete di alimentazione idrica, costituita da una valvola al-loggiata nella porzione interrata dell’apparecchio, manovrata attraverso un albero verticale che ruota nel corpo cilindrico, nel quale sono anche ricavati uno o più attacchi con filettatura unificata. Per ciascun idrante deve essere prevista almeno una dota-zione di una lunghezza unificata di tubazione flessibile, com-pleta di raccordi e lancia di erogazione. Queste dotazioni devono essere ubicate in prossimità degli idranti, in apposite cassette di contenimento, o conservate in una o più postazioni accessibili in sicu-rezza anche in caso d'incendio ed adeguatamente individuate da idonea segnaletica.
IDRANTE SOTTOSUOLO
Apparecchiatura antincendio, permanentemente colle-gata a una rete di alimentazione idrica, costituita da una valvola provvista di un attacco unificato ed allog-giato in una custodia con chiusino installato a piano di calpestio. La posizione degli idranti sottosuolo deve essere adeguatamente indicata; devono inoltre porsi in atto misure per evitare che ne sia ostacolato l'utilizzo. Dotazioni in cassetta di conteni-mento individuate da idonea segnaletica.
NASPI
Apparecchiatura antincendio costituita da una bobina mobile su cui è avvolta una tuba-zione semirigida collegata ad una estremità con una lancia erogatrice. Per l'impiego anche da parte di personale non addestrato, è un'alternativa agli idranti soprattutto per le attività a minor rischio. I naspi hanno prestazioni inferiori rispetto agli idranti e in alcune attività a basso rischio possono essere collegati direttamente alla rete idrica sanitaria. Dispongono di tubazioni in gomma avvolte su tamburi girevoli e sono provviste di lance da 25 mm con getto regolabile (pieno o frazionato) con portata di 50 lt/min e pressione 1,5 bar.
ATTACCHI DI MANDATA PER AUTOPOMPA
È un dispositivo, collegato alla rete di idranti, per mezzo del quale può essere immessa acqua nella rete di idranti in condizioni di emer-genza idrica, o viceversa in caso di incendio prolungato, in modo da eliminare i tempi di rifornimento dell'abp/aps. Ha un diametro DN 70.
LA RETE DI SPEGNIMENTO AUTOMATICA
IMPIANTO DI SPEGNIMENTO AUTOMATICO SPRINKLER
Fonte di alimentazione (acquedotto, serbatoi, vasca, serbatoio in pressione);
Pompe di mandata;ü
Centralina valvolata di controllo e al-larme;ü
Condotte montanti principali;ü
Rete di condotte secondarie;ü
Serie di testine erogatrici (sprinkler).ü
L’erogazione di acqua può essere comandata da un impianto di rilevazione incendi, oppure essere pro-vocata direttamente dalla apertura delle teste erogatrici: per fusione di un elemento metallico o per rottura, a determinate temperature, di un elemento termosensibile a bulbo che consente in tal modo la fuoriuscita d’acqua.
Tipi di impianto sprinkler:
- Ad umido: tutto l’impianto è permanentemente riempito di acqua in pressione: è il sistema più rapido e si può adottare nei lo-cali in cui non esiste rischio di gelo.
- A secco: la parte d’impianto non protetta, o sviluppantesi in am-bienti soggetti a gelo, è riempita di aria in pressione: al momento dell’intervento una valvola provvede al riempi-mento delle colonne con acqua.
- Alternativi: funzionano come impianti a secco nei mesi freddi e ad umido nei mesi caldi.
- A pre-allarme: sono dotati di dispositivo che differisce la scarica per escludere i falsi allarmi.
- A diluvio: impianti con sprinklers aperti alimentati da valvole ad apertura rapida in grado di fornire rapidamente grosse portate.
La progettazione, installazione e manutenzione dei sistemi automatici a sprin-kler sono fissati dalla norma UNI EN 12845.
IMPIANTI A SCHIUMA
Gli impianti a schiu-ma sono concettual-mente simili agli sprin-kler ad umido e differi-scono per la presenza di un serbatoio di schiumogeno e di ido-nei sistemi di produzio-ne e scarico della schiuma (versatori).
IMPIANTI AD HALON, CO2 O POLVERI
Gli impianti ad anidride carbonica, ad halon, a polvere hanno portata limitata dalla capacità geometrica della riserva (batteria di bombole, serbatoi). Gli impianti a polvere, non essendo l’estinguente un fluido, non sono in gene-re costituiti da condotte, ma da teste sin-gole autoalimentate da un serbatoio in-corporato di modeste capacità. La pressurizzazione è sempre ottenuta mediante un gas inerte (azoto, anidride carbonica). Le concentrazioni di CO2 necessarie per lo spegnimento non permettono la sopravvivenza delle persone, per cui l'installa-zione di questi impianti in locali con presenza di persone im-pone l'adozione di adeguate procedure di sfollamento.
SISTEMI DI RILEVAZIONE, SEGNALAZIONE E ALLARME ANTINCENDIO
La funzione di un sistema di rivelazione incendio è di rivelare un in-cendio nel minor tempo possibile e di fornire segnalazioni ed indicazioni. La funzione di un sistema di allarme incendio è quella di fornire se-gnalazioni ottiche e/o acustiche agli occupanti di un edificio. Le funzioni di rivelazione incendio e allarme incendio possono essere combinate in un unico sistema. L'incendio può essere "scoperto" da un rivelatore (automaticamente) o dall'uomo (manualmente): Sistemi fissi automatici di rivelazione d’incendio, che hanno la funzione di rivelare e segnalare un incendio nel minore tempo possibile. Sistemi fissi di segnalazione manuale, che permettono una segnalazione, nel caso l’incendio sia rilevato dall’uomo. Tali impianti rientrano quindi tra i prov-vedimenti di protezione attiva e sono fi-nalizzati alla rivelazione tempestiva del processo di combustione prima che questo degeneri nella fase di incendio generalizzato.
Sii deduce che è fonda-mentale riuscire ad avere un tempo d’intervento possibilmente inferiore al tempo di prima propagazione, ossia intervenire prima che si sia verificato il “flash over". Siamo infatti ancora nel campo delle temperature relativamente basse, l’incendio non si è ancora esteso e quin-di è più facile lo spegnimento ed i danni sono ancora contenuti.
Dalle figure precedenti si può vedere che l’entità dei danni, se non si in-terviene prima, ha un incremento notevole non appena si verifica il “flash over”. La norma di riferimento è la UNI 9795 “Sistemi fissi automatici di rivelazione, di segnalazione manuale e di allarme d'incendio”, che rimanda a disposizioni contenute in altre pubblicazioni, in particola-re alla serie delle norme UNI EN 54 “Sistemi di rivelazione e di se-gnalazione d'incendio”.
Un impianto di rivelazione automatica consente:
di favorire un tempestivo esodo delle persone, degli animali, sgombero dei beni;ü
di attivare i piani di intervento;ü
di attivare i sistemi di protezione contro l’incendio (manuali e/o automatici di spegnimento).ü
RILEVATORI D'INCENDIO
Classificazione in base al fenomeno chimico-fisico rilevato:
rivelatore di calore sensibile all'aumento della temperatura.ü
rivelatore di fumo (a ionizzazione o ottici) sensibile alle particelleü dei prodotti della combustione e/o pi-rolisi sospesi nell'atmosfera (aero-sol).
rivelatore di gas: Rivelatore sen-sibile ai prodotti gassosi della combustione e/o della decomposizione termica.ü
rivelatore di fiamme sensibile alla radiazione emessa dalle fiamme diü un incendio.
rivelatore multi-criterio: sensibile a più di un fenomeno causato dall'incendio.ü
Classificazione in base al metodo di rivelazione:
- statico da l'allarme quando l'entità del fenomeno misurato supera un certo valore per un periodo di tempo determinato
- differenziale da l'allarme quando la differenza (normalmente piccola) tra i livelli del fenomeno misurato in 2 o più punti supera un certo valore per un periodo di tempo determinato
- velocimetrico da l'allarme quando la velocità di variazione nel tempo del fenomeno misurato supera un certo valore per un periodo di tempo determinato
Classificazione in base al tipo di configurazione:
- puntiforme Rivelatore che risponde al fenomeno sorveglia-to in prossimità di un punto fisso
- lineare Rivelatore che risponde al fenomeno sorvegliato in prossimità di una linea continua
- multi-punto: Rivelatore che risponde al fenomeno sorvegliato in pros-simità di un certo numero di punti fissi
RILEVATORI E RIVELATORI D'INCENDI
Un "rivelatore automatico d’incendio” è un dispositivo installato nella zona da sorvegliare che è in grado di misurare:
- come variano nel tempo grandezze tipi-che della combustione;
- la velocità della loro variazione;
- la somma di tali variazioni nel tempo.
Inoltre trasmette un segnale d’allarme in un luogo opportuno quando il valore della grandezza tipica misurata supera un valo-re prefissato (soglia). “L’impianto di rivelazione” è un insie-me di apparecchiature fisse per rilevare e segnalare un principio d’incendio.
Lo scopo è quello di segnalare tempestivamente ogni principio d’incendio, evitando i falsi allarmi, in modo che possano essere messe in atto le misure necessarie per circoscrivere e spegnere l’incendio.
Un impianto rilevazione automatica d’incendio deve comprendere i se-guenti componenti essenziali (UNI 9795):
Rilevatori d’incendio;ü
Centrale di controllo e segna-lazione;ü
Dispositivi d’allarme incendio;ü
Punti di segnalazione manua-le (comandi di attivazione);ü
Apparecchiatura di alimentazione.ü
Vi possono essere impianti che hanno altri componenti (considerati non essen-ziali), in più rispetto a quelli elencati:
- Dispositivo di trasmissione dell'allarme incendio
- Stazione di ricevimento dell'allarme incendio
- Comando del sistema automatico antincendio
- Sistema automatico antincendio
- Dispositivo di trasmissione dei segnali di guasto
- Stazione di ricevimento dei segnali di guasto
La centrale di controllo e segnalazione garantisce l’alimentazione elet-trica (continua e stabilizzata ) di tutti gli elementi dell’impianto ed è di solito collegata anche ad una “sorgente di energia alternativa” (batterie, gruppo elettrogeno, gruppo statico ecc.) che garantisce il funzionamen-to anche in caso di mancanza di energia elettrica della rete.
Avvenuto l’incendio, l’allarme può essere
locale oppureü
trasmesso a distanza.ü
L’intervento può essere di due tipi:
manuale (azionamento di un estintore o di un idrante, intervento squadre VV.F.)ü
automatico (movimentazione di elementi di compartimentazione e/oü aerazione, azionamento di impianti di spegni-mento automatico, d’inertizzazione, predisposizione di un piano esodo).
È opportuno quindi perseguire soluzioni equilibrate che prevedono un grado d’automazione compatibile con le soluzioni tecnologiche già ampiamente collaudate af-fidando all’uomo il compito di effettuare i controlli che si rendessero necessari.
Tali tipi d’impianti trovano valide applicazioni in presenza di:
- Depositi intensivi;
- Depositi di materiali e/o sostanze ad elevato calore specifico;
- Ambienti con elevato carico d’incendio, non compartimentabili;
- Ambienti destinati ad impianti tecnici difficilmente accessibili e con-trollabili (cunicoli, cavedii, intercapedini al di sopra di controsoffitti ecc.).
Un impianto di segnalazione manua-le, prevede una suddivisione in zone dell'ambiente da sorvegliare, di su-perficie ≤ 1600 m2.
In ciascuna zona deve essere instal-lato un numero di punti di segna-lazione manuale tale che almeno uno possa essere raggiunto da ogni parte della zona stessa con un per-corso non maggiore di 40 m. I punti di segnalazione manuale devono essere almeno due per zona. Devono essere installati in posizione chiaramente visibile e facilmente accessibile, ad un'altezza compresa tra 1 m e 1,4 m.
Nel caso di punto sottovetro, deve essere disponibile un martelletto per la rottura del vetro.
DIFFERENZA TRA RILEVAZIONE E RIVELAZIONE
Rilevazione: è la misura di una grandezza tipica legata ad un fenome-no fisico provocato da un incendio.
Rivelazione: Avvenuta la rilevazione “la notizia” che si sta sviluppando l’incendio viene comunicata (rivelata) al “sistema” (uomo o dispositivo automatico) demandato ad intervenire.
Si tratta tuttavia di definizioni non ufficiali, in quanto i due vocaboli vengono spesso utilizzati in vari testi, come sinonimi.
In diverse regole tecniche vengono utilizzati i due termini indifferente-mente (es. nei DM 20/5/1992: musei, DM 26/8/1992: scuole, DM 18/03/1996: impianti sportivi, DM 22/2/2006: uffici).. Nelle norme tecniche si fa riferimento al termine "rivelazione" e laddove è riportato il termine "rilevazione" deve intendersi "rivelazione".
SEGNALETICA D'EMERGENZA
Il titolo V del D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81 e gli allegati da Allegato XXIV a Allegato XXXII stabiliscono le prescrizioni per la segnaletica di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro nei settori di attività privati o pubblici rientranti nel campo di applicazione del decreto. (Il D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81 ha sostituito, per quanto concerne la segnaletica di salute e sicurezza sul lavoro, il D.Lgs 14 agosto 1996, n. 493).
Definizioni (Art. 162)
Segnaletica di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro: una segnaletica che, riferita ad un oggetto, ad un’attività o ad una situazione determinata, fornisce un’indicazione o una prescrizione concernente la sicurezza o la salute sul luogo di lavoro, o che utilizza, a seconda dei casi, un cartello, un colore, un segnale luminoso o acustico, una comunicazione verbale o un segnale gestuale;
Segnale di divieto: un segnale che vieta un comportamento che potrebbe far cor-rere o causare un pericolo;
Segnale di avvertimento: un segnale che avverte di un rischio o pericolo;
Segnale di prescrizione: un segnale che prescrive un determinato comporta-mento;
Segnale di salvataggio o di soccorso: un segnale che fornisce indicazioni relative alle uscite di sicurezza o ai mezzi di soccorso o di salvataggio
Caratteristiche intrinseche
Forma e colori sono definiti in funzione dell'impiego (cartelli diü divieto, avvertimento, prescrizione, salvataggio e per le attrezzature antincendio).
I pittogrammi devono essere semplici, e possono differire leggermente, purché il significato sia equivalente e non equivoco.ü
I cartelli devono essere costituiti di materiale resistente (urti, intemperie, aggressio-ni ambientali).ü
Le dimensioni e le proprietà dei cartelli devono garantire una buona visibilità e comprensione.ü
Per le dimensioni si raccomanda di osservare la formula: A > L2/2000, ove A rappresenta la superficie del cartello espressa in m2 ed L la distanza, misurata in metri, alla quale il cartello deve essere ancora riconoscibile. La formula applicabile fino ad una distanza di circa 50 metri.
Per le caratteristiche cromatiche e fotometriche dei materiali si rinvia alla normativa di buona tecnica dell'UNI.ü
Condizioni d'impiego
I cartelli vanno sistemati tenendo conto di eventuali ostacoli, adü un'altezza e in una po-sizione appropriata, all'ingresso alla zona interessata in caso di rischio generico o nelle imme-diate adiacenze di un rischio specifico o dell'oggetto che s'intende segnalare e in un posto bene illumi-nato e facilmente accessibile e visibile.
In caso di cattiva illuminazione naturale utilizzare colori fosforescenti, materiali riflet-tenti o illuminazione artificiale.ü
Il cartello va rimosso quando non sussiste più la situazione che ne giustificava la pre-senza.ü
CARTELLI DI DIVIETO
Vietano un comportamento. Forma rotonda. Pittogramma nero su fondo bianco; bordo e banda (verso il basso da sinistra a destra lungo il simbolo, con un’inclinazione di 45°) rossi (il rosso deve coprire almeno il 35% della superficie del cartello).
CARTELLI DI AVVERTIMENTO
Avvertono di un pericolo. Forma triangolare. Pittogramma nero su fondo giallo, bordo nero (il giallo deve coprire almeno il 50% della superficie del cartello).
CARTELLI DI PRESCRIZIONE
Prescrivono un comportamento. Forma rotonda. Pittogramma bianco su fondo azzurro (l’azzurro deve coprire almeno il 50% della superficie del cartello).
CARTELLO DI SALVATAGGIO
Forniscono indicazioni (es: sulle uscite di sicurezza). Forma quadrata o rettangolare. Pittogramma bianco su fondo verde (il verde deve coprire almeno il 50% della su-perficie del cartello).
CARTELLI DI INDICAZIONE ANTINCENDIO
Forniscono indicazioni sui presidi antincendio. Forma quadrata o rettangolare Pittogramma bianco su fondo rosso (il rosso deve coprire almeno il 50% della superficie del cartello).
Per motivi di comodità, per poter prendere visione dei singoli cartelli, vi posto il Dlgs 81/08 (titolo V- allegato XXV - pp. 255-259):
https://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyre...09_Dlgs_81.pdf
ILLUMINAZIONE DI SICUREZZA
L’illuminazione di sicurezza, come definita dalla Norma UNI EN 1838, fa parte del sistema più generale dell’illuminazione di emergenza.
Mentre l’illuminazione di riserva ha la funzione di consenti-re il proseguimento dell’attività lavorativa, l’impianto di illuminazione di sicurezza deve fornire, in caso di mancata erogazione della fornitura princi-pale della energia elettrica e quindi di luce artificiale, un’illuminazione suffi-ciente a permettere di evacuare in sicurezza i locali (intensità mi-nima di illuminazione 5 lux). Devono essere illuminate le uscite di sicu-rezza, le vie di esodo, e tutte quelle parti che è necessario percorrere per raggiungere un’uscita verso luogo sicuro. L’Impianto deve essere alimentato da un’adeguata fonte di energia quali batterie in tampone o batterie di accumulatori con dispositivo per la ricarica automatica (con autonomia variabile da 30 minuti a 3 ore, a secondo del tipo di attività e delle circostanze) oppure da apposito ed idoneo gruppo elettrogeno. L’intervento deve avvenire in automatico, in caso di mancanza della fornitura principale dell’energia elettrica, entro 5 secondi circa (se si tratta di gruppi elettrogeni il tempo può rag-giungere i 15 secondi).
EVACUATORI DI FUMO E CALORE
Tali sistemi di protezione attiva sono di fre-quente utilizzati in combinazione con impianti di rivelazione e sono basati sullo sfruttamen-to del movimento verso l’alto delle masse di gas caldi generate dall’incendio che, a mezzo di aperture sulla copertura, vengono evacua-te all’esterno. Gli EFC devono essere installati, per quanto possibile, in modo omo-geneo nei singoli compartimenti, a soffitto in ragione, ad esempio, di uno ogni 200 m2 (su coperture piane o con pendenza minore del 20 %) come previsto dalla regola tecnica di progettazione costituita dal-la norma UNI - VVF 9494.
Gli evacuatori di fumo e calore (EFC) consentono di:
„Ï Agevolare lo sfollamento delle persone e l¡¦azione dei soccorritori grazie alla maggio-re probabilita che i locali restino liberi da fumo almeno fino ad un¡¦altezza da terra tale
da non compromettere la possibilita di movimento.
„Ï Agevolare l¡¦intervento dei soccorritori rendendone piu rapida ed efficace l¡¦opera.
„Ï Proteggere le strutture e le merci contro l¡¦azione del fumo e dei gas caldi, ridu-cendo il rischio e di collasso delle strutture portanti.
„Ï Ritardare o evitare l¡¦incendio a pieno sviluppo - ¡§flash over¡¨.
„Ï Ridurre i danni provocati dai gas di combustione o da eventuali sostanze tossiche e corrosive originate dall¡¦incendio.
Esistono vari tipi di EFC:
Lucernari a soffitto
possono essere ad apertura comandata dello sportello o ad apertura per rottura del vetro, che deve essere allora del tipo semplice
Ventilatori statici continui
la ventilazione in questo caso avviene attraverso delle fessure laterali continue.
L’ingresso dell’acqua è impedito da schermi e cappucci opportunamente disposti. In taluni casi questo tipo è dotato di chiusura costituita da una serie di sportelli con cerniera centrale o laterale, la cui apertura in caso d’incendio avviene automaticamente per la rottura di un fusibile
Sfoghi di fumo e di calore
il loro funzionamento è in genere automatico a mezzo di fusibili od altri congegni. La loro apertura può essere anche manuale.
È preferibile avere il maggior numero possibile di sfoghi, al fine di ottenere che il sistema di ventilazione entri in funzione il più presto possibile in quanto la distanza tra l’eventuale incendio e lo sfogo sia la più piccola pos-sibile
Aperture a shed
si possono prestare ad ottenere dei risultati soddisfacenti, se vengono predi-sposti degli sportelli di adeguate dimensioni ad apertura automatica o manuale
Superfici vetrate normali
vetri semplici che si rompono sotto l’effetto del calore; può essere consentito a condizione che sia evi-tata la caduta dei pezzi di vetro per rottura accidentale mediante rete metallica di protezione.
LUOGO SICURO
DM 10/3/98: Luogo dove le persone possono ritenersi al sicuro dagli effetti di un incendio. D.Lgs n. 81/08: Luogo nel quale le persone sono da considerarsi al sicuro dagli effetti determinati dall'in-cendio o altre situazioni di emergenza Si tratta di definizioni diverse, meno rigide rispetto a quella riportata nel DM 30/11/1983 "Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi"
Luogo sicuro:
„Ï Spazio scoperto
„Ï Compartimento antincendio separato da altri compartimenti mediante: spazio scoperto o filtri a prova di fumo. avente caratteristiche idonee a ricevere e contenere un predeterminato numero di persone (luogo sicuro statico), o a consentirne il movimento ordinato (luogo sicuro dinamico). Nelle norme specifiche ove si fa esplicito riferimento al "luogo sicuro", occorre attenersi alla definizione riportata nel DM 30/11/1983. Nelle attivita non normate, qualora si riten-ga di applicare il DM 10/3/98 per analogia anche alle attivita soggette a controllo VV.F., un luogo sicuro puo essere considerato un compartimento antincendio adiacente rispetto ad un altro, dotato di vie d'uscita.
LEZIONE N. 9 - ANTINCENDIO P.3 (Tecniche operative e procedure da adottare in caso di incendio)
PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI INCENDIO
IL PIANO DI EMERGENZA INCENDI
Nel piano di emergenza sono contenute le informazioni-chiave da mettere in atto per i primi momenti secondo i seguenti obietti-vi principali:
„Ï Salvaguardia ed evacuazione delle persone (obiettivo primario);
„Ï Messa in sicurezza degli impianti;
„Ï Confinamento dell¡¦incendio;
„Ï Protezione dei beni e delle attrezza-ture;
„Ï Tentare l¡¦estinzione dell¡¦incendio.
In caso di emergenza è fondamentale affrontare i primi momenti, nell’attesa dell’arrivo delle squadre dei Vigili del Fuoco.
Un buon piano di emergenza è l’insieme di poche, semplici ed es-senziali azioni comportamentali.
SCOPO
Consentire la migliore gestione possi-bile degli scenari incidentali ipotizzati, determinando una o più sequenze di azioni che sono ritenute le più idonee.
OBBIETTIVI
Analisi: individuare i peri-coli e analizzare i rischi pre-senti nell'attività lavorativa;
Struttura: raccogliere in un documento organico quelle in-formazioni che non è possibile ottenere facilmente durante l’emergenza;
LINEE GUIDA - PROCEDURE OPERATIVE STANDARD (POS)
Procedure comportamentali che rappresen-tano le migliori azioni da intraprendere in emergenza. In mancanza di appropriate procedure un incidente diventa caotico, causando confusione ed in-comprensione.
VERIFICA
Il Piano di Emergenza deve individuare persone o gruppi - chiave, dei quali descrivere le azioni da intraprendere e quelle da non fare. Deve tener conto anche della presenza di eventuali clienti, i visitatori, i dipen-denti di altre società di manutenzione ecc.
IL GESTORE DELL'EMERGENZA
Nel Piano di Emergenza deve essere individuato il Gestore Aziendale dell’Emergenza (Datore di lavoro o suo delegato) al quale vanno delegati poteri decisionali e la possibilità di prendere decisioni anche arbitra-rie, al fine di operare nel migliore dei modi e raggiungere gli obiettivi stabiliti.
AZIONI
Le azioni devono essere correlate alla effettiva capacità delle persone di svolgere determinate operazioni.
Il piano di emergenza va strutturato tenendo conto che in condizioni di stress e di panico le persone tendono a perdere la lucidità. Poche, semplici, efficaci azioni so-no meglio che una serie di incarichi complicati. È necessario effettuare esercitazioni pratiche e addestramento. In emergenza le azioni che riescono meglio sono le azioni che abbiamo saputo rendere più “automati-che” (tenuto conto di stress e panico in un’emergenza).
MODALITA'/PIANO DI EVACUAZIONE
L’obiettivo principale del piano di emergenza è la salvaguardia delle persone e la loro evacuazione.
Il piano di evacuazione è un “piano nel piano”. Esplicita tutte le misure adottate e tutti i comporta-menti da attuare per garantire la completa evacua-zione dell’edificio di tutti i presenti. Il piano di evacuazione deve prevedere di far uscire dal fabbricato tutti gli occupanti utilizzando le normali vie di esodo, senza pensare di impiegare soluzioni non ortodosse.
PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI INCENDIO
„Ï Dare l'allarme al Gestore Aziendale dell'Emergenze;
„Ï Dare l¡¦allarme al 115 dei Vigili del Fuo-co;
„Ï Valutare la possibilita di estinguere l¡¦incendio con i mezzi a disposizione;
„Ï Iniziare l¡¦opera di estinzione solo con la garanzia di una via di fuga sicura al-le proprie spalle e con l¡¦assistenza di altre persone;
„Ï Intercettare le alimentazioni di gas, energia elettrica, ecc.;
„Ï Chiudere le porte per limitare la propagazione del fumo e dell¡¦incendio;
„Ï Accertarsi che l¡¦edificio venga evacuato;
„Ï Se non si riesce a controllare l¡¦incendio in poco tempo, portarsi all¡¦esterno dell¡¦edificio e dare adeguate indicazioni ai Vigili del Fuoco.
PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI ALLARME
„Ï Mantenere la calma (in tal senso la conoscenza delle procedure e impor-tante, cosi come l¡¦addestramento periodico che aiuta a prendere confidenza
con le operazioni da intraprendere);
„Ï Evitare di trasmettere il panico;
„Ï Prestare assistenza a chi si trova in difficolta;
„Ï Attenersi al piano di emergenza;
„Ï Allontanarsi secondo le procedure;
„Ï Non rientrare nell¡¦edificio fino a quando non vengono ripristinate le condizioni di normalità.
Non impiegare ascensori o al-tri mezzi meccanici per recarsi o scappare dal luogo dell’incendio. Procedere verso il focolaio di in-cendio assumendo una posizione il più bassa possibile per sfuggire all’azione nociva dei fumi. Prima di abbandonare il luogo dell’incendio verificare che il focolaio sia effettivamente spento e sia esclusa la possibilità di una riaccensione. Accertarsi che focolai nascosti o braci non siano capaci di reinnestarlo ed as-sicurarsi che non siano presenti gas o vapori tossici o asfissianti. Abbandonare il luogo dell’incendio, in particolare se al chiuso, non appe-na possibile. Controllare che le strutture portanti non siano lesionate. Per incendi di grosse propor-zioni queste verifiche devono essere fatte da personale qualificato.
PROCEDURE PER CHIAMATE DEI SERVIZI DI SOCCORSO
E importante la corretta attivazione delle squadre di soccorso.
Deve essere individuata la persona (ed un suo sostituto) incaricata di diramare l¡¦allarme.
Schema di richiesta di soccorso (dati essenziali):
„Ï Indirizzo e numero di telefono;
„Ï Tipo di emergenza;
„Ï Persone coinvolte/feriti;
„Ï Reparto coinvolto;
„Ï Stadio dell¡¦evento (in fase di sviluppo, stabilizzato, ecc.);
„Ï Altre indicazioni particolari (materiali coinvolti, necessita di fermare mezzi a distanza, ecc.);
„Ï Indicazioni sul percorso (Nei casi di non agevole individuazione del sito, co-me ad esempio zone rurali o contrade senza numero civico, puo essere utile tenere a disposizione le coordinate GPS del luogo o predisporre una pagina fax che indica i per-corsi per raggiungere).
COLLABORAZIONE CON I VIGILI DEL FUOCO IN CASO DI INTERVENTO
Dopo aver gestito i primi momenti dell’emergenza secondo le poche basila-ri operazioni che prevede il piano di emergenza, al momento dell’arrivo dei Vigili del Fuoco la gestione dell'emergenza passa a loro.
Il modo migliore per collaborare con i Vigili del Fuoco è quello di mettere a disposizione la conoscenza dei luoghi.
ESEMPLIFICAZIONE DI UNA SITUAZIONE DI EMERGENZA
I passi per la strutturazione di un piano di emergenza possono essere schematiz-zati come segue:
1. Raccolta di informazioni e dati;
2. Predisposizione delle griglie “evolu-zione dell’evento/persone coinvol-te/azioni”;
3. Realizzazione delle schede procedu-rali/comportamentali delle diverse figure;
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
È una fase molto importante.
Nel documento di valutazione dei rischi sono raccolte tutte le informa-zioni che permettono di strutturare il processo di pianificazione dell’emergenza.
PIANIFICAZIONE
Nella pianificazione di emergenza deve essere coinvolto tutto il personale dell’azienda.
Quanto più le persone coinvolte “fanno proprio” il piano di emergenza, tanto più questo avrà possibilità di successo.
Tra i vari eventi possibili evidenziati dalla valutazione dei rischi, occorre stabilire quali presentano i maggiori rischi ed ini-ziare a pianificare delle procedure di emergenza. Il coinvolgimento delle persone nella materia di gestione dell'emergenza è determinante per la buona riuscita delle operazioni e degli interventi di soccorso.
Si puo partire schematizzando una griglia, dove vengono indicati:
„Ï il tipo di evento incidentale
„Ï il reparto interessato
„Ï la sequenza temporale di azioni da intraprendere
„Ï le persone/gruppi coinvolti
„Ï i compiti che ogni singola perso-na/gruppo deve portare a termine.
Dopo aver identificato ed elencato le per-sone/gruppi interessati dall’emergenza, si inizia a tracciare un’evoluzione dell’evento “fotografando” queste persone nei diversi momenti e si descrivono brevemente “per titoli” le attività/operazioni che stanno svolgendo.
Schematizzando in questo modo, ci si può rendere conto se qualcuno è “sovrac-caricato” di compiti.
È possibile determinare le interazioni tra le diverse figure per rendersi conto se il piano è realizzabile in quel modo.
Dopo la schematizzazione, si passa alla realizzazione delle schede delle singole persone/gruppi.
Nelle singole schede riassuntive si pos-sono effettuare descrizioni più dettagliate dei compiti della singola figura o gruppo.
Ogni scheda va classificata, numerata, datata e ufficializzata con la firma dei Responsabili.
Queste schede possono essere anche di dimensioni tascabili plastificate, oppure appese nei punti dove prestano servizio le persone interessate. La scheda di ogni persona/gruppo deve essere veramente "una scheda".
Non può esistere una valida gestione dell'emergenza se il personale deve perde-re parecchio tempo per lo studio di un ma-nuale di procedure ultra-particolareggiato. Per un’evoluzione favorevole dell’evento incidentale occorre che ciascuno esegua quelle poche fondamentali operazioni, nella giusta sequenza, coordinate con gli altri.
SPERIMENTAZIONE
Non si può pretendere che fin dalla prima stesura il piano di emergenza sia un do-cumento perfetto. È bene iniziare fin da subito il processo di pianificazione. Man mano si applicheranno le nuove parti del piano che vengono sviluppate.
ADDESTRAMENTO PERIODICO E AGGIORNAMENTO
Una procedura, per quanto sia scritta con precisione e semplicità, rischia di risultare completamente inefficace se le perso-ne che devono metterla in atto non si addestrano periodicamente. L’addestramento periodico è uno dei punti chia-ve nella preparazione alla gestione di un’emergenza, e consente di ottenere anche dei risultati correlati come la verifica e controllo delle attrezzature. È consigliabile prevedere la prova delle procedure di emergenza almeno 2 volte l’anno. Allo scopo di raffinare le procedure, oltre agli aggiornamenti a sca-denza prefissata (in occasione di cambiamenti di processo, introduzione di nuovi macchinari e comunque in linea di massima, annuale) è opportuno aggiornare il piano di emergenza anche a seguito di ogni fase di addestramento.
ESERCITAZIONI PRATICHE
PRIONCIPALI ATTREZZATURE E IMPIANTI ANTINCENDIO
ESTINTORI PORTATILI
Una delle attrezzature antincendio più diffu-se ed utilizzate per intervenire sui principi di incendio. Sono particolarmente preziosi per la pron-tezza di impiego e l’efficacia. Nei piccoli incendi ed in caso di primo inter-vento può essere sufficiente l’utilizzo di uno o al massimo due estintori. Per incendi più gravi l’utilizzo degli estintori può essere utile per rallen-tare la propagazione delle fiamme, in attesa dell’utilizzo di mezzi antincendio più potenti che hanno tempi di approntamento più lunghi.
IDENTIFICAZIONE - COLORE
Il colore del corpo deve essere rosso RAL 3000, come specificato nel Farbregister RAL-841-GL.
MARCATURA
La marcatura sull’estintore deve essere di colore contrastante con lo sfondo, e deve essere suddivisa in 5 parti.
Per le parti 1, 2, 3 e 5 deve essere contenuta nella stessa etichetta o nella stessa cornice. L’etichetta (o cornice) deve essere in una posizione tale da poter essere letta chiaramente quando l’estintore si trova sul supporto. La marcatura richiesta per la parte 4 può trovarsi anche in altra posi-zione sull’estintore.
ETICHETTA
1. Parola "ESTINTORE", Tipo, Ca-rica nominale, Classe di spegnimento:
deve contenere le seguenti informazioni in sequenza:
- le parole "ESTINTORE D’INCENDIO", o "ESTINTORE" più l’agente, o "ESTINTORE D’INCENDIO" più l’agente;
- il tipo di agente estinguente e la carica nominale;
- la classe o le classi di spegnimento dell’estintore.
2. Istruzioni per l’uso, Pittogrammi
deve contenere le seguenti informazioni:
Istruzioni per l’uso che devono comprendere uno o più pitto-grammi, ognuno con una spiegazione. Il testo delle istruzioni per l’uso deve essere nella lingua del paese di utilizzo; le diverse azioni da ese-guire sono mostrate l’una dopo l’altra, dall’alto al basso. I pittogrammi si trovano tutti nella stessa po-sizione rispetto ai relativi testi e la direzione dei movimenti da eseguire è indicata da frecce.
I pittogrammi rappresentanti i tipi di incendio. I pittogrammi di classe A e B sono utilizzati solo quando la marcatura indica la classe di spegnimen-to corrispondente. Il pittogramma di classe C è applicato solo sugli estintori a polvere con marcatura indicante l’idoneità alla classe C. I pittogrammi sono disposti orizzontalmente su una singola riga, sotto le istruzioni per l’uso. I pittogrammi che rappresentano i tipi di incendio sono inseriti in caselle quadrate con il lato di almeno 20 mm per gli estintori fino a 3 kg o 3 l, e di almeno 25 mm per gli estintori con carica maggiore di 3 kg o 3 l. Sull’angolo di ciascun pittogramma, deve essere presente un quadrato contenente una lettera. Gli estintori idonei alla classe D non devono essere marcati come idonei per altre classi di incendio.
3. Pericoli, Avvertenze
deve contenere informazioni relative a eventuali limitazioni d’uso o pericoli, in particolare associati a tossicità e rischio elettrico.
Esempi di pericoli o avvertenze: "NON ESPORSI AI FUMI E AI GAS" "DOPO L'UTILIZZAZIONE IN LOCALI CHIUSI AERARE" Gli estintori d’incendio portatili che utilizzano acqua o schiuma e non sono sottoposti a prova, o non soddisfano i requisiti di tale punto, de-vono riportare la seguente avvertenza: "AVVERTENZA: non utilizzare su apparecchiature elettriche sotto tensione". Gli estintori d’incendio portatili che utilizzano altri agenti e gli estintori a base d’acqua conformi ai requisiti, devono riportare l’indicazione della loro idoneità all’uso su apparecchiature elettriche sotto tensione, per esempio: "adatto all’uso su apparecchiature elettriche sotto ten-sione fino a 1000 V a una distanza di 1 m".
4. Istruzioni, Informazioni, Raccomandazioni, Approvazione
deve contenere almeno:
- istruzioni per la ricarica dopo il funzionamento;
- istruzioni per la verifica periodica e per l’uso solo di prodotti e parti di ricambio conformi al modello stabilito per la ricarica e la manutenzione;
- la definizione dell’agente estinguente e, in particolare, la definizione e la percentuale degli additivi per gli agenti a base d’acqua;
- se pertinente, la definizione del gas propellente;
- il numero o il riferimento relativo all’approvazione dell’estintore;
- la definizione del modello del costruttore;
- il campo di temperature d’esercizio;
- un’avvertenza contro il rischio di congelamento per gli estintori a base d’acqua;
- un riferimento alla norma europea EN 3
5. Dati identificativi del costruttore e/o fornitore
nome e indirizzo del costruttore e/o del fornitore dell’estintore d’incendio portatile;
Inoltre, sull’estintore portatile deve essere indicato l’anno di fabbrica-zione
CAPACITA' DI SPEGNIMENTO (UNI EN 3-7/2008)
La capacità di spegnimento deve essere sottoposta a prova in conformi-tà alla norma UNI EN 3-7:2008.
Prima di eseguire le prove, gli estintori a polvere devono essere sotto-posti al procedimento di compattazione.
Un estintore d'incendio portatile soddisfa i requisiti relativi alla capacità di spegnimento quando è in grado di estinguere 2 focolari di prova su una serie di 3. Una serie di prove è completa dopo che è stata ese-guita su 3 focolari, o quando i primi 2 focolari sono stati entrambi estin-ti o entrambi non estinti. Ciascuna serie di prove deve essere completa-ta prima di iniziare la successiva. Non vi è limite al numero di serie che possono essere eseguite sullo stesso tipo di estintore d'incendio portati-le senza modifiche, ma una serie deve comprendere focolari consecutivi e i relativi risultati non devono essere ignorati. Se solo un focolare di prova di una serie di 3 è estinto, tale risultato positivo può essere utilizzato una sola volta come risultato iniziale della serie successiva di focolari di prova per lo stesso modello di estintore a una classe inferiore di capacità estinguente.
REGOLE GENERALI PER L'UTILIZZO DEGLI ESTINTORI
Qualunque sia l’estintore e contro qualunque fuoco l’intervento sia diretto è necessario attenersi al-le istruzioni d’uso, verificando che l’estinguente sia adatto al ti-po di fuoco. Togliere la spina di sicurezza Premere a fondo la leva im-pugnando la maniglia di so-stegno Azionare l’estintore al-la giusta distanza dalla fiamma per colpire il focolare con la massima efficacia del getto, compa-tibilmente con l’intensità del calore della fiamma. La distanza può variare a seconda della lunghezza del getto, tra 3 e 10 metri. All’aperto è ne-cessario operare a una distanza ridotta, in presenza di vento. Operare a giusta distanza di sicurezza, esaminando quali potrebbero essere gli sviluppi dell’incendio ed il percorso di propagazione più pro-babile delle fiamme.
Dirigere il getto della sostanza estinguente alla base delle fiam-me. Agire in progressione iniziando a dirigere il getto sulle fiamme più vicine per poi prosegui-re verso quelle più di-stanti. Non attraversare con il getto le fiamme, nell’intento di aggredire il focolaio più esteso, ma agire progressiva-mente, cercando di spegnere le fiamme più vicine per aprirsi la strada per un’azione in profondità.
Durante l’erogazione muovere leggermen-te a ventaglio l’estintore.
Può essere utile con alcune sostanze estin-guenti a polvere per poter avanzare in pro-fondità e aggredire da vicino il fuoco.
Non sprecare inutil-mente sostanza estin-guente, soprattutto con piccoli estintori. Adottare, se consentito dal tipo di estintore, un’erogazione inter-mittente.
In incendi di liquidi, operare in modo che il getto non causi proiezione del liquido che brucia al di fuori del recipiente; ciò potrebbe causare la propagazione dell’incendio. (colpendo i lati del recipiente, e non la sostanza). Operare sempre sopra vento rispetto al focolare.
Nel caso di incendio all’aperto in presenza di vento, operare sopra vento rispetto al fuoco, in modo che il getto di estin-guente venga spinto verso la fiamma anziché essere deviato o disperso. Sopra vento = in direzione del vento Sottovento = in direzione contraria del vento. L’azione coordinata dei 2 estintori risulta in vari casi la più valida. Si può avanzare in un’unica direzione mantenendo gli estinto-ri affiancati a debita distanza. Si può anche agire da diverse angolazioni.
In tal caso si deve operare da posizioni che formino un ango-lo massimo di 90° in modo tale da non proiettare parti cal-de, fiamme o frammenti del materiale che brucia contro gli altri operatori. Attenzione a non dirigere il getto contro le persone, anche se avvolte dalle fiamme in quanto l’azione del-le sostanze estinguenti sul corpo umano specialmente su parti ustio-nate, potrebbe provocare conse-guenze peggiori delle ustioni; in questo caso ricorrere all’acqua oppure avvolgere la persona con coperte o in-dumenti.
Indossare i mezzi di protezione indivi-duale prescritti (DPI). Spegnendo la fiamma di gas con estintore è necessario ero-gare il getto in modo che la so-stanza estinguente segua la stessa direzione della fiamma.
Non tagliare trasversalmente e non colpire di fronte la fiamma.
TUBAZIONI ED ACCESSORI DEGLI IMPIANTI IDRICI ANTINCENDIO
TUBI DI MANDATA 45 E 70, LORO IMPIEGO
La distesa (stendimento) della manichetta deve avvenire con tubazio-ne avvolta in doppio, per non creare una serie di spirali che strozzan-do il tubo non permettono il passaggio dell'acqua. Nella distesa delle tubazioni, il raccordo maschio deve essere diretto verso l'incendio.
RIPARTITORE 70/45 A TRE VIE
Questo componente è utile:
per la formazione di un secondo getto;ü
per il prolungamento della tubazione senza intervenire sull'idrante;ü
per il comodo scarico della colonna d'acqua in una tubazione mon-tante al termine del servizio.ü
ATTREZZATURE DI PROTEZIONE INDIVIDUALE
MASCHERE ANTIGAS
Utili per la protezione degli organi della respira-zione in ambienti contaminati da gas o vapori nocivi.
Provvedono, a mezzo di filtri di tipo adatto al tossico o gruppo di tossici dai quali occorre di-fendersi, a depurare l'aria inspirata trattenendo gli agenti nocivi o trasformandoli in sostanze non dannose all'organismo umano.
E costituita di 2 parti collegabili fra loro:
„Ï Maschera propriamente detta, che copre tut-to il viso;
„Ï Filtro, contenente le sostanze atte alla depurazione dell'aria.
Limitazioni nell’impiego della maschera antigas
L’aria purificata attraverso il filtro deve essere respirabile, ossia contenere non meno del 17% di ossigeno.ü
La concentrazione dell'agente inquinante non deve essere superiore alü 2% in quanto i filtri non sono idonei a neutralizzare tale quantità.
Ogni filtro è specifico per un solo agente (ad es. ossido di carbo-nio) o per una classe di agenti (ad es. vapori organici).ü
La maschera antigas non è un dispositivo di protezione universale che possa essere usato indiscriminatamente per la difesa da qual-siasi agente inquinante. La protezione a filtro è possibile solo quando si conosca esattamente la natura dell'inquinante e si disponga del filtro idoneo.
La maschera deve essere indossata senza filtro avvitato al facciale, secon-do la seguente procedura:
„Ï Appoggiare la mentoniera al mento;
„Ï Indossare il facciale in modo che aderisca perfettamente al viso;
„Ï Tendere i tiranti superiori, facendoli passare sopra il capo, e sistemarli sulla nuca;
„Ï Agire immediatamente su tutti i cinghiaggi;
„Ï Chiudere ermeticamente col palmo della mano la sede di avvitamen-to per il filtro;
„Ï Aspirare profondamente: non si dovra avvertire infiltrazione d'aria;
„Ï Una volta tolto il filtro dalla borsa-custodia, controllare che il tappo di gomma al fondello ed il coperchio metallico al bocchello siano impe-gnati nella loro sede. Togliere i tappi ed applicare il filtro al bocchet-tone, avvitando a fondo.
FILTRI ANTIGAS
Servono a trattenere, per azione fisica o chimica, i gas o vapori noci-vi dell'aria inalata.
Meccanismo di azione:
„Ï Assorbimento: e normalmente compiuto da mate-riali che hanno la capacita di trattenere le sostanze nocive, assorbendole. L'assorbente piu comunemente usato e il carbone attivo, che presenta una porosita
elevatissima, ottenuto mediante la carbonizzazione di sostanze vege-tali e la loro successiva attivazione.
„Ï Reazione chimica: nei casi in cui il carbone attivo e insufficiente, si usano composti chimici in grado di reagire con il tossico da filtrare, neutralizzandolo o trasformandolo in prodotti di reazione gassosi non tossici o almeno tollerabili all'organismo umano. Sono prodotti chimici in forma granulare (alcali, ossidi metallici, ecc.) o di composti chimici supportati da mate-riali vari come carboni attivi, pomice e gel di silice o carboni attivi impregnati.
„Ï Catalisi: un particolare sistema che viene riservato normalmente ai filtri destinati alla protezione da ossido di carbonio.
I filtri individuali antigas possono essere raggruppati in 3 tipi:
monovalenti, proteggono da un solo gas nocivo;ü
polivalenti, proteggono da più gas nocivi;ü
universali, proteggüono da qualsiasi gas nocivo.
Esistono anche filtri con avvisatore olfattivo che produce un odore ca-ratteristico poco prima dell'esaurimento del filtro stesso.
I vari tipi di filtri, a seconda dei tossici, sono suddivisi in serie contrad-distinte da una lettera (A, B, ecc.) e da una determinata colorazione dell'involucro. Se occorre assicurare oltre alla protezione da gas o vapori, anche quella da polveri ed aerosol, il filtro viene contrassegnato da 2 lettere, quella relativa al gas o vapore (A,B, ecc..) e una f minuscola (Af, Bf, ecc.), e la colorazione dell'involucro è attraversata da una fa-scia o anello bianco. Bisogna tener presente che non esiste un’unificazione in materia; pertanto è opportuno, al fine di evitare pericolosi errori, individuare il filtro anche dalla scritta figurante sull'invo-lucro ed indicante l'agente o la classe di agenti per cui il filtro stesso è efficace.
I maggiori produttori italiani hanno adottato le lettere e le colorazioni proposte dalla Norma DIN 3181 riportata nella tabella seguente (gas-classe-colore):
VAPORI ORGANICI- A - Marrone
Vapori organici + aerosol - Af - Marrone con fascia bianca
GAS O VAPORI ACIDI INORGANICI E ALOGENI - B - Grigio
Gas o vapori acidi inorganici e alogeni + aerosol - Bf - Grigio con fascia bianca
OSSIDO DI CARBONIO - CO - Alluminio con fascia nera
Ossido di carbonio + aerosol - COf - Alluminio con fascia nera e bianca
ANIDRIDE SOLFOROSA - E- Giallo
Anidride solforosa + aero-sol - Ef - Giallo con fascia bianca
ACIDO CIANIDRICO - G - Azzurro
Acido cianidrico + aerosol - Gf - Azzurro con fascia bianca
VAPORI DI MERCURIO - Hf - Nero con fascia bianca
AMMONIACA + aerosol - Kf - Verde con fascia bianca
IDROGENO SOLFORATO (acido solfidrico)- L - Giallo - Rosso
Idrogeno solforato + aerosol - Lf - Giallo - rosso con fascia bianca
IDROGENO ARSENICALE (arsina) - O - Grigio - Rosso
IDROGENO FOSFORATO (fosfina) idrogeno arsenicale + ae-rosol - Of - Grigio - Rosso con fascia bianca
FUMI E GAS D’INCENDIO - Vf - Bianco - rosso
(escluso ossido di carbo-nio
UNIVERSALE - U - Rosso con fascia bianca
L'efficienza protettiva di un filtro cessa dopo un certo tempo d'uso, che dipende da vari fattori, tra cui:
- la concentrazione del tossico nell'aria
- la capacità del filtro
- il regime respiratorio dell'utente
- le condizioni ambientali (umidità, pressione, temperatura ecc.)
Risulta difficile stabilire esattamente la durata di un filtro.
L'esaurimento del filtro è avvertibile attraverso l'olfatto o altri sensi, ol-tre che per una certa difficoltà di respirazione dovuta alla graduale sa-turazione; parte dei gas o vapori tossici possiede un odore particolare o produce effetti caratteristici (lacrimazione, tosse, ecc.) percepibili prima che la concentrazione del tossico diventi pericolosa per l'organismo. Vanno conservati in luogo fresco ed asciutto, chiusi come forniti.
I filtri possono subire una notevole o totale diminuzione dell'efficienza se impiegati anche una sola volta o se sono stati dissigillati e aperti.
AUTORESPIRATORI
Apparecchi di respirazione costituiti da un’unità funzionale autonoma, portata dall'operatore che può quindi muoversi con completa libertà di movimenti.
È un mezzo protettivo più sicuro: isola completamente l'operatore dall'esterno.
Necessità di impiego:
Ambiente povero o privo di ossi-geno;ü
Tasso d'inquinamento atmosferi-co elevato;ü
Non si conosce la natura dell'in-quinante;ü
In tutti i casi in cui è dubbia l'efficacia dei dispositivi filtranti.ü
AUTORESPIRATORI A CICLO APERTO A RISERVA D'ARIA
L'aria espirata viene dispersa all’esterno attraverso la valvola di scarico.
L’aria proveniente dalla bombola passa attraverso un riduttore di pressione (1° stadio), che ne riduce la pressione da 150÷200 atm a 6÷8 atm;
Poi l'aria raggiunge il riduttore del 2° stadio (posto all’interno della maschera facciale in prossimità del sistema erogatore), che permette una seconda ridu-zione ad una pressione respirabile (poco più di 1 atm)
Quando l'operatore inspira, si crea una pressione negativa (depressio-ne) che favorisce l'ingresso dell'aria attivando la valvola di immissione.
In fase di espirazione la valvola di immissione si chiude e si aprono quelle di esalazione.
Modalita di funzionamento:
„Ï A domanda: l'afflusso d'aria sara proporzionale alla richiesta, per-mettendo di risparmiare aria e quindi di aver maggior autonomia;
„Ï In sovrapressione: l'aria affluira in quantita maggiore, creando nel vano maschera una sovrapressione di circa 2,5 mbar che provvede ad un¡¦ulteriore protezione da eventuali infiltrazioni di tossico dalla maschera, possibili per una non perfetta aderenza al viso della
stessa.
Gli attuali autorespiratori hanno la possibilita di funzio-nare a domanda o in sovrapressione, con manovra au-tomatica o manuale, ad esempio mediante la semplice rotazione di un volantino posto sull¡¦erogatore.
In entrambi i casi la massima portata di aria e di 300¡Ò400 lt/min.
L'autonomia e proporzionale al volume della riserva d'aria, e quindi alle dimensioni della bombola. Tenendo conto che per un lavoro medio un operatore addestrato consuma circa 30 litri d'aria al minuto, conoscendo il volume delle bombole e possibili valutarne l'autonomia dellfapparecchio. (Bisogna pero tener conto che in condizioni di stress o durante lfesecuzione di lavori pe-santi lforganismo consuma piu ossigeno)
Esempio:
Volume bombola = 7 lt
Pressione = 200 atm
Autonomia = 7 x 200 : 30 . 45 minuti
Quando la pressione all’interno della bombola scende sotto le 50 atm circa, un sistema d'allarme acustico (fischio) avverte che la bombola è prossima all'esaurimento dell'aria e quindi l'operatore dovrà abbando-nare l’intervento.
LEZIONE N. 10 - PRIMO SOCCORSO
Il primo soccorso è l’aiuto dato al soggetto infortunato o malato, da personale non sanitario, in attesa dell’intervento specializzato.
LE FONTI DI RISCHIO
Le fonti di rischio sanitario nell’ambito delle emergenze di protezione civile sono molteplici e dipendenti dalla tipologia di evento. Il rischio sanitario è comunque sempre presente in tutti gli eventi di PC nella fase di emergenza e nel post emergenza.
Alcune fonti di rischio più probabili sono:
1. Crolli o macerie
2. Agenti chimici e biologici
3. Incendi e esplosioni
TIPOLOGIA DI INCIDENTE
I tipi di incidente che si verificano con maggiore
frequenza sono:
1. Cadute
2. Urti
3. Tagli
4. Ustioni
5. Ipotermia
P.A.S.
P.A.S. = Proteggere, Avvertire, Soccorrere
PROTEGGERE
se stessiv
la persona a cui si presta soccorsov
eventuali astantiv
Mantenere la calma, osservare bene se la Situazione e l’ambiente sono sicuri, se vi sono rischi adottare misure idonee per rimuoverli o evitarli
Sul luogo dell’evento, il soccorritore si trova ad affrontare tutta una gamma d’ostacoli che vanno ad interferire con la valutazione del paziente, ed il conseguente processo decisionale. Tali difficoltà possono riassumersi in:
1. Pericolosità del luogo dell’intervento (incendio, crollo, sostanze pericolose);
2. Ambiente sfavorevole (pioggia, freddo, caldo, mancanza di spazio);
3. Condizioni disagevoli (rumore, buio, troppa luce);
4. Luogo disagevole (terreno sconnesso, fango, acqua, rottami, macerie);
5. Numero delle vittime.
SICUREZZA DELLA SCENA
Se queste condizioni non esistono, oppure sono dubbie, sarà compito dell’équipe stessa “mettere in sicurezza la scena” (esempio: Pericolo di crollo, persone violente , pericolo d’incendio o esplosione, ambiente saturo di gas,esalazioni di vapori provenienti da sostante tossiche, ecc.) comunicando alla centrale operativa la necessità di avere un eventuale supporto di componenti non sanitarie (Vigili del fuoco, Polizia , ecc.).
AVVERTIRE
118 - CENTODICIOTTO - (o ancora meglio) UNO UNO OTTO
SOCCORRERE
Agire con calma e determinazione, iniziare i primi soccorsi salvaguardando la sicurezza propria e dei soccorritori, fare ciò che si conosce e si sa fare.
La valutazione delle condizioni di un paziente si basa sulla conoscenza dell’anatomia, ovvero della struttura dell’organismo, e sulla fisiologia, ovvero come
funziona l’organismo.
L'APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO
L’apparato muscoloscheletrico si trova in tutte le parti del corpo. Lo scheletro è costituito dal cranio, dalla colonna vertebrale, dalle coste, dallo sterno, dalle scapole, dalle ossa degli arti superiori, dalla pelvi e dalle ossa degli arti inferiori.
All’apparato scheletrico sono funzionalmente e anatomicamente collegati i muscoli, le articolazioni (collegano le ossa fra loro) e i tendini ( collegano il muscolo con l’osso).
L'apparato muscoloscheletrico svolge tre funzioni particolari:
Mantenere la struttura del corpo
Proteggere gli organi interni vitali
Permettere lo svolgimento dei movimenti corporei
IL CRANIO
Il cranio è la struttura ossea della testa e si divide in due parti:
Il cranio propriamente detto
Lo scheletro della faccia che comprende la mandibola, l’osso mascellare, le ossa zigomatiche, le ossa nasali e le cavità orbitali.
Protegge l’encefalo e permette la masticazione
IL RACHIDE
La colonna vertebrale (denominata anche rachide) costituisce un fondamentale elemento di struttura e sostegno del corpo e accoglie e protegge il midollo
spinale. Consta di 33 vertebre separate e sovrapposte aperte al centro a formare il canale vertebrale che accoglie il midollo spinale. Si suddivide in 5 regioni:
- Cervicale(collo) 7 vertebre
- Toracica, dorsale (torace, coste, parte superiore del dorso) 12 vertebre
- Lombare (regione lombare) 5 vertebre
- Sacrale (parte posteriore del bacino) 5 vertebre
-Coccigea (regione coccigea) 4 vertebre
Poiché il midollo spinale è essenziale per il movimento, la sensibilità e le funzioni vitali, le lesioni della colonna possono comportare paralisi e perfino la morte.
IL TORACE
Parte del tronco interposta tra il collo e l’addome. Le ossa del torace delimitano uno spazio interno denominato cavità toracica. Contiene il cuore, i polmoni e alcuni tra i principali vasi sanguigni La funzione principale è quella di proteggere tali organi. È costituito da 12 paia di coste che si articolano con 12 vertebre toraciche. Nella parte frontale 10 paia di coste si articolano con lo sterno. 2 paia restano prive di articolazione anteriore e si dicono “fluttuanti”.
I MUSCOLI
Come lo scheletro, i muscoli proteggono il corpo, gli conferiscono la forma e ne permettono il movimento.
Si dividono in tre tipi:
Volontari: Sono sottoposti al controllo consapevole del cervello. Sono connessi alle ossa e formano la massa muscolare principale Sono direttamente responsabili dei movimenti
Involontari: Si trovano nell’apparato gastrointestinale, nei polmoni, nell’apparato urinario. Rispondono direttamente dagli ordini che provengono
dal cervello senza un’intenzione cosciente per utilizzarli.
Muscolatura cardiaca: Si trova solo nel cuore. È un muscolo involontario specializzato che ha la proprietà di generare impulsi elettrici autonomamente È estremamente sensibile alla diminuzione di ossigeno nel sangue.
L'APPARATO RESPIRATORIO
Lo scopo dell’apparato respiratorio è sia di portare ossigeno nella corrente ematica sia di eliminare dal sangue l’anidride carbonica. Per illustrare l’anatomia seguiremo la via dell’aria attraverso l’apparato stesso.
L’aria entra attraverso la bocca e il naso e passa dalla faringe. Raggiunge la trachea passando dall’epiglottide (valvola) e dalla laringe (contiene le corde vocali). La trachea è il condotto che porta l’aria ai polmoni.All’altezza dei polmoni la trachea si biforca in due rami denominati bronchi. I bronchi continuano a ramificarsi diminuendo di diametro e terminando alla fine negli alveoli. Gli alveoli sono piccole cavità in cui avvengono gli scambi gassosi con il sangue
FISIOLOGIA DELL'APPARATO RESPIRATORIO
L’inspirazione è un processo attivo.
I muscoli intercostali e il diaframma si contraggono
Il diaframma si abbassa e i muscoli intercostali si muovono verso l’alto e in fuori
La cavità toracica si espande e l’aria viene risucchiata all’interno dei polmoni
L’espirazione è un processo passivo
I muscoli e il diaframma si rilasciano
Le coste si muovono verso il basso e l’interno mentre il diaframma si solleva
Questo provoca una diminuzione del volume e in tal modo la fuoriuscita dell’aria dai polmoni
FASI DEL RESPIRO
Inspirazione: - Inspirazione dell'aria attraverso il naso
- Diminuzione della pressione intratoracica e dilatazione dei polmoni
- contrazione e abbassamento del diaframma
Espirazione: - L'aria viene espirata attraverso il naso
- Il diaframma si rilascia e risale comprimendo i polmoni
LO SCAMBIO GASSOSO
L'ossigeno passa dagli alveoli al sangue, che viene rilasciato ai tessuti, mentre l'anidride carbonica viene rilasciata dai tessuti al sangue , per poi pasasre agli alveoli, ed entrare nel circolo dell'espirazione.
OSSERVAZIONI PEDIATRICHE
Nei bambini tutte le strutture anatomiche sono più piccole e più facilmente ostruibili. La lingua occupa uno spazio maggiore. La trachea è più stretta. Poiché la parete toracica è più morbida tendono di più a utilizzare il diaframma per respirare con movimenti alternati torace-addome in caso di difficoltà.
L'APPARATO CARDIOVASCOLARE
È composto dal cuore e dai vasi sanguigni, attraverso i quali il sangue può circolare e raggiungere tutte le parti del corpo.
IL CUORE
È un organo muscolare (miocardio) della grandezza di un pugno e posto al centro della cavità toracica. Presenta 4 cavità: due superiori denominate atri e due inferiori denominate ventricoli.
IL CIRCOLO
Gli atri si contraggono spingendo il sangue nei ventricoli che si contraggono a loro volta pompando il sangue all’esterno del cuore.
IL PICCOLO CIRCOLO
Le vene cave portano sangue(povero di ossigeno) al cuore attraverso l’atrio destro. Il ventricolo destro si contrae e pompa il sangue nel circolo polmonare
attraverso le arterie polmonari. Giunto a livello alveolare il sangue si carica di ossigeno e ritorna al cuore attraverso le vene polmonari.
IL GRANDE CIRCOLO
L’atrio sinistro riceve il sangue (ricco di ossigeno) dalle vene polmonari, si contrae e spinge il sangue nel ventricolo sx. Il ventricolo sx si contrae e attraverso
l’aorta spinge il sangue in tutto l’organismo.
LA PERFUSIONE
Il movimento del sangue attraverso il cuore e i vasi sanguigni viene denominato circolazione. L’adeguato rifornimento di ossigeno e sostanze nutritive a organi e tessuti, con la contemporanea rimozione dei prodotti del catabolismo viene denominato perfusione.
L’ipoperfusione denominata anche shock è una condizione grave in cui vi è una circolazione inadeguata del sangue in uno o più organi o strutture anatomiche. I fattori possono essere diversi ( mal funzionamento della pompa o interruzione dei vasi)
IL SISTEMA NERVOSO
È il sistema comprendente il cervello, il midollo spinale e i nervi periferici che trasmettono gli impulsi nervosi Provvede alla sensibilità, al movimento, al pensiero, e controlla sia le attività volontarie che quelle involontarie.
IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
È costituito dall’encefalo (di cui fa parte il cervello) e dal midollo spinale. Riceve le informazioni, le elabora e trasmette informazioni sotto forma di impulsi elettrici. Il midollo spinale si estende fino alla regione lombare della colonna vertebrale.
IL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO
È costituito dai nervi che partono dal SNC e raggiungono tutto il corpo.Due tipi di nervi : sensitivi e motori. I nervi sensitivi ricevono le informazioni e le trasmettono al SNC. I nervi motori portano i messaggi dal SNC alla periferia. Il sistema nervoso autonomo controlla le funzioni motorie involontarie.
L'APPARATO TEGUMENTARIO
La cute svolge diverse funzioni, connesse con la protezione, la regolazione della temperatura corporea, con le attività di escrezione (perspiratio insensibilis) e con l’assorbimento dei traumi.
GLI STRATI CUTANEI
La cute presenta tre strati principali denominati: epidermide, derma e ipoderma.L’epidermide è priva di vasi sanguigni e nervi. Il derma è ricco di vasi sanguigni di nervi e strutture specializzate e per questo di maggiore interesse per il soccorritore.
L'ORGANIZZAZIONE DEL PRIMO SOCCORSO
1.Evitare e contenere i danni ambientali
2.attivazione in modo corretto dell'UNO UNO OTTO
3.Protezione della persona coinvolta
4. Controllo dell'incidente
5.Realizzazione di un primo soccorso in attesa di personale sanitario.
EMERGENZA
Condizione statisticamente poco frequente che coinvolge uno o più individui vittime dieventi che necessitano di “IMMEDIATO” ed “ADEGUATO” intervento
URGENZA
Condizione statisticamente ordinaria che riguarda uno o pochi individui colpiti daprocessi patologici per i quali , pur nonesistendo immediato pericolo di vita, è
tuttavia necessario adottare entro “BREVETEMPO” un “ADEGUATO” intervento terapeutico.
SEQUENZA DELLE OPERAZIONI DI SOCCORSO A-B-C-D-E-F-G
A. E’ il tempo che intercorre dall’incidente al momento in cui il soccorritore vede l’accaduto
B. E’ il tempo necessario al soccorritore per:
dominare l’ansia, la paura, l’agitazionev
Osservare bene quanto successov
proteggere l’infortunato per evitare un peggioramento della situazione.v
C. E’ il tempo necessario per raggiungere un telefono
D. è il tempo di contatto e di colloquio con la CO
E. è il tempo che impiega la CO ad Individuare il mezzo idoneo più vicino
F. è il tempo che impiega il mezzo di soccorso individuato a giungere sul posto
G. è il tempo che utilizza l’equipe di soccorso per le prime cure e il successivo trasporto in ospedale, se necessario.
COSA FARE NELL'ATTESA?
Se cosciente rassicurare il paziente
Proteggerlo da eventi atmosferici o rischi evolutivi
Se sospettate lesioni della colonna vertebrale non muoverlo o se cosciente invitarlo a non muoversi
Non fare diagnosi (al massimo "sospettare" es: sospetta crisi epilettica, sospette lesioni rachide ecc...)
Se incosciente e non si sospettano lesioni C.V. PLS.
VALUTAZIONI DELLO STATO DI COSCENZA
La valutazione dello stato di coscienza del soggetto è la capacità dello stesso di rispondere agli stimoli esterni. La persona deve essere scossa leggermente per le spalle e chiamata ad alta voce; le va presa anche la mano e va fatta richiesta di stringere quella del soccorritore. Se non reagisce a nessuno di questi
stimoli allora la persona è definita incosciente.
PLS - POSIZIONE LATERALE DI SICUREZZA
La posizione laterale di sicurezza, o PLS, è una tecnica di primo soccorso utilizzata per permettere ad un infortunato in stato di incoscienza di respirare liberamente.Nonostante l'utilità di questa manovra, chiunque si trovi di fronte ad un infortunato non può operarla immediatamente, ma deve sempre osservare un preciso comportamento, volto a garantire innanzitutto la sicurezza del soccorritore e, quindi, la sicurezza e la salvaguardia del soggetto da soccorrere (primo soccorso).E' di fondamentale importanza ricordare che posizionando un soggetto in PLS si muove la colonna vertebrale, ed è quindi una manovra da evitare qualora si abbia il sospetto, o la certezza, di un trauma alla stessa in base alla dinamica dell'incidente o ai dati evidenti. Per poter eseguire questa manovra bisogna assicurarsi il soggetto respiri ed abbia un battito cardiaco presente. In caso contrario bisogna allertare il 118 e praticare il BLS. La posizione laterale di sicurezza permette di evitare il rischio di soffocamento per ostruzione delle vie respiratorie, il che può avvenire, in particolare, se la persona è supina e priva di coscienza. Il soffocamento avviene per due cause possibili: Ostruzione meccanica: un oggetto blocca le vie respiratorie. In molti casi si tratta della lingua della persona stessa, che cade all'indietro (quindi nella faringe) a causa della perdita di tono muscolare dovuta allo stato di non coscienza. In alternativa alla PLS, la fase A (Airways) della procedura ABC permette di gestire questa eventualità. Ostruzione dovuta a fluidi, ad esempio nel caso in cui il vomito del malcapitato si fermi nella faringe, ostruendola. Può capitare che la perdita di tono muscolare porti alla fuoriuscita di parte del contenuto dello stomaco; in questo caso, si parla (in lingua inglese) di passive regurgitation. È possibile, inoltre, che parte dei contenuti rigurgitati finisca nei polmoni, corrodendoli a causa della acidità degli acidi dello stomaco. La PLS permette all'infortunato di respirare liberamente proprio perché impedisce alla lingua di scivolare verso la gola e, in caso di vomito, i liquidi non vanno ad ostruire le vie aeree ma scorrono verso l'esterno del cavo orale.
A partire da un soggetto in posizione supina con gli arti allineati lungo il corpo si deve innanzitutto individuare il lato su cui questo andrà ad appoggiare, dopodiché: il soccorritore si posiziona dal lato scelto, controlla che nella bocca non ci siano oggetti (dentiera, gomme da masticare, etc...) in grado di ostruirlo. Se sono presenti bisogna asportarli, sul suo lato il soccorritore piega il ginocchio dell'infortunato ed estende accanto a sé il braccio del soggetto, lasciando il gomito flesso. Il braccio ed il torace formano così un angolo di circa 90 gradi sul terreno, il ginocchio forma invece un angolo meno esteso e verticale. il soccorritore posizione la mano dell'arto superiore opposto a sé tra la testa dell'infortunato e la spalla dal proprio lato, o poco più in basso.
infine afferra il soggetto per la spalla e per il fianco opposti a sé e, tirando, fa ruotare il corpo dell'infortunato, che dovrebbe ritrovarsi accovacciato sul lato prescelto, con la mano del lato opposto sotto la testa. Se presente, un secondo soccorritore può sostenere il capo durante la rotazione per evitare movimenti bruschi. Dopo aver eseguito la manovra, è importante restare per effettuare il controllo periodico della presenza e della regolarità del respiro e del battito cardiaco e, comunque, non abbandonare il soggetto.
VALUTAZIONE-AZIONE PAZIENTE
- Verificare la coscenza del pz.
- Apertura vie aeree, procedere con lo svuotamento del cavo orale solo se sono evidenti corpi estranei solidi o in caso di storia di sospetto corpo estraneo. se il pz è traumatizzato (con impossibilità di aprire vie aeree) in nessun altro modo eseguire una modifica estensionale del capo: l'assenza di respiro è peggio di un rischio di danno al rachide cervicale
- Verificare MO.TO.RE., MOvimento TOsse REspiro (max 10 sec) e il G.A.S. Guardo (l'espansione del torace, più eventuali movimenti), Ascolto (il rumore del respiro), Sento (il flusso dell'aria). Se il respiro è presente procedere con la PLS, altrimenti in caso di respiro assente (gasping):
-Procdedere con manovra RCP (Rianimazione-cardio-polmonare), 30 compressioni, più due insufflazioni, fino a ripristino MO.TO.RE.
]MANOVRA BLS DI RCP
Posizionare il pz su un piano rigido, scoprire il torace, posizionarsi a lato del pz, reperire il punto di repere (
PUNTO DI REPERE
Posizionare la mano al centro del torace sulla metà inferiore dello sterno. Appoggiare sopra l’altra mano. Intrecciare le dita
MASSAGGIO CARDIACO ESTERNO (MCE)
• Comprimere 1/3-1/2 del diametro A/P del torace
• Tempo Compressione = Tempo Rilasciamento
• Rilasciamento completo del torace
• Non staccare mai le mani dal torace
• Limitare le interruzioni del MCE
FREQUENZA 100 compressioni/minuto
POSIZIONE DEL SOCCORRITORE
•Braccia perpendicolari al torace del paziente
•Gomiti rigidi
•Fulcro sul bacino
•Utilizzare il proprio peso come forza di compressione
In caso di mancanza di spazio l'RCP può essere svolta a cavalcioni del pz o dietro la testa.
VENTILAZIONE
Ipertendere il capo, Otturare ne vie aeree nasali, Insufflare dolcemente, volume sufficiente a sollevare il torace (500/600 ml - 5-6ml/kg). DURATA: circa 2 secondo ognuna.Lasciare espirare. Controllare l’efficacia (ESPANSIONE TORACICA). Evitare insufflazioni rapide e forzate.
Rivalutare ogni 5 cicli, se MO.TO.RE. è assente riprendere con manovre di rcp, se presente controllare G.A.S. se assente riprendere le ventilazioni e ritornare al MO.TO.RE., se presente vuol dire che è in stato di coscenza, quindi prestare assistenza.
OSTRUZIONE VIE AEREE
- Dare colpi interscapolari sulla schiena.
-Procedere con la manovra di Heimlich
MANOVRA DI HEIMLICH
-Posizionarsi dietro la vittima
- Porre una mano sotto l’arcata costale, con il pugno chiuso e il pollice all’interno
- Somministrare un colpo deciso verso l’alto e verso l’interno
- Ripetere max 5 volte
- Ricontrollare il cavo orale
MANOVRE DI DISOSTRUZIONE VIE AEREE
Alternare 5 colpi interscapolari a 5 di Heimlich, fino a liberazione vie aeree o a incoscenza del pz; in caso di incoscenza subentra l'ostruzione grave di disostruzione e bisogna procedere secondo queste manovre:
- Posizionare la vittima supina su un piano rigido
- 30 compressioni toraciche
- 2 (+ 2 ventilazioni nel primo ciclo)
- Estendere il capo e controllare cavo orale
- RCP 30:2 per 2 minuti (5 cicli)
- Se ventilazione efficace controlla Mo.To.Re.
FERITE ED EMORRAGIE
Si intende per ferita qualunque soluzione di continuità
della cute. Tutte le ferite SANGUINANO. Attenzione dunque alle ferite penetranti nelle grandi cavità (torace, addome) per la possibilità di gravi complicazioni. Perdite di sangue rapide, anche se lievi, provocano shock.
CLASSIFICAZIONE DELLE FERITE
Ø abrasione
Ø da punta
Ø da taglio
Ø da punta e taglio
Ø lacero-contusa
Ø da arma da fuoco
COSA FARE
1. Lavare abbondantemente con detergenti la cute circostante per evidenziare l’estensione della ferita
2. con tecnica asettica (lavaggio delle mani, uso di bendaggi sterili) lavare la ferita con acqua ossigenata, per l’azione di profilassi antitetanica, antisettica e di pulizia meccanica che questa esplica. Togliere con una pinzetta eventuali corpi estranei
3. arrestare l’emorragia.
EMORRAGIE VENOSE E ARTERIOSE
Ø Se di tipo venoso (sangue rosso scuro senza getti né alternanze, più o meno copiosa a secondo del numero e dei vasi interessati): comprimere modicamente la ferita con garza sterile prestando attenzione a non peggiorare la situazione (ad esempio
con ferite da oggetti penetrati a fondo nella cute). Porre in alto l’arto dove c’è l’emorragia
Ø Se di tipo arterioso (sangue rosso vivo, getto ad alternanze, direttamente in rapporto con la pressione del sangue nei vasi e con le contrazioni cardiache. La perdita di sangue può essere abbondante e rapida): ricercare fra la ferita ed il cuore i battiti dell’arteria principale che nutre la regione ferita, comprimere fra le masse muscolari in direzione delle ossa.
LACCIO EMOSTATICO
La compressione manuale o la fasciatura compressiva hanno il vantaggio di chiudere solo l’arteria lesa permettendo un sufficiente passaggio del sangue all’arto per poter irrorare i tessuti. L’uso del laccio emostatico o simili può essere usato qualora
l’emorragia sia particolarmente abbondante o ci siano amputazioni traumatiche; ricordarsi di usare materiali che non danneggino i tessuti molli, ad esempio cinture, tubi di gomma, ecc. (mai filo elettrico, corda). Non lasciare continuatamene il laccio
emostatico in loco per più di un’ora e comunque annotare sulla fronte della vittima o l’ora di posizionamento.
EMORRAGIE INTERNE
La presenza di un’emorragia interna può
essere riconosciuta da:
Ø pallore del viso, delle labbra e delle congiuntive
Ø sensazione intensa di fame d’aria e sete
Ø battito del polso rapido e appena percettibile
Ø addome talvolta dolente
In caso di emorragia interna il paziente deve essere posizionato con le gambe più in alto della testa.
EMORRAGIA NASALE
Rinoraggia
Sanguinamento dal naso a causa di un trauma del naso o del capo cui l’emorragia è dovuta dalla frattura delle ossa nasali e/o del cranio
Cosa fare
1. non arrestare l’emorragia con tamponi per il rischio di spostare frammenti ossei e di mandare il sangue a comprimere il cervello
2. evitare l’accumulo di sangue in gola facendo assumere al paziente la posizione idonea: se cosciente seduto con la testa in avanti, se incosciente in posizione di sicurezza
Epistassi
È un emorragia dovuta ad un trauma anche modesto all’interno del naso (dita o oggetti vari) o ad uno stato congestizio passeggero della mucosa con rottura di piccole vene.
Cosa fare
1. comprimere con il pollice la narice che sanguina e mantenerla compressa per alcuni minuti contro il setto nasale
2. evitare l’accumulo di sangue in gola facendo assumere al paziente la posizione idonea, seduto con la testa in avanti.
LESIONI TRAUMATICHE
Compiti del soccorritore:
• classificazione lesione
• comunicazione alla centrale per eventuale
soccorso avanzato
• soccorso fisico e psicologico
Segni e sintomi:
• Lesioni chiuse: dolore riferito, dolore alla pressione, gonfiore, alterazione colore pelle, immobilità, ematoma o ecchimosi, shockesposizione parte, ghiaccio sintetico, immobilizzazione, curare shock, sospettare sempre il peggio..
• Lesioni aperte: interruzione continuità della cute, vedo sangue e tessuti sottostanti, dolore, emorragia, possibile oggetto conficcato, possibile eviscerazione, possibile amputazione o semiamputazione, possibile asportazionedi parti molli, possibili fori sulla cute, shock.
SOCCORSO DI LESIONI APERTE
Escoriazione : esporre con cautela, lavare con fisiologica, disinfezione parte, medicazione sterile,fissaggio medicazione con cerotti e benda, curare shock.
Taglio esporre con cautela, lavaggio con fisiologica, disinfezione, emostasi, se emorragiaO2 curare shock
Lacero contusa esporre parte, non scostare i margini, pulizia con fisiologica, garza sterile, bendaggio,curare shock, ridurre i movimenti al minimo.
Punta “senza”: scoprire parte, emostasi se emorragia, pulizia con fisiologica, coprire con telinosterile, bendaggio compressivo, curare shock, O2.
Punta “con” esporre con cautela, non rimuovere, immobilizzazione oggetto, bendaggio di fissaggio,curare shock, O2.
Avulsione e arma da fuoco pulizia parti circostanti, ribalto la parte sulla ferita / conservo parte in telo sterile,copertura con telo sterile, bendaggio compressivo, shock, O2.
Eviscerazione esporre con cautela, non far rientrare visceri, telo sterile, curare shock, O2, gambeflesse.
Amputazione parziale emostasi con bendaggio compressivo e con punto di compressione a distanza,curare shock, O2.
Amputazione totale emostasi con bendaggio compressivo e con punto di compressione a distanza,curare shock, O2. Raccogliere e conservare in sterilità e freddo la parte amputata.
USTIONI
Classificazioni
Le ustioni sono lesioni della pelle causate dall'azione di diversi agenti (tipo agenti termici, chimici, elettrici).
Classificazione in base alla fonte:
• termiche: fiamme, calore eccessivo, liquidi bollenti, oggetti caldi,...
• chimiche: sotenza chimiche (acidi, basi,...)
• luminose: forte irradiazione, in particolare ultravioletta (es. ustioni da esposizione solare)
Classificazione in base alle conseguenze sulla pelle:
1° grado: lesioni all'epidermide: arrossamenti, leggero gonfiore.
2° grado: lesione più profonda: flittene (non romperle), dolore intenso.
3° grado: lesione profonda: normalmente aree carbonizzate
[GRAVITA'
La gravità di un'ustione si valuta secondo la profondità e secondo l'estensione della zona ustionata, più estese sono le ustioni e maggiore è il pericolo di vita per l'infortunato. Tale gravità viene espressa in percentuali del corpo che viene colpito.
Se si ha più di un terzo del corpo ustionato, si rischia il blocco renale, perché
la pelle lesa non compie più il suo lavoro e si ha un sovraccarico dei reni.
Sono considerate gravi le ustioni:
• qualsiasi ustione complicata da lesioni al tratto respiratorio, ai tessuti molli ed alle ossa;
• le ustioni di secondo e terzo grado al volto, all'inguine, alle mani, ai piedi ed alle articolazioni principali;
• particolare attenzione agli ultra sessantenni ed ai bambini al di sotto degli 8 anni.
REGOLA DEL 9
Per determinare la prognosi si valuta la percentuale di area interessata dall'ustione che in genere viene stimata con la "regola del 9". Quest'ultima assegna una percentuale ad ogni parte del corpo: 9% ad ogni arto superiore e alla testa; 18% ad ogni arto inferiore e alla parte anteriore o posteriore del tronco; alla parte genitale viene assegnato l'1%. Inoltre è importante tener conto anche della profondità dell'ustione, dell'età, della sede e della tipologia del trauma.
In genere, vengono considerate gravi le ustioni che interessano una superficie superiore al 20% e gravissime quelle superiori al 40%.
PROTOCOLLO DA SEGUIRE
1. valutare grado ed estensione
2. verificare la presenza di problemi respiratori causati da residui di inalazione di sostanze tossiche
3. attenzione allo shock
4. spogliare il paziente senza rimuovere le parti di vestiario a contatto della cute lesa
5. lavare con fisiologica
6. coprire la parte lesa con telini sterili bagnati di fisiologica o con telo ustioni
7. coprire l'infortunato con metallina
8. controllare costantemente le funzioni vitali
NOTE
• non usare mai disinfettanti di alcun genere, nè ghiaccio o unguenti.
• in caso di ustioni alle dita di mani o piedi, porre garze sterili fra loro
• ustioni agli occhi: bendare, senza comprimere, tutti e due gli occhi
• ustioni chimiche: la gravità della lesione dipende dalla quantità di sostanza e dal tempo di permanenza.Se si interviene in tempo occorre immediatamente lavare con un forte getto d'acqua in modo da togliere la sostanza impedendole di reagire con l'acqua (è il
caso degli acidi, reagiscono producendo calore).
•cercare sempre di individuare la sostanza chimica responsabile.
• nel caso di ustioni chimiche agli occhi, sciacquare immediatamente gli occhi con acqua, detergendolo continuamente.
USTIONI DOVUTE AD ELETTRICITA'
Prestare la massima attenzione il luogo può essere pericoloso, non tentare di soccorrere il paziente se la sorgente elettrica è ancora attiva. L'azione della corrente comporta che la pelle presenta due lesioni, uno di entrata e uno di uscita, lungo il percorso i
tessuti vengono danneggiati dal calore.In alcuni casi particolari è importante non lavare perché aggraverebbe la situazione. Ad esempio nel caso della calce secca bisogna asportare “spazzolando".
USTIONI DA FREDDO
Si può in questi casi definire come per le ustioni un grado di congelamento a seconda della profondità cui è arrivato, cioè a seconda dei tessuti che sono congelati:
• 1° grado (superficiale): Indolenzimento della parte Insensibilità Alterazione del colorito da rossastro a biancastro. Interessa il primo strato della pelle.
• 2° grado (profonda): Insensibilità Colore bianco cereo o violaceo giallastro Presenza di bolle. Interessa gli strati sottocutanei.
• 3° grado (estremo): La parte è completamente congelata, i tessuti sono cristallini e non c’è più sensibilità, la parte è fragilissima. Interessa tutto l’arto.
TRAUMATOLOGIA
Tipi di lesioni scheletromuscolari:
• fratture: rottura totale o parziale di un osso
• lussazioni: fuoriuscita dei capi articolari dalla loro sede, con impossibilità a tornare al posto naturale
• distorsioni: fuoriuscita dei capi articolari dalla loro sede con immediato ritorno in loco
• strappi muscolari: rottura di uno o più fasci di fibre muscolari
• crampi: contrazione improvvisa di un muscolo accompagnata da dolore
FRATTURE
Caratteristiche
• chiusa/esposta: c'è oppure è assente la fuoriuscita dei monconi ossei dalla pelle.
• composta / scomposta
Sintomi e segni di frattura
• dolore (spesso forte e costante) che aumenta con i movimenti
• deformazione
• posizione anomala dell’arto
• gonfiore ed alterazione del colore della pelle
• perdita di funzionalità
• perdita del polso a valle
• perdita della sensibilità
• osso esposto
PROTOCOLLO OPERATIVO
• evitare il più possibile i movimenti
• rimettere in posizione anatomica le fratture delle ossa lunghe. Interrompere
se vi sono resistenze o un aumento
significativo del dolore (massimo 1 tentativo)
• NON riallineare se la frattura è esposta o in presenza di una lussazione.
• non ridurre le fratture
• immobilizzare con stecche a depressione tutte le volte che è possibile
• imbottire gli spazi vuoti
• se il polso è assente prima dell’immobilizzazione, accelerare le procedure
• se il polso è assente dopo l’immobilizzazione, allentare la stecca e ricontrollare
• O2
• prevenire e trattare lo shock
• monitorizzare i parametri vitali
NELLE FRATTURE ESPOSTE
• pulizia con fisiologica
• eventuale emostasi
• copertura con telini sterili
LUSSAZIONI, DISTORSIONI, CRAMPI
Vi è lussazione quando in un’articolazione il capo articolare esce dalla sua sede e non rientra spontaneamente nella propria sede, se invece vi rientra spontaneamente si ha una distorsione; in una distorsione, vi può essere una lesione parziale o totale dei legamenti.Nel caso che il trauma interessi i fasci muscolari, si parla di strappi muscolari. I Crampi sono uno stato doloroso dovuti all’affaticamento prolungato dei muscoli, si tratta di un dolore intenso ma in genere di breve durata.In genere le lussazioni e le distorsioni presentano gonfiore e dolore al movimento dell’arto, il quale dev’essere immobilizzato bloccando l’articolazione superiore ed inferiore al punto del trauma Importante: immobilizzare tutte le lussazioni nella posizione in cui si
trovano senza riposizionare l'arto.
EPILESSIA E DISTURBI CONVULSIVI
Crisi: sono scatenate dell'instaurarsi di un'attività elettrica cerebrale irregolare. A volte si verificano come movimenti muscolari involontari ed incontrollabili, in questi casi si parla di CONVULSIONI. Le crisi non sono la malattia, ma sono il segno di una patologia sottostante.
COSA FARE ?
Durante la crisi:
a) adagiare il paziente a terra
b) se possibile aspirare i liquidi dalla bocca
c) allentare gli abiti stretti
d) allontanare gli oggetti che potrebbero ferirlo
e) NON tentare di tenerlo fermo durante le convulsioni
Dopo la crisi:
a) mantenere il paziente calmo
Attenzione: non mettere niente in bocca al paziente: potrebbe rompersi ed ostruire le vie aeree.
Al personale 118 riferire:
• cosa stava facendo il paziente prima della crisi.
• che tipo di movimenti ha compiuto durante la crisi.
• se ha perso il controllo sfinteriale.
• quanto è durata la crisi.
• che cosa ha fatto dopo la crisi. (ha dormito, era vigile, rispondeva alle domande)
LEZIONE N. 11 - ORGANIZZAZIONE DI AREU (Azienda regionale emergenza-urgenza) 118 LOMBARDIA
Nota: questa lezione è incentrata sull'AREU della Regione Lombardia, con particolare riferimento al SSUEM della provincia di Monza e Brianza
3 Grandi Obiettivi nella missione dell’A.R.E.U.
Garantire in modo omogeneo ed efficace il soccorso sanitario in emergenza urgenza, coordinare il trasporto di organi, tessuti e di équipe nelle attività di prelievo e trapianto, acquisire le attività di scambio e compensazione di sangue ed emocomponenti.
ORGANIZZAZIONE AREU
L'AZIENDA
L'AREU è un'Azienda Sanitaria regionale attivata il 2 aprile 2008 (delibera n° VIII/6994 della Giunta regionale) con il compito di promuovere l'evoluzione del sistema di emergenza e urgenza sanitaria (SSUEm 118) sviluppando l'integrazione a rete dell'assistenza intra ed extraospedaliera e fornendo valore aggiunto alla gestione delle patologie acute e complesse (infarto del miocardio, ictus, trauma cranico,...). La sua mission è quella di garantire, implementare e rendere omogeneo, nel territorio della Regione, il soccorso sanitario di emergenza urgenza, anche in caso di maxiemergenze; ha inoltre il compito di coordinare il trasporto di persone, organi e tessuti, le attività trasfusionali, di scambio e compensazione di sangue ed emocomponenti.
All' AREU afferiscono:
* nell'area del soccorso: 12 Articolazioni Aziendali territoriali (AAT) che per ogni ambito di riferimento (di norma il territorio provinciale) ricomprendono:- La Centrale Operativa dell'Emergenza Urgenza (COEU) - Il sistema di postazioni di soccorso presenti sul territorio afferente alla singola COEU di riferimento (Bergamo, Brescia Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Monza, Pavia, Sondrio, Varese).Il personale che opera nelle AAT riceve indicazioni operative, obiettivi e disposizioni organizzative dalla Direzione dell'AREU, pur rimanendo dipendente dall'Azienda ospedaliera di riferimento. L'AREU organizza e coordina il soccorso sanitario in urgenza ed emergenza sull'intero territorio regionale anche attraverso il servizio di Elisoccorso, con cinque basi: Bergamo, Brescia, Como, Milano e Sondrio.
* nell'area trasfusionale; 15 Dipartimenti di Medicina Trasfusionale ed Ematologia (uno per ogni provincia più 4 dell'area della provincia di Milano).
DIREZIONE STRATEGICA
La Direzione Strategica (DG DS DA) ha come obiettivo principale la realizzazione di una visione gestionale sistemica e complessiva, favorendo la condivisione delle scelte e delle responsabilità anche con l'istituzione di alcuni momenti di confronto strutturati, all'interno dei quali assumere le decisioni relative a tematiche riguardanti gli indirizzi strategici e di adozione di scelte organizzative aziendali.In particolare la Direzione Strategica:
- definisce le linee strategiche aziendali conseguenti alle direttive degli organismi istituzionali di controllo ed indirizzo nazionali e regionali,
- individua ed assegna gli obiettivi annuali delle singole Strutture aziendali, ripartisce le risorse,
- verifica gli stati di avanzamento delle attività ed i risultati ottenuti;definisce
- verifica l'attuazione delle azioni correttive in caso di scostamento dai piani strategici programmati.
PIANO DI ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
l Piano di Organizzazione Aziendale approvato dalla Giunta Regionale con DGR nr.8365 del 05.11.2008 costituisce il documento di riferimento per le modalità di governo dell'Azienda attraverso l'alleanza con tutti gli attori del sistema. Così come più volte richiamato nel PSSR 2007-2009 solo un effettivo governo partecipato (governance) può consentire ad un'azienda di servizi, ed in particolare di servizi alla persona, di soddisfare le esigenze che le vengono rappresentate.
In questo quadro l'assunzione di responsabilità diffusa ai diversi livelli del sistema implica la condivisione di valori che sostengono la cultura organizzativa quale strumento attivo per il cambiamento e l'innovazione. Peraltro l'organizzazione di un'azienda moderna, efficiente ed efficace deve essere snella e flessibile, mai appesantita da strutture che non siano funzionali al perseguimento delle sue finalità, sempre pronta ad adattarsi alle nuove esigenze sia quelle programmabili e prevedibili, ma soprattutto quelle emergenti ed improvvise. Nella consapevolezza di quanto è stato realizzato negli ultimi quindici anni nell'ambito del Sistema Sanitario di Urgenza ed Emergenza (S.S.U.Em.) in Lombardia, recependo le linee guida regionali per l'adozione del POA, si è predisposto questo documento con una definizione di Missione e di Visione aziendali conformi ai tempi e specifiche per i compiti che l'Azienda deve assolvere oggi e nei prossimi anni.
COLLEGIO SINDACALE
l Collegio Sindacale esercita il controllo sulla regolarità amministrativa e contabile, verificando la legittimità, la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa e contabile, con riferimento non solo alla legittimità degli atti, ma anche alla ragionevolezza dei processi. I componenti del Collegio Sindacale ispirano l'esercizio delle loro funzioni al principio della massima collaborazione e della sinergia operativa, favorendo costanti e reciproche forme di coinvolgimento e di consultazione, con particolare riferimento alla fase istruttoria dei provvedimenti più incidenti sul processo di programmazione e di gestione dell'Azienda.
L'AREU E IL VOLONTARIATO
Il 3° settore è, da sempre parte attiva del Sistema di Emergenza urgenza regionale e nel settore della donazione di sangue, organi e tessuti. Nell'area del soccorso e trasporto sanitario le articolazioni regionali ANPAS Lombardia, Croce Bianca, Croce Rossa Italiana, insieme ad altre numerose realtà appartenenti al mondo del volontariato, contribuiscono ad affinare percorsi gestionali, amministrativi e formativi a valenza regionale; a garantire modalità di collaborazione nei settori di intervento in contesti attinenti l'attività di soccorso e assistenza territoriale (gestione degli eventi sportivi, manifestazioni, attività di soccorso in aree cantieristiche ecc) a garantire adeguati livelli qualitativi sia nelle attività di urgenza emergenza quotidiana che in occasione delle maxiemergenze nazionali e internazianali.
Nel settore della donazione di organi, le Associazioni concorrono, insieme con i Dipartimenti ospedalieri, al duplice obiettivo di perseguire l'autosufficienza di sangue, emocomponenti ed emoderivati all'interno della Regione e di contribuire all'autosufficienza nazionale e alla cooperazione internazionale.
Svolgono inoltre un'intensa attività divulgativa e didattica sui temi della donazione di sangue ed emocomponenti proprio in considerazione del fatto che tali Associazioni sono interlocutori attivi e propositivi nell'ambito dell'emergenza urgenza e della donazione di sangue, all'interno dell'AREU è prevista la costituzione della Consulta delle Associazioni di Volontariato del soccorso e della Consulta delle Associazioni di Volontariato del Sangue, organi consultivi della Direzione aziendale in cui sono rappresentati gli organismi del volontariato.
PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO
Il Sistema di programmazione e controllo economico di AREU viene svolto principalmente dalla struttura Controllo di Gestione in stretta collaborazione con la struttura Economico Finanziario. In quest'ambito il sistema di programmazione e controllo è fortemente caratterizzato dalla struttura organizzativa e di coordinamento (si pensi al rapporto funzionale tra AREU e le Articolazioni Aziendali Territoriali - AAT) dell'attività di emergenza urgenza extraospedaliera, in cui AREU si inserisce. Infine, dal punto di vista del sistema di finanziamento la Giunta Regionale, nell'ambito delle risorse definite con la Delibera di gestione del Servizio Sanitario Regionale, assegna preventivamente ad AREU il finanziamento in conto esercizio, necessario sia alla remunerazione delle prestazioni di emergenza e urgenza extraospedaliera definite in via convenzionale con le aziende sanitarie pubbliche interessate (AO, ASL, Fondazioni), sia alla remunerazione dei costi di Funzionamento dell'azienda. Trimestralmente e a consuntivo, le aziende sanitarie convenzionate produrranno una rendicontazione sulla base della quale saranno verificate le spese effettivamente sostenute per l'attività di emergenza urgenza.
LA QUALITA' E IL RISCHIO
Uno degli obiettivi dell'AREU è di svolgere le proprie attività utilizzando un metodo di lavoro comune e condiviso da tutti gli operatori del sistema regionale 118.
Tale metodo prevede di adottare le stesse modalità di lavoro (descritte in procedure e protocolli uniformi nell'ambito del territorio regionale), di verificare l'applicazione degli stessi e delle attività svolte, anche utilizzando sistemi di confronto con standard di riferimento nazionali ed internazionali e di analizzare e risolvere le criticità che nel tempo si possono manifestare.
Queste attività, svolte nel quadro degli obiettivi ministeriali e regionali e sostenute dalla Direzione Strategica AREU, coinvolgono gli operatori a tutti i livelli e sono finalizzate ad attivare un percorso virtuoso di crescita, organizzativa e professionale, finalizzato al miglioramento.
AAT - ARTICOLAZIONI AZIENDALI TERRITORIALI
IL SSUEM (SISTEMA SANITARIO EMERGENZA URGENZA
Il S.S.U.Em. (Servizio Sanitario Urgenza Emergenza) 118 è un servizio pubblico presente su tutto il territorio nazionale con l'obiettivo di garantire tutto l'anno, 24 ore al giorno, una risposta adeguata alle situazioni di urgenza o emergenza sanitaria e delle maxiemergenze mediante l'invio di mezzi di soccorso adeguati. E' previsto che il 118 garantisca, nel prossimo futuro, anche il coordinamento dei trasporti interospedalieri urgenti nonché il coordinamento del trasporto degli organi, dei tessuti e delle equipe di trapianto.
Il 118: come opera
Le principali funzioni svolte dalla centrale operativa sono:
lla gestione degli ingressi telefonici e la fase di processo della richiesta di
soccorso
l'invio dei mezzi idonei per la gestione delle attività di soccorso
l'accompagnamento assistito del paziente nelle Strutture ospedaliere di riferimento.
la registrazione degli eventi
le comunicazioni tra Centrali Operative e mezzi di soccorso
la connessione con centrali di altre istituzioni coinvolte nell?attività di urgenza ed emergenza (112,113 ecc)
L'operatore del 118, ricevuta la richiesta di soccorso, assegna un "codice colore" in base alla valutazione di gravità e invia il mezzo di soccorso più adeguato e più vicino al luogo in cui è stato segnalato l'evento. Eseguito l'intervento di soccorso, il paziente viene trasportato nel presidio ospedaliero di riferimento o, su decisione della Centrale Operativa, presso il presidio ospedaliero più idoneo ad affrontare e risolvere la situazione sanitaria di emergenza.
Ad ogni evento, in relazione alle informazioni raccolte, viene associato un codice colore che è riportato nella tabella sottostante. L'utilizzo da parte dei mezzi di soccorso dei dispositivi supplementari acustici e visivi (sirena e lampeggianti) è previsto solo per i codici giallo (urgenza) e rosso (emergenza).
Ogni provincia ha il suo SSUEM con AAT 118 AREU.
ALCUNI NUMERI DEL SOCCORSO EXTRA-OSPEDALIERO
AREU LOMBARDIA
- 9.666.280 residenti in Lombardia + 512.00 c.a. domiciliati
- 1546 comuni
-1.646.054 chiamate annue
-695.429 interventi di soccorso sul territorio
-12 CO
-186 Mezzi di Soccorso di Base (MSB)
-40 mezzi con infermiere a bordo (MSI)
-64 automediche o ambulanze medicalizzate (MSA)
-5 elicotteri di soccorso
AAT MONZA E BRIANZA
-834.00 residenti
-57 comuni
-89.270 chiamate di soccorso processate annue
-44.111 interventi
-3/4 MSA
- 2 MSI
-12 MSB in convenzione + una miriade di MSB a gettone!
-23 medici + 1 responsabile
-18 infermieri + 1 coordinatore
-1 referente tecnico
-6 autisti soccorritori
L'AREU E LA POPOLAZIONE
Oltre al soccorso, l'AREU si impegna in modo approfondito nello sviluppo di progetti e attività che hanno lo scopo di migliorare ed elevare la risposta della popolazione alle problematiche dell'Emergenza-Urgenza con:
-Campagne educative
-Corsi alla popolazione
-Attività culturali
LEZIONE N. 12 - LA MAXIEMERGENZA
CATASTROFE
• Improvviso
• Violento
• Grandi dimensioni
• Ingenti danni materiali e feriti
- Sproporzione tra domanda ed offerta
LE FIGURE DI RIFERIMENTO DEL 118
DIRETTORE SOCCORSI ASNITARI
Giacca rossa (giacca alta visibilità senza maniche, con loghi e scritte 118 e nome/qualifica operatore 118).
• Medico esperto in grandi emergenze, con capacità organizzative;
• Assume controllo e coordinamento di tutte le operazioni sanitarie;
• Mantiene contatti con C.O. 118;
• Richiede mezzi e personale necessari sul luogo dell’evento;
• Concorda con il Direttore P.M.A. modalità di evacuazione feriti;
• Collabora con responsabili FFOO, VVFF, Protezione Civile nel coordinamento e funzionamento del P.C.A.;
• NON TRATTA VITTIME.
• Garantisce adeguato cambio al personale presente sulla scena e ne controlla lo stato psico-fisico
DIRETTORE TRIAGE
Giacca gialla.
• Primo Infermiere che arriva in posto successivamente
infermiere U.M.S.S. ;
• Coordina recupero ed evacuazione della scena (Piccola Noria) ;
• Supervisiona operazioni di estrazione e recupero dei feriti in coordinamento con VVFF
• Responsabile dell’area di raccolta dei feriti;
• Regola il flusso delle vittime verso il P.M.A.;
• Mantiene contatti con D.S.S. e Direttore P.M.A;
DIRETTORE POSTO MEDICO AVANZATO
Giacca bianca
• Medico che coordina personale del P.M.A.;
• Assume controllo e coordinamento di tutte le operazioni sanitarie;
• Supervisiona attività di triage entrata e uscita;
• Supervisiona procedure di stabilizzazione;
• Verifica corretta compilazione cartellino triage;
• Concorda con il D.S.S. modalità di evacuazione feriti
DIRETTORE DEI TRASPORTI
Giacca blu
• Personale tecnico della C.O. 118 (autista U.M.S.S.)
• Organizza e gestisce zona di arrivo mezzi di trasporto sanitario aerei e
terrestri;
• Organizza zona di imbarco dei pazienti per l’evacuazione verso gli ospedali;
• Mantiene contatti con C.O. 118 per la gestione della “Grande Noria”;
• Tiene traccia del flusso di pazienti e dei mezzi inviati agli ospedali;
• Monitorizza adeguatezza n°mezzi / necessità locale di mezzi e personale necessari sul luogo dell’evento;
• Si attiene alle disposizione del Direttore P.M.A. circa le modalità di evacuazione feriti;
COORDINATORE INCIDENTE MAGGIORE
Giacca scacchi giallo-rossi
Personale tecnico o sanitario della centrale
Funzioni:
* Responsabile della gestione tecnico sanitaria dell’evento
*Coordinamento con il DSS del personale operativo nella catena dei soccorsi
L'INFERMIERE
COADIUVA ATTIVITA’:
• in AREA RACCOLTA FERITI (triage sanitario)
• in P.M.A. collabora alla stabilizzazione delle vittime insieme al medico
• Eventuale trasporto protetto della vittima
IL MEDICO
• in P.M.A. stabilizza le vittime;
• Eventuale trasporto protetto della vittima;
IL PMA - POSTO MEDICO AVANZATO
Dispositivo funzionale di selezione e trattamento delle vittime,localizzato ai margini esterni dell’area di sicurezza o in una zona centrale rispetto al fronte dell’evento. Può essere sia una struttura (tenda , containers),sia un’area funzionalmente deputata al compito di radunare le vittime, concentrare le risorse di primo trattamento e organizzare l’evacuazione sanitaria dei feriti. Possono essere utilizzati tutti i luoghi disponibile di varie tipologia (chiese, palestre, impianti sportivi ecc...)
CARATTERISTICHE
• Sempre in zona di sicurezza al di fuori dell’eventuale rischio evolutivo.
• Ben segnalato e possibilmente non lontano dal Posto
Comando Avanzato.
• Ben illuminato.
• Percorso unidirezionale (flusso in avanti)
FUNZIONI.
• Accettazione
• Stabilizzazione
• Evacuazione
IL TRIAGE
CARATTERISTICHE
• Facile da ricordare
• Facile da eseguire
• Veloce
• Utilizzabile da tutti gli operatori
• Attendibile nello stabilire le priorità
Il processo di Triage rappresenta la metodologia di approccio più corretta perché consente di individuare necessità a cui rispondere con soluzioni idonee a soddisfare le esigenze operative dell’intera equipe sanitaria.
QUANTI TRIAGE?
- Primo triage: Sul luogo del crash.
-Secondo triage: In entrata al PMA
- Terzo triage: In uscita dal PMA per il trasporto ospedaliero
Un quarto triage verrà effettuato all'arrivo in ospedale
IL TRIAGE START - SIMPLE TRIAGE AND RAPID TREATMENT (TRIAGE SEMPLICE E TRATTAMENTO RAPIDO)
*Sviluppato inizio anni ’80 in California (Hoag Hospital e Fire and Marine Department di Newport Beach)
*Utilizzato dagli U.S.A, Arabia Saudita, Francia, Israele e Italia (D.L. 13/02/2001)
*Consolidato utilizzo negli incidenti maggiori/catastrofi
*Trattamento rapido di un elevato numero di pazienti con vari gradi di urgenza
*Classificazione prioritaria per “codice colore"
COLORI DEL TRIAGE
- Codice verde: urgenza minima (ambulatory or walking wounded)
- Codice giallo: Urgenza relativa (delayed)
- Codice rosso Estrema urgenza (immediate)
- Codice nero: Deceduto o non salvabile (dead or non salvageable)
Ogni mezzo di soccorso è dotato di un dispenser da 50 braccialetti in base al codice-colore
Per personale sanitario è presente inoltre una scheda triage.
CARATTERISTICHE DEI DISPOSITIVI TRIAGE
* Facilità di applicazione
* Alta visibilità
* Resistenza ad eventi atmosferici e potenziali agenti lesivi
* Disponibilità in quantitativi adeguati su tutti i mezzi di soccorso
* Tracciabilità del percorso della vittima attraverso codici numerati
* Registrazione di tutte le informazioni relative al paziente, al trattamento e alla destinazione
PROTOCOLLO START PER PERSONALE SANITARIO
Se il paziente cammina è un codice verde, se non cammina bisogna controllare il respiro, se non respira respira si procede con l'intubazione, se non respire codice NERO, se respira codice ROSSO, se invece viene trovato respirante se il respiro è tra i 10 e 30 atti al minuto è un codice rosso, se minore bisogna controllare il polso radiale e verificare l'esecuzione di ordini semplici, se entrambi sono presenti sarà un codice GIALLO, se assenti codice ROSSO
PROTOCOLLO START PER PERSONALE SOCCORRITORE
Se il paziente cammina è un codice VERDE, se non cammina, il respiro non è regolare (neanche con l'intubazione), e non è presente polso radiale (o presente ma non esegue ordini semplici) sarà un codice ROSSO, se esegue ordini semplici è un codice GIALLO
LEZIONE 13 - RIPRISTINO DEI SERVIZI DI BASE E RICOSTRUZIONE DOPO L'EVENTO
RUOLO DEL COMMISSARIO STRAORDINARIO PER L'EMERGENZA
ESEMPIO FVG:
IL COMMISSARIO STRAORDINARIO,NOMINATO AI SENSI DELL' ART. 5 DELLA LEGGE 8 DICEMBRE 1970,N. 996, PUÒ PRENDERE,SENTITA LA REGIONE FRIULI-VENEZIA GIULIA,OGNI INIZIATIVA ED ADOTTARE, ANCHE IN DEROGA ALLE NORME VIGENTI, IVI COMPRESE LE NORME SULLA CONTABILITÀ GENERALE DELLO STATO, E CON IL RISPETTO DEI PRINCIPI GENERALI DELL'ORDINAMENTO GIURIDICO, OGNI PROVVEDIMENTO OPPORTUNO E NECESSARIO PER IL SOCCORSO E L'ASSISTENZA ALLE POPOLAZIONI INTERESSATE E PER GLI INTERVENTI NECESSARI PER L'AVVIO DELLA RIPRESA CIVILE,AMMINISTRATIVA,SOCIALE ED ECONOMICA DEI TERRITORI INTERESSATI. IL COMMISSARIO,OLTRE ALLE FUNZIONI PREVISTE DAGLI ARTICOLI 5 E 6 DELLA CITATA LEGGE, ESERCITA A TALE SCOPO TUTTE LE FUNZIONI ATTRIBUITE AI
SINGOLI MINISTERI, PROVVEDENDO ALTRESÌ AL COORDINAMENTO DEGLI INTERVENTI URGENTI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI, ANCHE PER LA RIATTIVAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI, ESCLUSI IN OGNI CASO I PIANI E LE PROCEDURE PER LA RICOSTRUZIONE DEFINITIVA.
L'ORDINANZA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
L’Ordinanza del P.C.M. è uno strumento eccezionale, disciplinato dall’articolo 5 della legge 225, la cui funzione è quella di favorire ed accelerare il più possibile il superamento dell’emergenza. Essa può essere emanata solo per esigenze di protezione civile, di norma a seguito di dichiarazione di “Stato di emergenza”, e generalmente contiene:
▶ Finanziamenti immediati per la gestione economica dell’emergenza.
▶ Agevolazioni e ristori per i privati danneggiati.
▶ Risorse per la ricostruzione pubblica.
▶ Deroghe a svariate normative per facilitare e accelerare le procedure gestionali.
▶ Provvedimenti urgenti a tutela della popolazione
PROCEDURE D'EMERGENZA
-Il comune segnala l'evento alla Regione, la Regione chiede lo stato di emergenza al Gocerno, il Consiglio dei Ministri delibera lo stato di emergenza, il Presidente del Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di emergenza ed emana una o più ordinanze
LA COMMISSIONE NAZIONALE GRANDI RISCHI
Costituisce la “mente” consultiva del Presidente del Consiglio in vista delle decisioni operative. Assiste il Capo del Dipartimento nelle sue decisioni. (Ultima riorganizzazione : DPCM 3 aprile 2006).
COMITATO OPERATIVO
Si riunisce presso il DPC e assicura la direzione unitaria e il Coordinamento delle attività di emergenza, stabilendo gli interventi di tutte le amministrazioni e enti interessati. Fanno parte del comitato operativo (in ordine decrescente): Capo DPC, CNVVF, FFOO, Volontariato di PC, CRI, Corpo nazionale del Soccorso Alpino, CNR, conferenza stato regioni e autonomie locali, INGV, ENEA, Ministero della salute, CCPP, CFS, FFAA, ENEL, Poste Italiane, Telecom, Vodafone, Wind, Tim, Rai, RTI, ENAC, Autostrade, ANAS.
LE ORDINANZE DI PROTEZIONE CIVILE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
Le ordinanze di protezione civile del Presidente del Consiglio consentono al Sindaco di
- ottenere le provvidenze economiche con cui finanziare gli interventi urgenti;
- Agire in un regime derogatorio efficacissimo per la gestione dell’emergenza;
- Esercitare con pienezza di poteri le attribuzioni dell’art. 15 della legge 225/92;
- Dare risposte operative e amministrative non consentite nell’ordinario;
- Garantire ristori economici e agevolazioni fiscali e burocratiche ai privati;
- Gestire l’amministrazione locale per qualche tempo con maggiore flessibilità;
- Sospendere temporaneamente le principali scadenze amministrative comunali;
- Mettere il comune al riparo da possibili sbilanci o dissesti finanziari;
- Organizzare la ricostruzione e il suo più puntuale ed efficace finanziamento;
IMPORTANTE: Per garantire la migliore conduzione possibile dell’emergenza da parte dei poteri locali, l’Ordinanza del P.C.M. non va da questi attesa messianicamente. La sua elaborazione va, anzi, governata da
Regione ed EE.LL., attraverso la segnalazione puntuale e tempestiva delle diverse necessità gestionali per un loro inserimento nel testo originale. Ciò eviterà ritardi e obbligo di interventi successivi con ulteriori ordinanze.
FUNZIONI FONDAMENTALI DI COMUNI ED ENTI LOCALI
Considerata la condizione di forte rischio del nostro Paese, e compreso che il governo nazionale non poteva essere il solo attore a gestirla, abbiamo trovato una “via italiana” alla protezione civile. In una parola, a comuni, province e regioni, grazie alla loro autonomia finanziaria e organizzativa rispetto allo Stato, è oggi richiesto di assicurare i «servizi indispensabili» di salvaguardia della popolazione; Essi hanno pertanto come “dovere” quello di gestire e finanziare le funzioni amministrative relative alla protezione civile.
I NUOVI POTERI ALLE AUTONOMIE LOCALI
Le leggi sul decentramento intervenute a partire dal 1990 danno a ciascuna autonomia locale – e soprattutto a comuni e sindaci - una competenza assoluta e una grandissima responsabilità sull’insieme delle attività tese a salvaguardare la popolazione.
Prima del 1990: abbiamo una gestione centralizzata del Governo nazionale.Vi sono 100 centri locali di Protezione Civile (le Prefetture)
Dopo il 1990: si rafforzano la sovranità regionale e la capacità locale.Ci sono oggi 8200 centri locali di Protezione civile (100 Province + 8100 Comuni)
NASCONO LE AUTONOMIE LOCALI E IL FEDERALISMO
Le conseguenze della rivoluzione normativa degli anni ‘90:
- riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni
- rapporto più diretto con il sindaco eletto
- uso della leva fiscale per i servizi
- snellimento della burocrazia della P.A.
- modifica dei rapporti fra enti e organi
- ingresso di nuovi bisogni sociali
In pratica si rovescia la struttura centralistica di Roma per la gestione dei soccorsi, iniziando dai comuni dando ampi poteri e autonomia alle realtà comunali ponendo all'ultimo scalino della piramide il governo centrale di Roma
PERCHE' IL COMUNE PIU' DEGLI ALTRI ENTI?
Per i civili, la Protezione civile non può essere solo un Piano di Emergenza, ma molto di più. Il comune deve garantire l’erogazione dei servizi, la gestione dei procedimenti, la tutela degli interessi diffusi. La protezione civile deve costituire dunque un autentico
“progetto sociale” del Sindaco per i suoi cittadini .
COME SI RICHIEDE LO STATO DI EMERGENZA
Lettera tipo di richiesta stato emergenza:
COMUNE di ___________
Provincia di _________
- Alla Regione ___________
e p.c. - Al Dipartimento della Protezione Civile
e p.c. - Al Prefetto di ________
Oggetto: Richiesta dichiarazione stato di emergenza.
Attesa gravissima situazione determinatasi, causa evento_------------- del
------------------- , che ha interessato il territorio comunale, e riscontrata l’impossibilità di fronteggiare l’evento con mezzi e poteri ordinari, si rappresenta
l’urgente necessità di richiedere al competente organo la “dichiarazione di stato emergenza”, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24.2.1992 n. 225, nonché l’attivazione urgente degli interventi di cui all’articolo 3 della legge 27.12.2002 n. 286. L’area interessata comprende le frazioni/località di
_______________________________. E’ in corso l’accertamento e la valutazione dei danni,
stimati provvisoriamente nel modo seguente:
__________________________________________________ _______________________________
In attesa di ulteriori opportune determinazioni si richiede, ai sensi dell’art. 15 comma 4 della sopracitata legge 225/92, l’impiego di forze e risorse aggiuntive per l’affrontamento dell’emergenza. Si comunica altresì di aver provveduto, ai sensi dell’art. 15 comma 3 della medesima Legge 225/92, a garantire i primi interventi di soccorso e di assistenza a favore delle popolazioni colpite.
lì____________________
IL SINDACO
QUALI LE DEROGHE IMPORTANTI CHE SERVONO AI SINDACI?
Legge sugli appalti
Testo Unico
- Scadenze finanziarie di bilancio
- Permessi agli amministratori
- Divieto di assunzione
- Norme vincolanti (L. 241/90, D.lgs. 165/01)
- Escavazione dei fiumi
- Patto di stabilità interno
- V.I.A. , vincoli urbanistici e di parco
- Norme regionali
- Contratti di lavoro
PRINCIPALI ATTIVITà DA GARANTIRE IN COMUNE IN STATO DI EMERGENZA
1. Manovre di bilancio ove possibile
2. Gestione di interventi in economia
3. Attività di raccordo e coordinamento
4. Censimento dei danni
5. Superamento e riorganizzazione
6. Piani di intervento per la ricostruzione
PRINCIPALI ADEMPIMENTI DI UN SINDACO- PROTEZIONE CIVILE
- Valutazione evento
- Organizzazione interventi tecnico-amministrativi
- Organizzazione delle risorse di intervento
-Gestione domanda - offerta
- Ripristino servizi interrotti
- Riapertura strade interrotte
- Monitoraggio e valutazione in progress della situazione idro-meteopluviometrica
- Gestione piano di emergenza
- Ripristino radio - telecomunicazioni
- Rapporti con altre funzioni
- Altro
PRINCIPALI ADEMPIMENTI DELLA POLIZIA LOCALE - PROTEZIONE CIVILE
- Valutazione evento
- Organizzazione cancelli e rimozione code stradali
- Attivazione e coordinamento strutture operative sulle strade
- Istruttoria e stesura di atti amministrativi (ordinanze, verbali di somma urgenza, ecc.)
- Organizzazione di un servizio di informazione pubblica
- Adempimenti amministrativi
- Attività di problem solving tecnico - amministrativo
- Rapporti con altre funzioni
- Altro
COLONNA MOBILE REGIONALE
Secondo le più recenti procedure organizzative , in caso di grande calamità o per un intervento all’estero, il Dipartimento della protezione civile coinvolge le Regioni italiane, per portare aiuto [risorse umane, trasporti, materiali] presso le aree colpite.e.g. Le colonne mobili regionali sono gestite dalle autorità regionali sotto il coordinamento del Dipartimento nazionale.
IL PROGETTO E’ FINALIZZATO A DISPORRE, IN CASO DI EMERGENZA NAZIONALE, DI UN NUMERO SUFFICIENTE DI RISORSE, IN TERMINI DI MEZZI, ATTREZZATURE E SQUADRE OPERATIVE, ED HA COME OBIETTIVO GARANTIRE LA TEMPESTIVITA’ E L’EFFICIENZA DEL LORO IMPIEGO
CARATTERISTICHE
- STANDARDIZZAZIONE DELLE RISORSE
- DISTRIBUZIONE SULL’INTERO TERRITORIO NAZIONALE
- STRUTTURE MODULARI INTERCAMBIABILI ED INTEGRABILI